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Isis
Panopticon

Panopticon viene pubblicato nell’ottobre del 2004, è il terzo lavoro dei bostoniani Isis, dopo Celestial del 2000 e Oceanic del 2002. In quattro anni la band dà forma compiuta ad un genere, il post metal, per anni covato dalla chioccia Neurosis e finalmente pronto a spiccare il volo: gli Isis tracciano le coordinate in modo più netto e riconoscibile, prendendo una via definitiva che rende il loro stile ormai inconfondibile. All’attitudine metal, al growl feroce, alle chitarre rugginose si contrappongono intelaiature squisitamente post rock, trame dilatate, strutture dei brani diametralmente opposte rispetto all’immediatezza deflagrante del metal classicamente inteso. Al centro dell’attenzione non sono più i semplici riff di chitarra, ma le atmosfere create dal sovrapporsi dei timbri, le sfumature ambientali, i suoni sono eterei, le eco si intrecciano e disorientano; i brani evolvono lentamente, con passaggi quasi impercettibili e pochissimi stacchi o cambi repentini di tempo o tono.

Con Oceanic viene data la formula compiuta del post metal, del quale Through Silver In Blood ci aveva dato un’anteprima succulenta. Ciò che lascia più ammirati di fronte alla grandezza degli Isis è il fatto che a soli due anni di distanza la band di Boston non solo replica il livello qualitativo di Oceanic, ma anzi ne propone il superamento, creando un qualcosa di immensamente profondo, che fa apparire il suo illustre predecessore come un mero esercizio stilistico, il riscaldamento prima dell’esibizione vera e propria. Si tratta appunto di Panopticon, opera di inestimabile valore, immensamente articolata, mostruosamente intricata, inscalfibile, monolitico capolavoro geometrico raziocinante.

La struttura lineare dei brani, che alternava passaggi più atmospheric a scatti iracondi di furore metal si riformula in un magma incessante, in cui la strumentazione pesante svolge anche la parte di dilatazione del suono. Non c’è più la netta separazione tra ciò che è Metal e ciò che è post rock, tutto si confonde in una nebbia di infernale oscurità. Strutture dilatate e suoni come rocce affilate si mescolano alle campiture ambientali, ai ritmi dispari costantemente presenti, alle grida soverchianti di Aaron Turner; fini cesellamenti di chitarre morbide, trame densissime, intrecci lenti, interazioni di suono stranianti, dinamiche evolutive inaspettate, sorprendenti nella loro capacità di dare appagamento estetico: tutto insieme, in paesaggi sonori sconfinati, incomprensibilmente ampi ad un ascolto superficiale. Da “alfa o omega, in alternanza” a “sia alfa che omega, contemporaneamente”. Le maglie si allargano a dismisura, allontanandosi ancora di più dalla forma-canzone classica. Ogni secondo di musica può essere gustato nella sua complessa stratificazione o come passaggio di un percorso di metamorfosi incessante. La qualità più rara di Panopticon è proprio questa: nel suo lento incedere non dà punti di appiglio, la mutazione è continua, non esistono elementi di ritorno che si rendano familiari all’ascolto. O meglio, c’è la batteria, sempre uguale, inalterata dall’inizio alla fine dei brani e perciò ininfluente nel tentativo di dare un ordine schematico ai brani; fa da semplice contrappunto sonoro, non ha una funzione organizzatrice. È come perdersi in un labirinto: non sai mai quanto è distante la via d’uscita, non c’è nulla che ti aiuti ad orientarti.

Musica difficile da ascoltare e comprendere; ci vuole del tempo per assimilare la forma dei brani, ma è anche una questione di punto di vista: come nel panopticon di Bentham, in cui una sola guardia può controllare tutte le celle, così l’ascoltatore che vuole assaporare nel modo più proficuo la musica degli Isis deve mettersi nella giusta posizione, deve predisporre la psiche a vedere nel loro insieme le trame del disco. Se si cerca soddisfazione immediata, l’ascolto sarà fallimentare; i brani invece vanno ascoltati e riascoltati diverse volte, fino a capirne la macrostruttura, come in una veduta dall’alto, come stare nel centro del panopticon. Una volta conosciuti tutti gli anfratti sonori, una volta sondate le immense architetture musicali che danno forma a queste canzoni, una volta assimilate le strutture dilatate e il lento ma inarrestabile evolversi di quest’organismo, solo allora ogni nota acquisterà senso in quanto facente parte di una linea, o meglio di un fascio di linee che interagiscono tra loro per opposizione, antagonisticamente, ma confluiscono sempre in paesaggi psichici edificanti, costruttivi, sensati, appaganti, come le acque burrascose di un torrente che lottano e lottano, ma non possono fermare la loro corsa verso l’immensità dei mari e degli oceani.

