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Offlaga Disco Pax
Gioco di Società

Ogni generazione ha una band guida che, nel bene e nel male, la rappresenta. Se negli anni ’80 c’erano i CCCP, oggi abbiamo gli ODP, gli Offlaga Disco Pax. A ben guardare, queste due band incarnano alla perfezione le epoche in cui sono vissute o stanno vivendo. La devastante carica corrosiva della band di Ferretti è scomparsa, il punk è morto davvero, perché non c’è più niente per cui lottare. E qui si inserisce alla perfezione la narrazione di Collini: le sue storie vanno a scavare percorsi di significato in un terreno ormai fossilizzato dal corso ineluttabile della Storia ma non per questo arido, le sue riflessioni si polarizzano su un passato che continua ad essere significativo, nonostante l’oggi sia completamente diverso, anzi, forse soprattutto per quello.

Gli ODP sono insomma la nuova coscienza politica della musica italiana; una coscienza che guarda all’indietro, sguazza nei ricordi per trovare un valore che non sia morto, un senso ancora vivo in quest’epoca che pare aver scombussolato tutto, eliminato ogni distinzione, ogni colore politico, ogni valore umano. Narrando storie passate, Collini riesce a inquadrare anche l’oggi sotto una prospettiva inedita; ci mostra implicitamente quanto l’attualità sia priva di orientamento, di punti fermi, ma anche del valore sacro delle piccole cose di una volta, un microcosmo culturale che andava dalle gomme da masticare ai biscotti, dalla musica allo sport, tutto intriso di fede politica e coscienza sociale. Credo che le sue parole servano soprattutto ai giovani, perché mostrano in tre dimensioni un periodo storico troppo spesso semplificato, banalizzato, ridotto al contrasto Est - Ovest. Le narrazioni di Max Collini sanno raccontare un clima culturale senza retorica; le storie di tutti i giorni si intersecano con le questioni politiche, coi contrasti sociali, con le esperienze personali. Nel racconto del passato c’è prima di tutto un rifiuto del presente, un trovarsi fuori posto, spaesato in un mondo che non si riconosce più come proprio.

Gioco di Società è il terzo disco della band, dopo l’esordio del 2005 e Bachelite del 2008. La struttura sonora è la stessa di sempre: Max Collini racconta, Fontanelli e Carretti gli costruiscono attorno un impalcatura electro – rock perfettamente calibrata. I ritmi sintetici riempiono gli spazi lasciati vuoti dall’assenza di melodia: in questo capitolo si fanno notare per la loro originalità, un pulsare inarrestabile che si contrappone alle note dilatate, lentissime, ambientali. La musica degli ODP si sta sviluppando con intelligenza ed eleganza; il ruolo degli accompagnamenti è fondamentale per dare vivacità a composizioni altrimenti troppo statiche. Paesaggi sonori minimali (ma non così tanto) eppure perfettamente funzionali, il cui connubio con il parlato di Collini crea un effetto mai come oggi straniante, psichedelico, ipnotico.
Collini opta per uno stile del parlato sobrio, regolare, quasi inespressivo: questa scelta ben si sposa con le musiche austere e nel complesso segna il momento più post della band. Non c’è più spazio per poderosi giri di basso alla “Cinnamon” o per le bordate disco di “Robespierre”; prevalgono loop ritmici glaciali, sfumature sonore leggerissime: uno stile maggiormente raffinato e subliminale, calibrato per infiltrarsi nelle pieghe del pensiero e non uscirvi più.

I testi pescano da quel grande calderone di vita che sono gli anni ’80 di Max: storie d’argomenti vari che contribuiscono ad arricchire quel ritratto sociale che gli ODP stanno mettendo a punto. Si parla di concerti (“Respinti all’Uscio”), di tifoserie calcistiche (“Piccola Storia Ultras”), di corse estreme in bicicletta (“Tulipani”), di piccoli traumi giovanili (“Sequioia”) ed altro ancora. I testi hanno un taglio più riflessivo, dimesso, meno strampalato rispetto al passato (per ammissione dello stesso Collini). I testi sono validi e curati, ma a volte troppo monocromatici ed omogenei: mancano le frasi memorabili, le esclamazioni colorite, ed in generale le grandi trovate espressive a cui ci avevano abituati, sia in direzione di una riflessione commossa, come in “Cioccolato I.A.C.P.” o “Venti Minuti”, sia in quella di una simpatica e forse un po’ deformante celebrazione del passato, come “Ventrale” o “Cinnamon”. Mancano quelle frasi paradossali, quei commenti pungenti, che davano ulteriore spessore ai racconti di Collini. I significati sono lasciati spesso impliciti, le frasi sentenziose sono ridotte al minimo.

