Home Recensioni Live Red Hot Chili Peppers - Udine, 28 Giugno 2007

Red Hot Chili Peppers
Udine, 28 Giugno 2007

Udine, 28 Giugno 2007 - Stadio Friuli

Photo courtesy: VeniceQueen.it & JohnFrusciante.it

Le emozioni che provo ascoltando la musica dei Red Hot Chili Peppers le condivido sempre meno volentieri, quasi a volerle tener prigioniere nel mio cuore, senza rendere pubblico il mio amore e la mia devozione per il loro funk rock. Così anche per questo concerto fino ad ora mi sono sbilanciato poco: chi mi ha domandato il classico “cosa ne pensi del live di Udine?” ha ricevuto solo la risposta “mi sono divertito” e poco altro…
Ma alla fine, mi son deciso pure io a scrivere qualcosa di concreto, forse, pensandoci bene le emozioni vanno condivise e per me è sempre un immenso onore farlo con voi…

La mia giornata alla Stadio Friuli di Udine inizia verso le 5 di pomeriggio quando, dopo un’estenuante viaggio partito da Prato cinque ore prima, i miei “piedini” pestano finalmente il prato che di lì a poche ore dovrà sostenere il non facile compito di sopportare il mio atterraggio dai vari salti eseguiti insieme agli amici Magic Medicine durante l’esibizione di Kiedis & Co.

Trovata una postazione adeguata (ad una ventina di metri dal palco) comincio a scambiare opinioni con i miei compagni di viaggio sulla scaletta, su quanto possano essere in forma e sui pezzi che suoneranno…insomma le solite menate da fan sfegatato patetico. Nel frattempo dall’amplificazione dello stadio mi ascolto qualche pezzo degli Ac/Dc e di Richard Cheese, ballettando come nemmeno la miglior Carla Fracci in anfetamine.

Il tempo passa così velocemente che nemmeno me ne accorgo: sono le 19 circa e sul palco sale un mix tra Scott Weiland dei Velvet Revolver e Mika: il suo nome e Mikey Avalon.
Sinceramente non ho prestato granché importanza alla sua prestazione, né tanto meno al dj che emanava basi ballabili e catchy…l’unico momento nella quale i miei occhini verdi si sono incollati al palco è stato quando sono entrate due ballerine, dai tratti asiatici e con tutine nere mozzafiato, che definire sexy è poco. L’esibizione di Avalon dura circa una mezz’oretta, in pochi intorno a me sembrano particolarmente colpiti, ma i ragazzi di sesso maschile qualcosa l’hanno apprezzato eccome.

Il tempo continua a trascorrere sereno, il sole comincia a calare e sul Friuli comincia a scendere un piacevole vento che rende meno estenuante l’attesa dei Wu Tang Clan. Sugli occhi della gente è palese intravedere l’emozione di chi sta per riavere un contatto con i propri beniamini, o magari lo sta per avere per la prima volta.

Sono da poco passate le 20 quando sul palco arriva anche la crew più popolare dell’hip hop moderno. RZA e soci, nonostante siano discograficamente fermi da circa 6 anni sul palco si dimostrano essere una macchina da guerra impressionante, gli intrecci vocali sono riuscitissimi e questi ragazzoni di colore sanno come tenere un palco, eccome …
Dei membri, U-God (da sempre il nome meno appariscente e di successo della band) sembra essere quello più voglioso ad interagire col pubblico presente, avvicinandosi più volte al lato sinistro del palco, salutando la gente e sorridendo. Indubbiamente l’apice della loro esibizione arriva grazie a “C.R.E.A.M.” (acronimo di Cash Rules Everything Around Me), dove anche il pubblico più dubbioso si lascia andare in una danza collettiva che ha contagiato anche il sottoscritto. Il “clan” saluta tutti dopo un’ora scarsa di esibizione (ottima), mandando un solo e semplice messaggio: PEACE!
Pare assurdo sentito da soggetti spesso al centro di diatribe interne nemmeno tanto nascoste, ma nel contesto nessuno ha avuto da ridire. Nel frattempo alzando gli occhi ci si accorge che il sole è ormai calato per lasciar spazio all’illuminazione artificiale dello stadio … l’aria comincia a farsi elettrica, qualcuno comincia a strillare pensando di vedere qualche Peppers sul palco, ma è ancora presto, dovremmo attendere ancora un po’.
La tensione si taglia a fette, troppa l’attesa (ennesima) consumata in queste settimane per essere pienamente rilassati.

