E siamo al disco di debutto della band dei miei corregionali Lightless Moor, 'The Poem-Crying My Grief To A Feeble Dawn' è composto da 8 tracce per un totale di ben 50 piacevoli minuti di potente, catchy oriented gothic doom con riferimenti al passato ventennio e non, in cui sono ben chiare le influenze decadenti del proto death-doom anni '90 e suoi successivi stati evolutivi nord europei (Anathema, Paradise Lost, My Dying Bride, Theatre Of Tragedy, Therion, Katatonia, Orphanage, The Gathering ...etc) in cui a mio parere è già stato scritto ed inventato tutto in ambito musicale estremo, nella fattispecie nel settore di cui parliamo in questa recensione. La formazione prevede 6 componenti tra cui voce femminile e maschile, tastiere e doppia chitarra, un sestetto standard ottimo per diversificare e stratificare le composizioni elaborate pur nella loro immediatezza, cosa che ai Lightless Moor capita a tratti in maniera convincente. In “The Poem-Crying My Grief To A Feeble Dawn” si possono assaporare sia le melodie che gli estremismi, con un continuo 'stridere' tra voce heavenly oriented, le tastiere sognanti a tappeto da una parte e di contro la voce maschile gutturale con sezione ritmica sostenuta distorta su tempi vari, cupi e pesanti. Il tutto davvero ben suonato con gusto e sapienza, oltre ai ritmi alternati a innesti atmosferici di impatto sicuro.Certo le sonorità gothic-doom prendono sempre il sopravvento in questo disco come è giusto che sia, con la decadenza e le forti tinte dark gotico romantiche a inscurire la cristallina verve delle tastiere quasi onnipresenti in tutto l'arco del cd in un ponte diretto che collega l'architettura delle strutture musicali alle linee vocali, dove quelle femminili seguono l'andamento ritmico semplice e quelle maschili spezzano un attimo gli schemi sconvolgendo alcuni punti focali: il che denota tutto un lavoro certosino di pianificazione, ideazione e sviluppo del concept non di poco conto. Una cosa è certa: il disco pur non essendo il massimo dell'originalità tiene davvero bene e in certi frangenti esalta sino alla terza traccia "Arabian Nights" mentre in "Cento Respiri (Slave)" (dove però trova spazio un bellissimo giro di tastiera) il tono aulico del brano e la sua vena da ballad crepuscolare lascia con l'amaro in bocca e non si confà ad una band che annovera tra le sue influenze anche alcune scorie lontane di metal estremo figlie del genere (parere personale) mentre analizzando la cosa da un punto di vista oggettivo questi cali di tensione forse possono fare da attrattiva per i fan meno esigenti e più devoti al 'mainstream' e simili sulla scia di altri esempi nazionali di più successo... Ma dato che per me conta non tanto il variare 'forzato' come imposizione di genere e dettato dalla necessità di cambiare, ma piuttosto la continua ricerca di soluzioni originali e personali che rendano un sound proprio e distinguibile credo che i nostri Lightless Moor siano solo all'inizio del loro percorso musicale e della ricerca di uno stile univoco, e ciò non intacca minimamente il valore di questo "The poem..." il quale con i dovuti accorgimenti sarebbe stato ancora più convincente e che comunque fa riflettere sul cambiamento dei tempi, dove una giovane band arriva dopo un solo demo al debutto ufficiale, pur essendo in questo caso i L.M. totalmente all'altezza. L'album comunque risorge già alla quinta traccia "Overwhelming Darkness" che ha un andamento più lineare, ma che rivede il forte dualismo voce angelica/bruta e che al suo interno possiede una melodia che mi ricorda le atmosfere nord europee, complice del fatto la masterizzazione al Finnvox, uno dei miei studi preferiti assieme ai vari Sunlight, Unisound e The Abyss Studios (roba da nostalgici ...nda). Anche "sacrifice" è una bella song dove per un momento la cantante (dotata certamente di una voce molto tecnica e forse troppo per i miei gusti personali/nda) nella parte iniziale usa un tono vocale più naturale che mi piace evitando di 'accentuare ed enfatizzare' con la teatralità interpretativa (come in tutto il resto del disco) con accenti e barocchismi che possono ripagare solo in alcuni frangenti, ma cha alla lunga stancano. Ultra presenti sono le tastiere e le chitarre con ritmica a la Paradise Lost che semplicemente adoro, e che mi riportano indietro nel tempo, in questo caso non posso che togliermi il cappello dinnanzi a degli elementi che pare abbiano recepito appieno la lezione death-doom e che sono riusciti nel non semplice compito di sembrare quasi catapultati nel tempo pur avendo ovviamente dei background differenti e probabilmente anche dei generi di riferimento diversi (questo si capisce da certi arrangiamenti e atmosfere che alcune volte trapelano); anche in "The Lovers And The Forest" ho questa sensazione, e la voce ultra gutturale aiuta non poco a capire che il sestetto è molto legato ad uno stile, ma che quindi i tempi della maturazione sono ormai arrivati, credo che nel prossimo disco sentiremo un notevole passo in avanti, intanto mi sento di lodare tutti, compresi il batterista e bassista in un genere dove purtroppo (o per fortuna) non sono contemplate le troppe 'esagerazioni tecniche' e i troppi 'sperimentalismi' senza sconfinare nel progressive (vedi Opeth e compagnia bella...). Si chiude con l'acustica "The dark side of our souls" che anche stavolta ci regala una più bella e naturale interpretazione vocale e un'aura mistica, vagamente funerea e folk che non guasta affatto come finale di un buon debut consigliato agli amanti del gothic metal moderno e a tutti coloro che adorano il contrasto tra voci femminili pulite e growl maschili gutturali, le storie 'fantasy' che hanno al loro interno una parte di realismo ed intima introspezione esistenziale... Su Youtube troverete il trailer video del disco molto ben ideato, ulteriore nota positiva finale è la grafica del booklet con all'interno tutti i testi che potrebbero essere facilmente consultabili per capire meglio il concept che si cela dietro questo buon esordio. Umile consiglio: lasciate perdere le influenze dell'ultimo momento come Tristania, Within Temptation e Lacuna Coil e provate ad incentrare tutto sui punti fermi del gruppo, la parte vocale che può certamente dare notevoli margini di variazione e performance originali oltre che sul talento di tastiere e sezione ritmica dove di certo si potrà osare di più a livello di arrangiamento, effetti e atmosfere. 70/100
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Ilaria Falchi: voce Anno: 2011 |