Dopo alcuni demo, un EP prodotto dalla Urban di Perugia e numerosi concerti, i Fata arrivano finalmente alla realizzazione del loro primo album, questa volta sotto l’egida di Gabriele Rustichelli della Zeta Promotion di Bologna che lo produce.
Diretti artisticamente da Davide Romiti, bassista della band, i Fata in questo disco si avvalgono inoltre di importanti collaboratori: Davide Pellicani, il loro sesto elemento, che li ha supportati dal vivo come tecnico del suono e di aiuto regia per la lavorazione del disco, di Marco Trentacoste, musicista e produttore di Deasonika, Le Vibrazioni, Malfunk, Rezophonic che ha curato il mix di tre brani e di Enrico Prandi, musicista e compositore modenese e membro fondatore dei Ladri di Biciclette che ha collaborato all’arrangiamento di archi synth su 4 brani. Il disco è ben confezionato: ottima la grafica, con all’interno del booklet foto e testi. Le sonorità sono quelle tipiche degli anni 80 con chitarre e basso effettati, che in alcuni casi ricordano gli U2 in versione ‘dark’ ma con la voce di Roberto Ferrari che, per fare un paragone di timbro, assomiglia a quella di Francesco Renga. Sono brani comunque pop, tristi e melanconici, vellutati di nero, un ‘nero’ più o meno presente in tutto il disco sia nelle musiche che nei testi, questi ultimi ricchi di poesia: difficoltà nel relazionarsi con gli altri, nella negazione e nell’isolamento col mondo attuale: “…ho indifferenza naturale per le cose e le persone che non hanno mai capito niente/ho la sensazione di essere guardato ogni giorno in ogni mentre…e io non so che cosa fare e sparo sparo/ho un mio passato militare in questo mondo debitore che non mi ha saputo amare e ora ho in un attimo il potere di decidere la fine …” (nella splendida “Nella Mia Noia”). E’ complessivamente un buon lavoro questo dei Fata, ma per assaporarne intensamente il gusto bisogna catapultarsi nell’epoca ‘eighties’, fatta di vestiti in pelle, scarpe lucide e occhi truccati. Solo alcuni episodi hanno un piglio più moderno e che ci sono piaciuti di più, come nelle danzanti “Cosa Pensi Di Me” e “Sogni Di Carta” col ritmo alla ‘Subsonica’, o in “L’assenza” che spacca radiofonicamente, dove affiorano similitudini con gruppi Indie-Rock odierni. Ed è quello che chiediamo alla band, continuare su queste linee distaccandosi da quel periodo, glorioso è vero, ma che rischia però di risucchiarli nel vortice della nostalgia e quindi del dimenticatoio. 70/100
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Roberto Ferrari: Voce Anno: 2007 |