“So Did We” espone in modo chiaro l’innovazione apportata; chitarre distorte, ma utilizzate come sfondo ambientale allo snodarsi del brano. Ci sono momenti di palese risacca Post rock ma la struttura del brano è di un’organicità strabiliante. Suoni aspri e ricami melliflui si intersecano in modo armonico, senza stacchi bruschi, in un continuo avvicendarsi di tonalità antitetiche, panorami sonori di indicibile suggestione. “Backlit” crea una trama ancora più densa ed impressionante, un sovraccarico nevrotico in un pulviscolo metallico, un crescendo che pare interminabile e si stempera solo nel ruggito bestiale che pone fine al brano. La musica è qui violenta ma informe, non ha spigoli, è dappertutto! “In Fiction” propone atmosfere più rarefatte ed un crescendo più “umano”, meno esasperato. È l’episodio più vicino al post metal schematico di Oceanic. “Wills Dissolve” snellisce i suoni in un labirintico incubo ad occhi aperti; arrivano poi le distorsioni ad avvelenare il tutto con fumi sulfurei. Quello che sembra caos è in realtà un intreccio densissimo di suoni, tutti sensati ed orientati al fine espressivo. Intreccio che raggiunge vette di intensità in “Syndic Calls”, per poi perdersi in immani oceani psichedelici, impossibili da descrivere. Qui le chitarre descrivono paesaggi, vedute di arida desolazione. Sono le distorsioni più poetiche dai tempi dei My Bloody Valentine. Brano inarrivabile, inavvicinabile, puro genio matematico. Per mettere a segno un uno-due da capogiro, gli Isis piazzano subito dopo “Altered Course”, ancora più ambient, ancora più indefinibile: nuvole di elettricità demoniaca si stagliano su linee sonore serpeggianti; la nuova forma è la non-forma. A seguire una coda ritmica di ipnosi glaciale, come attraversare un millennio di solitudine nel deserto. Uno dei momenti più significativi della musica contemporanea. La conclusiva “Grinning Mouths” ripropone un abbozzo di forma-canzone, ingabbiandola in una sferragliante trama di chitarra distorta, questa volta veloce e dinamica, ma sempre altamente cerebrale, ossessiva, straniante.

Panopticon è un disco di immenso valore, ma non solo, è un’opera che astrae la mente dal contesto della vita reale, altera violentemente la nostra percezione del tempo, trascinandoci nei cunicoli infiniti delle sue strutture dilatate. Un magma sonoro, scariche che sconquassano la psiche e la ubriacano brutalmente, come in un virulento orgasmo mentale. Si tratta del disco metal più importante quanto meno degli ultimi dieci anni ed uno dei progetti più ambiziosi dello scenario rock contemporaneo. Opera altamente innovativa, da sondare in profondità, che vive del contrasto tra lacerazione animalesca ed armonia estatica, in un’ardita fusione di linguaggi sonori pressoché antitetici. Per chi è riuscito a comprenderlo, il piacere dell’ascolto reiterato si rivela quasi maniacale, un tantra: l’appagamento mentale che produce Panopticon è viscerale e pieno, ma molto difficile da raggiungere, perché necessita di pazienza. Ecco perché ho scritto questo articolo, per dirvi: “Provateci anche voi!”



Jeff Caxide: Basso
Aaron Harris: Batteria
Michael Gallagher: Chitarra
Bryant Clifford Meyer: Sintetizzatori e chitarra
Aaron Turner: Voce, chitarra, fotografia e design

Guest:
Justin Chancellor: Suoni aggiuntivi/basso in Altered Course

Anno: 2004
Label: Ipecac Recordings
Genere: Post Metal

Tracklist:
01. So Did We
02. Backlit
03. In Fiction
04. Wills Dissolve
05. Syndic Calls
06. Altered Course
07. Grinning Mouths

Sul web:
Isis
Isis @MySpace

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