"Le Comte Ory" di Rossini, rappresentato per la prima volta nel 1828, è la sua prima opera originale francese. Infatti le due opere precedenti in francese, "Le siège de Corinthe" e "Moïse et Pharaon", sono, in senso stretto, solo rielaborazioni delle sue opere italiane "Maometto II" e "Mosè in Egitto"; buona parte della musica proviene dalla Cantata scenica "Il viaggio a Reims", composta tre anni prima.
Si potrebbe definire anche l'ultima opera sfacciatamente erotica composta da un italiano prima del lungo inverno dei sensi del periodo del melodramma verdiano, conclusosi con la "Manon Lescaut" di Puccini al tramonto dell'Ottocento. Opera insolita, in quanto non contiene arie spettacolari né una travolgente ouverture in crescendo e opera complessa: la vocalità è estremamente estesa sulla zona acuta e presenta colorature molto rapide, ma anche momenti intensi come il terzetto del secondo atto che è di rara bellezza. Mancano inoltre parlandi e recitativi secchi. Dal "Viaggio a Reims", Rossini mutua la commistione di buffo e di serio già elaborata con successo nel "Barbiere di Siviglia" e nella "Cenerentola"; ne "Le Comte Ory" fa invece ritorno alla comicità pura delle farse e dell'"Italiana in Algeri". Hugo de Ana, che oltre alla regia si occupa anche della scenografia e dei costumi, si è ispirato a un dipinto del pittore olandese Hieronymus Bosch: "Il giardino delle delizie". Dal trittico di Bosch de Ana sembrerebbe elaborare un pindarico parallelo tra il conflitto vissuto nella castità postulata dalla Contessa e i desideri sessuali del Conte. Ma in definitiva l'arguzia e la raffinatezza musicale della partitura di Rossini vengono mal servite da una brutta regia che ha il solo fine di stupire. I motivi del dipinto, come gli uccelli fantastici, vengono trasferiti sulla scena a mero scopo illustrativo; la regia offusca il fuoco dell'opera incentrato sul meccanismo dell’inganno comune sia all’arte dell’opera che a quella del corteggiamento. Nulla è finalizzato all'interpretazione della musica spiritosa di Rossini e dei versi irriverentemente ambigui di Scribe. Tutto ciò che è sottile e inquietante, l'ironia e l'utopia che si possono scoprire nell'opera di Bosch perdono forza e senso. Gli eccessi gratuiti e di basso livello non si contano: gli inspiegabili dinosauri verdi pugnalati nel finale del primo atto, Ory/suor Colette in monopattino, i crociati abbigliati con imbuto di metallo in testa e il cerchione di un'auto come scudo protettivo. Dal punto di vista scenico, sul palco non c'è tregua con una estenuante movimentazione delle masse. Il problema è che la regia non ha nulla a che vedere con Bosch e nemmeno con Rossini. La mancanza di senso dell'azione che prescinde da tutto ciò che indicano testo e musica è totale. Si perde completamente di vista che si tratta di un'opera francese a cui manca la comicità straripante dell'opera buffa italiana che trova le sue radici nell'antica e popolare commedia dell'arte. Un diluvio coreografico e un'orgia senza pace la cui prepotenza contribuisce ripetutamente a condannare la musica a un sottofondo di accompagnamento. La musica, dicevamo: Antonino Siragusa, tenore più virato sul lirico che di grazia, veterano della produzione rossiniana, è apparso tuttavia incerto nei panni del Conte durante il primo atto con appoggi non sempre impeccabili e qualche opacità nel registro acuto. “Que les destines prosperes” e il duetto con Isolier “Une dame de haute parage” sono timidi e non coinvolgono. Pur centrando tutti i Do alti nel secondo atto, non riesce a infiammare in pagine solitamente travolgenti come quelle sostenute dal coro ne "Ah! la bonne folie!". Sara Blanch come Adèle, possiede la coloratura da soprano e note acute radiose ben eseguite in staccato. Rossini regala alla contessa alcuni dei suoi passaggi e svolazzi più difficili e una generosa dose di virtuosismi tutti eseguiti con precisione e un immancabile senso del colore e del tempismo comico. Agilità cristallina, fraseggio sagace, timbro morbido in ogni registro si sciolgono nella solennità della cabaletta, "Céleste providence", affrontata con siderale sicurezza e scioltezza fino al Si bemolle sovracuto. I piano e i filati naturali risultano raffinati. Il mezzosoprano Lamia Beuque nel ruolo dei pantaloni di Isolier, personaggio che ha più di una affinità con il Cherubino delle Nozze e l'Ottaviano di Der Rosenkavalier, ha cantato con disinvoltura e tono uniforme, incarnando appieno l'energia e la spavalderia adolescenziale della parte e l'infatuazione per Adèle riuscendo a mantenere il suo personaggio a fuoco nonostante la direzione traballante. Calda e seducente ha denotato un timbro ricco e cupo di un vero mezzo lirico, anche se il suo registro acuto spesso fiorisce e a tratti ha la luminosità e la brillantezza adamantina di un soprano. Nicola Alaimo è stato un Raimbaud di sicura presenza scenica, eleganza e curata dizione, a suo agio nella zona medio-acuta, nel legato come nelle agilità. Davide Giangregorio, con solidi centri e disinvoltura negli acuti, ha impreziosito il Gouverneur portando in scena un basso agile e risonante. Completano il cast di buon livello Caterina Dellaere, Silvia Spessot, Pietro Picone e Gianluca Monti, rispettivamente Ragonde, Alice, un cavaliere, un villico. L'interpretazione musicale della direttrice d'orchestra Oksana Lyniv non è invece apparsa illuminante; l'orchestra ha ricevuto poco slancio nei passaggi orchestrali scattanti e tipici di Rossini e l'Introduction è apparsa scialba e senza nerbo: non c'era brillantezza né verve nelle famose melodie in crescendo del compositore e la gestione è risultata puramente metronomica, mortificando la complessità della partitura e denotando scarso dinamismo. È mancata inoltre l'articolata varietà dinamica compensata solo a tratti dalla indiscutibile qualità dell'orchestra bolognese. Il coro, ben diretto da Gea Garatti Ansini, è apparso particolarmente impegnato, dai cori a cappella al frivolo coro di pellegrini fino ad approdare al finale a cinque voci a al coro femminile del secondo atto e sempre con un suono dalle ottime sfumature, ampiezza di accenti e in grado di assecondare le travolgenti tempistiche rossiniane pur nei limiti complessivi della direzione. Foto: Andrea Ranzi
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Le Comte Ory Melodramma giocoso in due atti Musica di Gioachino Rossini Libretto di Eugéne Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson
Le Comte Ory Antonino Siragusa Raimbaud Nicola Alaimo Le Gouverneur Davide Giangregorio La Comtesse Adèle Sara Blanch Dame Ragonde Caterina Dellaere Isolier Lamia Beuque Alice Silvia Spessot Un cavaliere Pietro Picone Un villico Gianluca Monti
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna Direttrice Oksana Lyniv Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia, scene e costumi Hugo De Ana Regia ripresa da Angelica Dettori Revisione scene Manuela Gasperoni Assistente alle scene Greta Carmelini Assistente ai costumi Giulia Giannino Luci Valerio Alfieri Movimenti coreografici Michele Cosentino |