Chi cresce respirando una determinata aria, obbligatoriamente ne rimane infettato.
Jakko M. Jakszyk ha respirato il progressive fin da quando mosse i suoi primi passi, senza però mai legare la sua fortuna al successo del genere. Il suo nome impronunciabile ha fatto capolino qua e là in qualche booklet per diverso tempo e spesso ha intrecciato le strade di altri nomi più famosi, quali Robert Fripp, Ian McDonald, Mel Collins, Ian Wallace, Hugh Hopper (Soft Machine), fino a Michael Giles, nel quale, oltre che una spalla, trovò un suocero. Dai Japan alla 21st Century Schizoid Band, dai Level42 ai Tangent, questo poliedrico chitarrista è sulla scena da oltre 25 anni e muovendosi sempre nell'ombra, è riuscito a raccattare quelle amicizie di cui sopra, amicizie che tempestano con il loro talento i due volumi che compongono il disco d'esordio del compositore. The Bruised Romantic Glee Club è la prova formato compact-disc di quanto si diceva in apertura. Ok, tirare in ballo Canterbury, nel 2007 può apparire un pò anacronistico, se non addirittura eretico, ma le circostanze lo richiedono. Così siamo costretti perfino a tornare parlare di R.I.O., di jazz-rock, di ambient, di hard-rock, tanto vasto è il suo background. In anni di esperienza Jakko ha imparato l'arte, l'ha messa da parte e ora non intende lasciarsi sfuggire la possibilità di essere, per una volta, al centro dell'attenzione. Pur essendo affiancato da tali personalità, a farla da padrone è sempre lui, con le sue storie di infanzia tormentata, con la sua voce, con il suo incredibile talento, finalmente espresso. Anzi, pigiati al semplice ruolo di semplici musicisti d'accompagnamento tutti questi ego smisurati al limite della leggenda sembrano quasi sparire, per lasciare spazio solamente a Jakszyk e alla sua musica incantata.. I tratti intimistici svaniscono e lasciano il posto alla nostalgia del secondo disco, evocata da una manciata di covers, selezionate tra il meglio dei repertori di King Crimson (Pictures of city, Islands), Soft Machine (As long as she lies perfectly stills) e Henry Cow (Nirvana for mice, The citizen king). È l'ascolto di questi brani a far pensare. Nonostante gli arrangiamenti in parte rivisitati, il loro è un fascino intrinseco, racchiuso e conservato in ogni singola nota. Un fascino che fa riflettere su qualcosa di lontano e, ormai, irrimediabilmente perduto, di cui Jakko Jakszyk è stato testimone silente e attento. 80/100
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Jakko M. Jakszyk: Voce, chitarra elettrica, sitar, chitarra acustica, balalaika, tastiere, basso, programming, fake bass clarinet, percussioni, strings, whistles, mellotron, flauto, stylofono Anno: 2007 |