Roma, 05 Luglio 2015 - Cavea Auditorium Parco della Musica
I Toto sono uno di quei pochi, selezionati gruppi che riescono a mettere d’accordo quasi tutti. I maniaci della tecnica strumentale non possono fare altro che plaudere all’elevatissima perizia esecutiva dell’ensemble americano; coloro che al contrario cercano dalla musica solamente ludica evasione troveranno sempre conforto nell’apparente semplicità dei refrain di “Rosanna” e “Africa”, lasciando scivolare i loro corpi sudati nel vortice del groove e facendoli ondeggiare per mezzo dei lascivi ritmi dettati dai timbales di Lenny Castro; buona parte dei metallari della vecchia guardia li adora e sono il perfetto prototipo dei “musician’s musicians”, stimati dai colleghi che da decenni richiedono i loro preziosi servigi come turnisti… è assolutamente verosimile affermare che in almeno il 90% delle collezioni di dischi di tutto il mondo ci sia come minimo un album in cui appaiono come ospiti Steve Lukather, David Paich o uno qualunque dei fratelli Porcaro.
Così, alcuni poveri di spirito, ponendosi alla ricerca di un minuto di celebrità facendo garrire il vessillo dei bastian contrario, li accusano di essere mainstream, commerciali, di suonare “musichetta” e, accusa che vorrebbe essere la più infamante di tutte!, di non essere abbastanza “prog”… se solo sapessero che uno dei guru assoluti della scena progressiva del Bel Paese, seduto accanto a me nelle prime file di galleria dell’Auditorium capitolino (sala Cavea, quella all’aperto), era totalmente, e a buona ragione, galvanizzato dall’esaltante performance dell’act statunitense!
I Toto sono dei fenomeni e non lo scopriamo certamente da oggi. Grandi musicisti capaci anche di scrivere canzoni splendide, mettendo in mostra un songwriting assolutamente variegato, che cita con spregiudicata naturalezza pop e hard rock, funky e ballate, e persino ardite partiture progressive: e l’altra sera non ci hanno assolutamente delusi.
La line-up del tour attuale, che promuove in giro per il mondo il recente XIV, licenziato dalla sempre attenta Frontiers, è assolutamente stellare, annoverando ben 4 elementi della formazione originale: Paich, Lukather, Steve Porcaro ed il bassista dei primi quattro dischi, riservato e puntuale Dave Hungate. A loro si aggiungono Joseph Williams, il cantante di Fahrenheit e The Seventh One (alcune imbarazzanti performances “ammirate” recentemente in rete ci portano a non rimpiangere il decadutissimo frontman originario, Bobby Kimball), il potente batterista Shannon Forrest (spero di aver afferrato bene il nome), Lenny Castro alle percussioni e due ottimi coristi, l’avvenente Jenny Douglas e l’erculeo Mobuto Carpenter. Una vera e propria orchestra a nove elementi, ed è proprio la presenza dei coristi a lasciarmi inizialmente perplesso, ma ci vuole poco a capire che Williams ha bisogno di carburare e la seconda voce di Lukather non è più quella di una volta. Poco male, l’impianto vocale dei Toto è comunque ottimizzato dallo spessore notevole dei due backing vocalist, e comunque la prestazione di Williams, una volta riscaldatosi, migliorerà costantemente nel corso dei 100 minuti del set.
Set nel quale fanno capolino alcuni brani tratti dall’ultimo full length che, ammetto, ho ascoltato solamente un paio di volte, eppure mi sono apparsi subito familiari e godibilissimi, con menzione particolare per l’eccellente “Great Expectations”, autentica piece-de-resistance di prog “all’americana” che chiama di volta in volta al proscenio quasi tutti i membri chiave della band. Accanto a scelte prevedibili ma naturalmente azzeccatissime come lo strabiliante hard rocker “Hold The Line”, il brano con il quale li conobbi nel lontano 1979 tramite la radio che a casa mia era sempre accesa negli anni della mia infanzia, oppure una “I’ll Supply The Love” dal mood solare e rigenerante, ecco palesarsi a sorpresa scelte meno prevedibili come una “Takin’ It Back”, anch’essa ripescata dal seminale primo disco, e all’epoca mai suonata dal vivo, che ha consentito a Steve Porcaro di evidenziare il suo timbro vocale sussurrato. Un brano che nel suo andamento apparentemente disimpegnato ci conduce per mano in un viaggio nella migliore musica d’intrattenimento angloamericana, citando Steely Dan, Joe Jackson e Pat Metheny.
Lukather si era già conquistato una meritata ovazione prendendo a calci un paio di addetti alla sicurezza che avevano provato ad impedire al pubblico della platea di lasciare i posti a sedere per ammassarsi sotto il palco (siamo ad un concerto rock, mica ad una barbosissima prima alla Scala!), ma ha poi vinto definitivamente una audience ben disposta ad essere blandita con una colossale versione della ballad strappamutande “Without Your Love”, arricchita nell’assolo dalla citazione hendrixiana di “Little Wing”. E ha saputo emozionare anche con le sue semplici parole di ricordo nei riguardi degli ex membri scomparsi, Jeff e Mike Porcaro, nonché del mitico Chris Squire, il bassista degli Yes, per il quale ha aggiunto una breve citazione, alla chitarra acustica, del capolavoro “Fragile”.
David Paich, vecchio marpione, ormai trasformatosi nel sosia di Elton John, contribuisce agli impasti vocali con il suo registro più low-key, suona il piano elettrico (lasciando a Steve Porcaro le tastiere di stampo più eighties), gigioneggia con il pubblico anche durante le canzoni, andando a salutare un bambino di non più di sette anni che un poco accorto papà, posizionato in prima fila, ha tenuto in braccio per tutto il concerto; Paich da l’impressione di divertirsi un mondo e di essersi ritagliato un ruolo solo all’apparenza secondario, quasi di regista occulto dello spettacolo, che per quanto mi riguarda ha avuto come protagonisti assoluti un Lukather da tempo assurto all’empireo dei migliori chitarristi di sempre, e un Lenny Castro che senza suonare “sopra” la batteria si è reso invece complementare con il suo impressionante set percussivo; e alla fine ha imitato i timbaleros dei Santana, ritagliandosi uno spot solista con tanto di vocalizzi in lingua spagnola nella migliore tradizione latin-rock.
Una serata che temiamo possa essere irripetibile (quante altre possibilità ci sono che i Toto si ripresentino con una line-up così vicina a quella originale?) e che resterà fra i nostri ricordi più indelebili. Toto: quando il Rock e la Classe convivono dentro la stessa anima.
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Joseph Williams: voce Steve Lukather: chitarra, voce David Paich: tastiere, voce Steve Porcaro: tastiere, voce Dave Hungate: basso Shannon Forrest: batteria Lenny Castro: percussioni Jenny Douglas: cori Mobuto Carpenter: cori
Data: 05/07/2015 Luogo: Roma - Cavea Auditorium Parco della Musica Genere: Rock, Hard Rock, AOR, Prog Rock
Setlist: Running Out of Time I'll Supply the Love Burn Stranger in Town I Won't Hold You Back Hold the Line Takin' It Back Never Enough Pamela Great Expectations Without Your Love/Little Wing Holy War The Road Goes On Orphan Rosanna On the Run/Goodbye Elenore (with Child's Anthem snippet) Africa
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