Sono passate da poco le 22 quando finalmente, John, Chad e Flea entrano sul palco: boato totale che sembra far tremare anche il terreno.
Imbracciati gli strumenti, si parte con la solita jam introduttiva, questa volta di stampo bluesy e più rallentata nelle parti iniziali, con un Frusciante meno “liquido” e con un Smith meno ossessionato ... ma è solo questione di secondi perché ben presto si accelera sotto gli incessanti e potenti colpi di batteria, con il riff che si fa più veloce e con il basso a mantenere sostenuto il ritmo.
Terminata l’introduzione si nota subito che ci sono problemi con la pedaliera di John, che chiede aiuto alla sua sinistra invitando sul palco un tecnico … il tutto sembra sistemarsi in pochi secondi ma già c’è chi pensa che John da adesso in poi non sarà più lo stesso … sarà incazzato per il proseguimento dello show ... ma così non sarà.

Si riparte con il riff riadattato di “Can’t Stop” che fa da tema entrante per l’unico ancora assente sul palco, Anthony. Il singer pare essere subito in palla, danzando a passi sostenuti verso il centro del palco con addosso una specie di accappatoio e relativo cappuccio a coprirgli anche la testa: arrivato al microfono si parte col rap scioglilingua … altro delirio totale che copre i primi secondi del pezzo, poi tutti ad unisono a canticchiare il filastroccante ritornello, come un semplice ma efficace orgasmo collettivo. Ma non c’è tempo per respirare che parte il rullante di “Dani California”, il singolo apripista di Stadium Arcadium tiene alta la scarica elettrica diffusa nei primi minuti quasi da filo conduttore perfetto per la danza sciamanica che si sta esercitando ad unisono ai piedi del palco; arrivati alla terza traccia effettiva arriva la prima sorpresa: “Under The Bridge”.
Il classico immortale dei quattro californiani solo di recente ha trovato questa collocazione, lasciando un po’ di sasso chi non aveva seguito il recente percorso live della band. Anche il sottoscritto obiettivamente è rimasto un pochetto interdetto, vuoi perché un pezzo del genere merita magari un’anticipazione diversa, vuoi perché per chi segue la band on the road da anni non era mai stato abituato a sentirla così presto. Dopo il dolce arpeggio frusciantesco nel finale arriva il basso affettato ad introdurre una “21st Century”, in partenza rallentata ma che poi si riprende bene, per scivolare poi nel solito groove che la riproposizione live assicura al contrario di una versione studio troppo “plastificata”.

