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Pain of Salvation
In The Passing Light Of Day

Antefatto
Scoprii l’esistenza dei Pain Of Salvation per puro caso, quando nel 2002 figuravano come band di apertura al tour dei Dream Theater.
Non li conoscevo affatto e quando, inaspettatamente per me, iniziò la loro esibizione, che durò un’ora esatta, rimasi letteralmente esterrefatto dall’atmosfera che Daniel Gildenlow & co. riuscirono a creare, relegati nel loro angolino di palco appositamente preparato in quanto band di apertura. Fu un fulmine a ciel sereno. Il pubblico, e io più di tutti, andò in visibilio per l’intensità, il coinvolgimento e la spettacolarità dell’esibizione, tanto che temetti per il confronto al quale sarebbero, da li a breve, stati sottoposti i DT, che fortunatamente si difesero più che bene, pur senza sfiorare minimamente il pathos raggiunto dai cinque scatenati svedesi.
Il 2002 era l’anno di pubblicazione di “Remedy lane” e quello era il loro tour promozionale.  

L’evoluzione
A partire da quel momento divenni quindi un loro fan sfegatato e mi documentai sulle loro precedenti gesta, oltre a seguirli nella loro futura carriera, ancora ignaro del fatto che avevo avuto la fortuna di averli conosciuti all’apice delle loro carriera artistica.
Da quel momento i POS, guidati da Daniel, si sono cimentati in una serie di produzioni che, seppur a tratti discutibili, non hanno sicuramente peccato di originalità. Mai più sfiorate le vette di “Remedy lane”, negli album seguenti si è assistito ad una caduta, o meglio ad un cambiamento di stile, quantomeno nei confronti delle loro precedenti produzioni, che ha lasciato spiazzati tutti i loro sostenitori, soprattutto considerato il fatto che i POS, per effetto del loro tipo di musica, o si amano o si odiano senza compromessi intermedi. Vero è che lo stesso Gildenlow ha sempre sostenuto di voler fare una musica capace di stupire l’ascoltatore e che non fosse mai scontata o prevedibile. Su questo aspetto gli va dato atto di essere riuscito nell’intento, pur a discapito dei consensi.
I due “Road Salt...” e “Linoleum” ne sono l’esempio più lampante: Grezzi, ostici e fuori dai loro schemi classici. Insomma un vero cazzotto all’orecchio per chi si aspettava una musica prog alla Pain of Salvation.
Poi è arrivato “Falling home”, simpatico e delicato cover acustic album (dove per cover intendo sia brani di altri artisti che brani tratti dalla loro precedente produzione discografica) in notevole contrasto con le precedenti produzioni, a seguito del quale la platea di sostenitori non ha potuto far altro che dire: Quindi?? Ora che si fa?? 

