L'ultimo dei tre album confezionati dai Jethro Tull negli ultimi quattro anni (gli altri sono “The Zealot Gene” del 2022, “RökFlöte” dell'anno successivo) è quello che lascia maggiormente il segno, pur suscitando qualche domanda. Va subito precisato che la compagine folk tipizza questa nuova fatica discografica di una band ormai distante dal rock e anche dal progressive. L'album è lontano da quella irruenza graffiante di un tempo: molti passaggi sono rassicuranti - testimonianza di un malcelato desiderio di navigare in acque sicure - e, in generale, si soffre molto l'assenza della chitarra elettrica di Martin Barre, al posto del quale c'è l'ennesimo nuovo chitarrista (è il terzo in tre album), prevalentemente indirizzato verso l'acustica (nel citato "Over Jerusalem" egli fa capolino con un paio di gradevoli schitarrate, ancor più ponderate in "Puppet and the Puppet Master" e "Curious Ruminant").Alcune cose sono derivative: il brano che dà il titolo all'opera pare saccheggiare accordi basici della mitica locomotiva e anche "Over Jerusalem" riprende in forma pedissequa alcuni stilemi già espressi in "Thick As a Brick". Talvolta, inoltre, raffiorano echi dell’album solista “Divinities: Twelve Dances with God" del 1995, album quieto e interamente strumentale. “Non proprio una pietra miliare”, riconosce egli con sincerità lo stesso Anderson, poi lanciandosi in una citazione altisonante, maldestramente condita di finta umiltà: "è solo una raccolta di canzoni, nello stesso modo in cui Aqualung era una raccolta di canzoni”. Eppure, non vanno dimenticati i suoi 77 anni, doverosamente considerati i quali, quest'opera assume connotazioni sorprendenti: vanno segnalati, in primis, i diciassette minuti di "Drink from the same well" che, pur non miracolosi, rappresentano una gradevole sorpresa: tra i pochi dei Tull scritti a quattro mani (l'altro autore è Andrew Giddings, precedente tastierista, che qui fa un'ospitata), il brano vede la presenza del flauto bansuri e si qualifica quale pezzo di rottura, unica non-canzone in un album composto da canzoni, con un sound che mescola esotismo new age e suggestioni folk. Gli altri pezzi riaffermano l'identità cantautorale dei recenti progetti di Anderson, in bilico tra il folk rilassante di "The Tipu House", "Savannah Of Paddington Green", "Stygian Hand" e gli sprazzi bucolici di "Dunsinane Hill", passando per la filastrocca briosa ("Puppet And The Puppet Master") e i labili stralci rock della citata "Over Jerusalem". Concettualmente, l'opera affronta tematiche interessanti: la title-track riflette la curiosità insaziabile del suo autore, uomo affascinato da fantasy, surrealismo e fantascienza mentre la filastrocca briosa “Puppet and the Puppet Master” esplora il rapporto ambiguo tra artista e pubblico e “Savannah Of Paddington Green”, con il suo folk rilassante, immagina un futuro apocalittico per una Londra trasformata in savana. Ma è con gli stralci rock di “Over Jerusalem” e le ambientazioni bucoliche di “The Tipu House” che l'inglese si collega all’attualità riflettendo sulle tensioni della città sacra e dipingendo un’allegoria di una società divisa. Solido ma non rivoluzionario, questo nuovo disco esprime una nuova direzione della band che, tutto sommato, testimonia una scelta saggia: troppo vecchio per il rock 'n' roll, Anderson è ancora troppo giovane per morire, optando quindi per toni distensivi, rinviando al prossimo futuro, se mai ce ne sarà uno, la volontà di cambiare direzione: “Se faremo un altro disco", ha infatti dichiarato ai media, "dovrà necessariamente essere un po’ diverso”. Nel tratto a venire, potremo constatare se arriverà davvero il momento di aprire le finestre e far entrare aria fresca. |
Ian Anderson – flutes, vocals, acoustic guitar, tenor guitar, mandolin, production, mixing, artwork photography, artwork concept Puppet and the Puppet Master – 4:00 Curious Ruminant – 5:56 Dunsinane Hill – 4:14 The Tipu House – 3:29 Savannah of Paddington Green – 3:11 Stygian Hand – 4:13 Over Jerusalem – 5:54 Drink from the Same Well – 16:39 Interim Sleep – 2:27 |