Ma poco male, non c’è tempo per fare troppi discorsi che Flea, assunta una posa plastica e impostando le sue mani lungo le corde del basso introduce uno dei migliori pezzi mai composti dalla band nel passato più recente “Parallel Universe”.
Qui la coesione tra gli strumenti assume un apice pazzesco, con un flusso sonoro elettrico affascinante e totalmente ipnotico, con un Kiedis prima rilassato, poi urlatore incontenibile nel chorus.
Primo grande momento clou della serata a parere di chi scrive, e nemmeno l’unico. Un altro dilemma che ha accompagnato molte delle fan di Frusciante nel pre-concerto friulano sarà sicuramente stato: “Ma che intermezzo farà John?”
In molti si aspettavano qualcosa degli Abba o dei Bee Gees, i più gettonati dal chitarrista newyorkese negli ultimi tempi, ma questa volta è voluto tornare un pochetto indietro riproponendo grazie al suo falsetto (c’è chi l’ha trovato fastidioso, ma magari fossero così fastidiosi i falsetti) “Maybe” di Arlene Smith: scontato dire che il pubblico presente abbia sovrastato Frusciante.
Esaurita la prima mezz’ora di concerto l’affiatamento tra i quattro pare ormai buono e “Snow”, acclamata solo come una volta veniva acclamata “Otherside”, ne pare la prova palese. Pur non essendo un pezzo particolarmente rappresentativo ed efficace, nel ritornello è difficile restare a bocca chiusa, così come è difficile farlo vedendo Kiedis chiudere gli occhi rivolto verso l’amico Flea (quello che in studio pare mero accompagnamento, in sede live vede il bassista più “arzillo”), mentre Chad Smith sfoggia sempre la sua stessa carica alla batteria, emanando insieme a Frusciante un muro di suoni molto compatto. Se “Get On Top” pare appartenere sempre meno alla band in termini di sound e attitudine sonora (non memorabile questa riproposizione), con “Emit Remmus” la band si riprende alla grande aiutata anche dal fido Josh Klinghoffer alla seconda chitarra, in disparte per quasi tutto lo show ma utilissimo alla causa, dimostrando non solo grande umiltà ma anche grande professionalità ed affiatamento con ormai l’inseparabile John.

Purtroppo, sempre a parere di chi scrive, “So Much I” è un altro punto debole dal punto di visto tecnico di questo show: il pezzo in sede live acquisisce sicuramente una carica maggiore rispetto a quella dell’album, ma Kiedis non regge il ritornello, addirittura arrivato al secondo la sua voce pare sovrastata da gli strumenti (comunque, per dovere di cronaca, il vocalist dei Peppers era in preda ad un forte mal di gola), ed inoltre la già citata coesione tra gli strumenti, a tratti, pare perdersi.
Sul maxischermo appare uno striscione dei fan in prima fila con una citazione a “Baby Appeal”, Anthony non si fa sfuggire l’occasione per rendere omaggio abbozzando una strofa (qui, la mia circolazione sanguinea si è fermata per un attimo). Tempo qualche istante, parte il groove di “C’mon Girl”, ben eseguita e trascinante nel ritornello, dove il cantante si riappropria delle sue corde vocali ed il basso di Flea pulsa energia virale.
Fino a qui, per certi versi la scaletta ancora non ci ha donato una vera chicca, uno di quei pezzi “storici” che fanno sì che anche gli EX FAN alla fine dell’esibizione dicano “almeno hanno fatto quella”: ecco allora che arriva “Me And My Friends”. Accoglienza un po’ freddina a dire il vero per uno dei pezzi più terremotati e coinvolgenti del primo repertorio del gruppo losangelino. Eppure John si dimena come un ossesso, Kiedis si lancia in un rap veloce ed efficace, mentre vedere Chad violentare sui tamburi ha provocato più di un amplesso nel sottoscritto. Alla fine del pezzo, Kiedis si avvicina al microfono “lamentandosi” (notare bene le virgolette) di un pubblico che non ha contraccambiato il flusso energico del pezzo.
L’aria ad Udine ormai è pregna di funk, il pubblico è caldo e la band pure, tant’è che è arrivato il momento di ballare sotto la cascata di note di “Hump De Bump”, che troverà il suo apice interno nell’intermezzo strumentale.
In questa occasione anche i più lontani dal palco vedranno Josh bene per la prima volta in volto affiancarsi a Chad per malmenare le percussioni. Anche Flea che lascia il suo basso a terra per impossessarsi di un paio di bacchette ed aiutare il buon vecchio drummer in un flusso tribale che ha fatto tremare il suolo; Kiedis cerca una linea vocale balbettando dei versi, mentre John si ferma ad osservare i tre dietro di lui torturare le pelli: il pubblico si lascia ad una danza tribale, l’obiettivo è raggiunto … let’s dance!

