Antefatto: all’inizio dello scorso autunno i Pooh diedero notizia che avrebbero celebrato i 50 anni di carriera con due date esclusive a Milano (10 giugno 2016) e a Roma (15 giugno 2016) assieme al redivivo Riccardo Fogli (lontano dal gruppo dal 1973), dopo di ché avrebbero dato il loro definitivo addio alle scene. Per questo motivo i biglietti acquistabili on line sono andati a ruba nel giro di poche ore dall’inizio della prevendita. Poche ore dopo sono state aggiunte due date, una replica a Milano per il giorno successivo (11 giugno) e una data a Messina per il 18 giugno. La risposta dei fan non si è fatta attendere, tanto che il gruppo ha deciso (sempre che non l’avesse già previsto a tavolino) di promuovere un tour che toccherà i Palasport della penisola nel prossimo autunno. Fatto è che allo stadio di Milano San Siro, venerdì 10 giugno, si contavano più di 50.000 spettatori paganti. Non crediamo di sbagliare affermando oggettivamente che il palco e le attrezzature scenografiche montate per l’occasione non avrebbero sfigurato di fronte agli ultimi concerti dei Pink Floyd di Gilmour, tanto è stato il dispiego di mezzi tecnici ben al di sopra di qualsiasi altro artista italiano (ed estero) e, per dirlo in poche parole, se voleva essere una festa, una Festa è stata. I Pooh, volenti o nolenti, fanno parte del nostro DNA; non c’è alcun italiano nato da 50 anni a questa parte che seppur disdegnando i loro brani ritenuti “commerciali”, non ne conosca almeno una decina e sia cresciuto con essi (complici magari i genitori che hanno la stessa età dei musicisti che si sono esibiti sul palco di San Siro). Il set ha toccato una cinquantina di brani pescando nel lungo repertorio della band. Poiché per l’occasione ai 4 Pooh (anche Stefano D’Orazio che ha lasciato il gruppo nel 2009 è rientrato per questo tour) si è aggiunto Riccardo Fogli che aveva dato forfait durante il tour di “Alessandra”, è stato “naturale” ripescare brani risalenti al periodo 1966/1972, per affidarne la voce (e in un’occasione anche il basso) a Riccardo Fogli. Quest’ultimo si è anche destreggiato in alcune canzoni (per un totale di 33 su 50) del periodo post ’72 con risultati altalenanti (in alcuni brani è sovvenuto il dubbio che fosse intervenuto qualche escamotage tecnico per sopperire ad un voce non sempre puntuale). Tuttavia, considerando che Fogli era lontano dalle scene - anche come solista - da molti anni e certamente durante la sua carriera non si è mai dovuto rapportare ad un pubblico minimamente paragonabile a quello degli ex-colleghi, tantomeno a quello di San Siro (mentre i 4 componenti classici hanno macinato in più di 40 anni, migliaia di concerti e passaggi televisivi), possiamo affermare che nel complesso se l’è cavata egregiamente. In forma smagliante, musicalmente parlando, il resto della band, compreso Stefano D’Orazio che ha dovuto riprendere in mano le bacchette dopo una parentesi di 7 anni. È chiaro che nell’arco dei 160 minuti di concerto i 5 Pooh hanno sì spaziato dagli inizi della loro carriera (“Vieni fuori”, rifacimento in italiano di “Keep On Running” portato alla ribalta dal The Spencer Davis Group nel 1965) fino agli ultimi episodi (“L’aquila e il falco” da “Dove comincia il sole” del 2010, unico album senza Stefano D’Orazio), ma per molti brani si è trattato solo di un assaggio. Lasciando allo stuolo di fan prettamente femminili le hit e i brani più “neo-melodici” (“Stai con me”, “La ragazza con gli occhi di Sole”, “La mia donna”, “La donna del mio amico”, “Dimmi di si”), è stata invece una lieta sorpresa riascoltare due brani magistralmente orchestrati e mai dimenticati, estratti da singoli e quindi mai apparsi su album, se non in determinate raccolte. È così che sono stati rispolverati “Se sai se puoi se vuoi”e “Per te qualcosa ancora”. Ma il piatto forte, quello che ha riconfermato i Pooh come un quintetto di musicisti straordinariamente preparati, colti e capaci di proporre brani indubbiamente interessanti sotto il profilo strettamente musicale (è peraltro incredibile come a 70 anni e dintorni sappiano ancora trovare una voce così potente e precisa, anche se in qualche caso i cali – comprensibilissimi – si colgono) è costituito da quella rosa di 7/8 episodi in cui hanno primeggiato le parti strumentali e in cui oggettivamente erano molto evidenti i richiami ad atmosfere progressive. Ci riferiamo alla suggestiva “La gabbia” a cui è seguito l’estratto strumentale da “Il ragazzo del cielo”, “Risveglio” e “Viva”, intervallate queste dall’incedere di brani dal sapore epico come “L’aquila e il falco” e “L’ultima notte di caccia”, per sfociare infine più tardi nell’apoteosi scenica/musicale di “Parsifal”, in cui il concerto ha raggiunto il suo apice emotivo. Un plauso a parte per la toccante “Pierre”, presentata da Facchinetti come un brano in cui si toccavano argomenti allora problematici (stiamo parlando di 40 anni fa) e che fortunatamente oggi non lo sono più, ma anche ad “Alessandra”, dedicata alla primogenita del tastierista, nata nel 1972. Come consuetudine il finale è dedicato ad alcune hit e termina con l’evergreeen “Pensiero”. Ma c’è spazio ancora per il brano inedito e non poteva che chiamarsi “Ancora una canzone”, sostituendo a malincuore l’outro di “Ancora tra un anno”, con cui la band era solita chiudere i concerti fino a qualche tempo fa. Se questi sono stati gli ultimi Pooh, quella di venerdì 10 giugno è stata una degna ed emozionante chiusura per siglare una carriera lunga 50 anni ed è stato bello esserci. |
Roby Facchinetti: tastiere, voce Data: 10/06/2016 Setlist:
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