Premettiamolo, i Simak Dialog sono indonesiani che di indonesiano hanno quasi nulla.
Non siamo di fronte ad un altro caso di contaminazione tra occidente e oriente, qui si parla solo ed esclusivamente di occidente. Si ripete quindi quel clichè che vede l’est ispirarsi all’ovest, perlomeno in campo musicale, e si verifica quella grande anomalia, propria della società dei nostri tempi, in cui le imitazioni spesso possono dare del filo da torcere agli originali. L’originale, in questo caso, è rappresentato dal jazz da camera che gli indonesiani ripropongono spogliandolo di tutti gli orpelli che si erano andati accumulando attraverso le innumerevoli interpretazioni. Sotto forma di fantasmi appaiono infatti il groove di Santana, il pianismo elegante di Keith Jarrett e il dinamismo del Miles Davis di Bitche’s Brew, ma è nell’approccio, profondamente etnico, che si inserisce la variante. Variante che si fa fattore importante all’interno dell’ultima suite finale, dove emergono le radici orientali del sestetto indonesiano, capace di coniugare melodie etniche a lancinanti inserti chitarristi stile Mahavishnu, attraverso un gusto per l’ossessione che sfocia nei lisergici momenti a chiusura dell’opera. Possiamo sorvolare su una certa monotonia di fondo, ma non possiamo fare altrettanto per quanto riguarda l’estrema cura degli arrangiamenti, l’incredibile tecnica esecutiva o la spasmodica ricerca dell’emozione filtrata da un fraseggio di piano. Musica per intenditori, per amanti del genere, è vero, ma anche musica in grado di colpire l’orecchio meno esperto, magari solo per qualche attimo, ma è innegabile che, oggigiorno soprattutto, questo sia un dono sempre più raro. A dimostrazione che non occorre essere necessariamente statunitensi o inglesi per produrre buona musica, basta avere tecnica, calore nelle vene e tanta, tanta passione. 80/100
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Riza Arshad: Acoustic piano, Fender Rhodes electric piano, synth Anno: 2007 |