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Folkearth
Fatherland

‘Madre patria’ è la traduzione letterale del titolo del nuovo album dei magici Folkearth, trattasi ormai di una band davvero prolifica e questo é il loro terzo disco in un solo anno. Il platter risulta un nuovo passo avanti verso la compattezza e la ricerca di un sound che sia riscontrabile in ambito viking metal e folk metal ma al contempo che si traduca in un marchio distintivo per questo progetto musicale nato nel 2003 in Lituania ma divenuto nel corso del tempo un vero e proprio combo internazionale con la partecipazione di musicisti con una stessa filosofia ma di estrazione e provenienza spesso diversa, ed anche contraddittoria, se si pensa alle radici storiche e culturali…
Il paganesimo e la mitologia sono al centro delle liriche del combo, la musica si sposta dall’epic metal, al folk senza una costante linea predefinita, nonostante vi siano anche fosche trame di metal estremo e alcuni fraseggi davvero ‘evil’ atte a rimarcare certe parti in cui prende piede la fierezza e la primordiale rabbia delle orde pagane e degli antichi dei, non mancano anche le sognanti atmosfere acustiche, i cori trascinanti e altisonanti, e le distorsioni più cadenzate in cui i Folkearth evocano abilmente antiche leggende mescolando la maestria dei tanti componenti che spesso si scambiano i ruoli agli strumenti ed alle voci per dare sfogo alla loro vena creativa.
Di tutto un poco ma fatto con il giusto gusto e stile, il disco in questione segna un miglioramento nella registrazione seppure sempre cupa e non perfettamente bilanciata e nitida (costante ormai imprescindibile) con dei suoni più puliti e volumi regolati diversamente, il fatto che distingue la release dalle precedenti è forse un punto di rottura riscontrato già con il precedente album che tenta di discostarsi da un certo tipo di ‘extreme pagan metal’ per cadere su velature più folk ed epic, di fatti le parti vocali sono strutturate in modo da accompagnare inni più semplici ed avvolgenti perdendo la cupezza selvaggia degli esordi e le distorsioni dai suoni scandinavi.
Quindi si parla di folk-metal cantato da voci maschili cupe ed epiche attorniate da cori, alcune volte quasi narrati ed altre paradisiache e femminili da contro altare molto appropriate a questo loro nuovo stile ‘etereo’

Subito dopo la prima traccia intro di invocazione a Zeus si apre con "Brave Than Heroes (The Battle Of Plataea)" una grande song manieristica ed epica, cadenzata al punto giusto forse un poco ‘sgonfia’ in alcuni frangenti ma che sprigiona tutto lo spirito mitologico e drammaticamente nostalgico dalle canzoni di stampo Folkearth.
"Guardian Of The Bridge" è una song che preferisco con un taglio più metallico, dove gli accorgimenti gotici e ‘patinati’ si innestano solo in alcune parti ma che lasciano in primo piano uno scheletro prode vichingo ed una voce cruda e infernale in un vero viking-style a la Bathory ma bene espresso. La quarta traccia "Freedom or Death (Kosovo 1389)" si ripete con una atmosfera più soave quasi una invocazione ... che trova spazio anche ai violini, un pezzo bello ed a tratti epic power.

Ed ecco appunto i nuovi Folkearth che convincono, ma che si avvicinano ad un sound meno estremo che meno ha a che fare con il death o black metal più basato sull’utilizzo di strumenti quali il violino, liuto, organo, contrabbasso e chitarre classico-acustiche che ricreano un'atmosfera che sa di passato, fiabesca e condita da riferimenti celtici ed anche ellenici.
La saga continua con la splendida e cortissima title-track, una song acustica ed ottima ( a me più gradita) la successiva “The Fall of Atlantis” offre una straziante voce un ritmo quasi orientaleggiante ed uno quasi ‘blackie’ in un unico incedere epico e guerresco accompagnati dai fiati.
Si passa poi a “The Victory Rune” dove la voce maschile lascia il posto alla bella voce di Hildr che con i suoi arrangiamenti epico sinfonici ci mette sempre del suo per caratterizzare i brani, qui lo scontro-incontro tra epic e folk sintetico si mette in luce risaltando con una enfasi diversa e molto interessante, ascoltate per credere.

Un buon disco per i Folkearth quindi, i brani sono meno lunghi che in passato, sono più assimilabili, non dico migliori perché a me piacevano di più qualche anno fa, ma la presenza o meglio, la non presenza di virtuosismi e arrangiamenti ‘a cassetto’ li incoronano come una nuova band più masticabile dai più.
Tracce come “In Blessed Days” e “Cataphract Legion” ne sono un esempio, vocals molto evocative fanno da parte centrale ad un incedere folk metal sinuoso e sincero dove trovano spazio ad incorniciare di nuovo le ritmiche e gli strumenti di accompagnamento, quali il flauto, oramai onnipresente..
L’album è costernato quindi di parti convincenti, si fa ascoltare e stimare di più, é meno complicato quindi meglio studiato a tavolino, si chiude con “Exiled”, una song che è più una outro, individuabile per la voce femminile che è quasi una nenia neo classicista. Musica epica, maestosa, ed anche coreografica se vogliamo, questo ‘Fatherland’ è consigliato.

85/100



Marios Koutsoukos: (Gre)
Luresia: (Gre)
Polydeykis: (Gre)
Hildr Valkyrie: (Gre)
Simon Muller: (Swi)
Metfolvik: (Lit)
Elio D'Alessandro: (Ita)
Loki: (Fra)
Sterghios: (Eng)
Eleanor: (Eng)
Mark Riddick: (USA)

Anno: 2009
Label: Stygian Crypt
Genere: Folk/Viking Metal

Tracklist:
01. Hymn to Zeus
02. Braver Than Heroes Vows (The Battle of Plataea)
03. Guardian of the Bridge
04. Freedom or Death (Kosovo 1389)
05. Terror from the Sea
06. Fatherland
07. The Fall of Atlantis
08. The Victory Rune
09. In Blessed Days
10. Cataphract Legion
11. Exiled

 

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