Arriva così anche il momento di “By The Way”, ormai un classico ed obiettivamente uno dei pezzi migliori delle ultime produzioni dei Red Hot: il pezzo trascina ben bene i presenti, John comincia a contorcersi mentre sputa il suo riff “strozzato”, mentre Kiedis ritorna a fare lo spaccone supportato dai frenetici colpi della ritmica.
Altra scarica di adrenalina. La band adesso si ferma, uno ad uno i quattro cavalieri del funk lasciano il palco, ma è solo questione di un attimo perché Flea, imbracciando la tromba, si avvicina al centro del palco per il suo classico intermezzo, rientra anche Chad e si parte: il batterista si ripresenta dando un tempo al minuto bassista australiano, che delizia il pubblico emanando un suono dall’aroma jazz, se vogliamo anche un po’ sgangherato e scanzonato.

È il momento dell’encore: quando parte l’arpeggio iniziale ad introdurre “ I Could Have Lied” sembrano in pochi a crederci, ma è così: una delle più belle (forse la più bella) ballata da loro mai composta si materializza lasciando il pubblico letteralmente esterrefatto. Kiedis canta con gli occhi chiusi, Frusciante lo guarda mentre sta per sputare dalla sue sei corde l’assolo: forse pensano ad una stagione che non tornerà, ma ricordarla così è sempre un’emozione unica.
Si avverte che dopo quasi ottanta minuti di concerto siamo al rush finale, d’altronde tutti ormai dovremmo sapere che la band in genere non supera i 90/95 minuti di show, ma qualcuno nel dopo concerto si lamenterà della scarsa durata … forse una cura a base di vitamina C potrebbe aiutare questi individui in un futuro prossimo.
Come allora terminare alla grande uno show se non con il funk bagnato di psichedelia di “Sir Psycho Sexy” ?
Ed allora si parte … ”long long long long time ago … before the wind, before the snow”: siamo in 40mila ad intonarla e a farci trascinare dalla metrica di un Kiedis (questa volta più sicuro nei tempi rispetto alla versione del DatchForum dello scorso novembre) supportato dal resto della band che tesse alle sue spalle il sabba che oggi, a 16 anni dalla sua nascita, assomiglia più ad un rito propiziatorio.

Siamo al termine, ma gli ormai ex ragazzi prima di andarsene ci regalano anche “They’re Red Hot”, ancora più veloce e saltellante che su album e degna chiusura di questo show.
Se ne vanno, solo Flea si intrattiene un pochetto di più facendo anche qualche finta di rientrare sul palco, ma è davvero finita: le luci si riaccendono e gli altoparlanti, come quasi a voler chiudere un cerchio, diffondono nell’aria le dolci note di “If You Want Me To Stay” nella sua versione originale di Sylvester Stone. Qualcuno dalle tribune accenna qualche fischio.

Il giorno seguente, blog intitoleranno al fallimento più totale e su youtube qualcuno immetterà dei video intitolati “RHCP ad Udine: delusione totale”. Ognuno ha il diritto di esprimersi come vuole, anche se qualche domandina mi verrebbe voglia di proporgliela; il dibattito potrebbe magari aprirsi sulla scaletta che magari ha visto assenti in contemporanea un numero eccessivo di classici, su un’organizzazione assai approssimativa (Udine capitale europea del rock per un giorno? Naaaah, non ci siamo ancora!).
Resta il fatto che a brevi tratti i Red Hot appaiono sbiaditi come una vecchia fotografia degli anni ’70, ma il loro dinamismo e affiatamento è tutt’oggi impressionante: un rullo compressore di suoni trascinante ed emozionante come poche rock band possono garantire, una personalità inimitabile ed un sound che non tende a cedere il passo.

Questi sono i Red Hot Chili Peppers a parere di chi, impattando le proprie dita sulla tastiera del pc sta scrivendo le ultime parole del resoconto di una giornata, che comunque sia non dimenticherà mai.

 


Data: 28/06/2007
Luogo: Udine - Stadio Friuli
Genere: Rock/Funk

 

 

 

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