“Palazzo Masdoni” racconta direttamente la militanza politica di Max: confrontarla con “Robespierre” è utile per capire la differenza di prospettiva che ha subito la sua scrittura. Ci piaceva di più quel trionfalismo gratuito e autoironico di una frase come “il socialismo era come l’Universo, in espansione” piuttosto che una ben più ordinaria e prevedibile “la militanza ad un certo punto occupò tutto il mio tempo … tutto”. Insomma, gli argomenti sono quelli, ma lo stile risulta forse un po’ troppo asciutto, soprattutto se confrontato con le trovate geniali dei primi due dischi. Questo non significa che le canzoni di Gioco di Società non abbiano valore: sono un ottimo esempio di “cantautorato” impegnato, profondo, non generico, focalizzato perfettamente su fatti e persone realmente esistite. E non è poco. “Respinti all’Uscio” è un ricordo preadolescenziale: raccontare del concerto dei Police a Reggio Emilia del 1980 è un pretesto per riportare alla memoria la visione del mondo di un tredicenne, curiosa e sbalordita di fronte alla scoperta della violenza che invade la propria città. “Piccola Storia Ultras” parte dallo sport per arrivare ai recenti bombardamenti sulla Libia di Gheddafi, in un percorso che porta un ragazzo a conoscere l’ingiustizia della storia (i morti sotto il governo Tambroni) grazie ad un coro degli Ultras della Reggiana.

“Sequoia” segue la stessa dinamica conoscitiva: una sequoia, un’altalena, ricordi della propria fanciullezza, immagini solari che nascondono in realtà una denuncia sociale amarissima. L’uomo adulto reinterpreta gli episodi del suo passato e ritrova una dolorosa lezione di vita, che marchia il genere umano come una cicatrice eterna: le classi sociali. “Tulipani” è un’altra storia sportiva, l’impresa del ciclista Johan Van der Velde che, durante il Giro d’Italia del 1988, scalò il Passo del Gavia senza ripararsi dal freddo e arrivò a Bormio con 47 minuti di ritardo e con un principio di assideramento. La narrazione di un fatto sportivo è il pretesto per celebrare la diversità di personaggi unici, un po’ strambi, ma profondamente rispettati per il loro coraggio.
Il pezzo musicalmente più accattivante è sicuramente il singolo “Parlo da solo”, coi suoi synth vivaci e saltellanti ad accompagnare l’ermetica fine di una storia d’amore. Altro brano particolarmente piacevole è “Desistenza”, che incanta con il suo intrico di ritmi sintetici e sfumature algide. Il disco si chiude con “A pagare e morire”, inaspettato racconto contemporaneo del Collini agente immobiliare, che si trova minacciato da un cliente particolarmente violento.

Insomma, Gioco di Società conferma il buon livello degli Offlaga Disco Pax: le canzoni sono sempre più raffinate e i testi mantengono il loro valore pressoché unico nel panorama italiano attuale. La Storia rivive in queste canzoni, i fatti hanno la loro consacrazione, oppure la loro condanna. Ci piace il modo in cui Collini rilegge la sua vita, a metà tra la nostalgia e la lucidità critica. Il suo stile è meno colorito e divertente in questo disco, ma la bellezza e l’originalità dei suoi testi resta elevata. Una coscienza storica, politica e sociale che farebbe bene alla musica italiana d’oggi.

72/100


Enrico Fontanelli: Basso, elettrotecniche, premeditazioni grafiche e pensiero debole
Daniele Carretti: Chitarre, basso, piano e mutuo quinquennale
Max Collini: Voce, testi e ideologia a bassa intensità

Anno: 2012
Label: Venus
Genere: Elettronica/Spoken Word

Tracklist:
01. Introduzione
02. Palazzo Masdoni
03. Parlo da solo
04. Respinti all’uscio
05. Piccola Storia Ultras
06. Sequoia
07. Tulipani
08. Desistenza
09. A pagare e morire

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