Il presente: “In the passing light of day” featuring:
a) Il concept
Pain of Salvation ovvero Dolore di Salvezza (o qualcosa del genere), questo il nome della band e mai come ora questo nome è stato più azzeccato. Nel 2014 Daniel Gildenlow è stato tra la vita e la morte a causa di una infezione per effetto della quale si è dovuto sottoporre ad un delicato e urgente intervento chirurgico che ha interessato la spina dorsale, a seguito del quale è stato costretto ad una degenza ospedaliera di ben quattro mesi. L’album ha preso spunto da questo accadimento che ha segnato la vita del musicista: Tribolare, avere paura, apprezzare la vita nelle sue più scontate sfaccettature, imparare di nuovo a camminare, godersi gli affetti cari, rivivere. Questo il filo conduttore dell’incisione: Soffrire e poi salvarsi.  
b) La band (ovvero Who to blame)
Quanto è rimasto in “In the passing light of day” della formazione che ha fatto grande i POS (quella di “The perfect element pt.1”, “Remedy lane”, “Entropia”, “One hour by the concret lake”, “BE”, per intenderci)?: Tranne Daniel Gildenlow, praticamente niente.
Tutti gli altri componenti presenti negli album da “One hour by the concret lake” a “Scarsick” non fanno più parte dei POS.
L’anima e la mente dei POS è sempre stata incarnata da Daniel. Su questo non ci sono dubbi eppure è tangibile la differenza tra la musica dei POS degli anni prima del 2007 e quella di oggi.
In meglio o in peggio dal punto di vista tecnico, questo sta a ciascuno giudicarlo, ma le differenze si sentono.
Differenze dovute probabilmente anche al contributo apportato dal chitarrista Ragnar Zolberg, che a quanto pare non ha ben digerito l’egocentrismo artistico di Gildenlow, evidentemente poco disposto a riconoscere i meriti altrui. Il contrasto nato tra i due ha infatti avuto notevole eco in rete, sfociato infine nell’abbandono di Zolberg dalle le fila della formazione svedese, che attualmente per il tour promozionale sembra aver riaperto le porte al’ex membro Hallgreen. Sui meriti, sui demeriti e sulle colpe non vale la pena comunque soffermarsi in quanto la verità è in possesso dei soli attori del diverbio e non degli spettatori.  
c) Il suono
I POS hanno sempre avuto un sound grezzo, diretto e spesso anche apparentemente poco curato, a fronte di strutture complesse e intricate. Sound divenuto negli anni uno dei loro tratti caratteristici, che bene si addice all’impegno delle tematiche affrontate nei testi di Daniel. Molto distanti dalla perfezione sonora raggiunta dalle altre band del settore, forse non a caso hanno deciso nel 2016 di ripubblicare “Remedy Lane” in versione re-mixata, dove molti suoni sembrano lucidati a cera ed olio (soprattutto la parte ritmica), sebbene io oramai preferisca la versione originale nella sua rusticità.
A dispetto però di questo, discutibile, tentativo di adeguarsi alle nuove tendenze, in questa nuova incisione non si sono smentiti e l’impatto audio tiene fede alla loro tradizione, bandendo qualsiasi tentativo di eleganza sonora. Forse erano riusciti a fare peggio solo nei “Road salt...”. Grezzezza probabilmente ricercata, per carità, ma tant’è.  
d) La sostanza
In definitiva questo album come è?
Non mi sbilancio molto se oso dire bello. Non un capolavoro raffinato come “Remedy lane” o “The perfect element pt.1”, ma certamente un ottimo album.
In molti hanno urlato ai quattro venti un ritorno dei POS alle loro origini, ed in parte è vero, ma solo in parte.
È vero se confrontato con le ultime due o tre pubblicazioni, ma comunque è una incisione che porta con se molti elementi anche di questi ultimi album. Gildenlow non ha rinnegato nulla, ma proprio nulla, e sicuramente lo ha fatto più che volutamente.
Come tutte le incisioni dei POS questo “In the passing light of day” è originale al punto giusto, ma soprattutto ostico ed ascoltabile al tempo stesso, caratteristica quest’ultima che ultimamente sembrava persa con i “Road salt...”. In termini culinari potrebbe essere definito un album agro-dolce. Probabilmente è una incisione destinata ad essere apprezzata sempre più dopo ripetuti ascolti, ma per il momento va riconosciuta la bontà di base dell’opera. Il tempo sarà poi giudice come lo è stato per le loro precedenti produzioni.  
e) Conclusioni
(ovvero Ending theme)
Consigliato?: Sicuramente si, soprattutto se si è fans accaniti.Cosa ci si deve aspettare?: Un buon album alla Pain of Salvation.  Quali Pain of Salvation? Quelli prima del 2007 o quelli dopo?: Ce n’è per tutti i gusti, soprattutto quello dei tempi passati...ma non solo.  Gildenlow non va perso di vista e sono convinto che continuerà a sorprenderci.






Daniel Gildenlöw: voce, chitarra, flauto, tastiere,  basso, batteria e percussioni, fisarmonica, zither
Ragnar Zolberg: chitarra, voce, tastiere, fisarmonica, zither
Daniel D2 Karlsson: grand piano, tastiere, cori
Gustaf Hielm: basso, cori
Léo Margarit: batteria, percussioni, cori

Anno: 2017
Label: Inside Out
Genere: Progressive Rock/Metal

Tracklist:
01. On a Tuesday
02. Tongue of God
03. Meaningless
04. Silent Gold
05. Full Throttle Tribe
06. Reasons
07. Angels of Broken Things
08. The Taming of a Beast
09. If This Is the End
10. The Passing Light of Day

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