Nati come una evoluzione dei Creed e sopravvissuti ai contemporanei progetti, tuttora in essere, dei singoli componenti della band, gli Alter Bridge sfornano il quinto album in studio senza deludere le aspettative del pubblico e tenendo fede a quelle che sono le caratteristiche che li contraddistinguono: un metal potente ma melodico al tempo stesso. Dopo circa quindici anni di attività, resta immutata la timbrica di Myles Kennedy che, dal vivo (vedi anche e soprattutto i concerti con Slash) o in studio, non sembra avere limiti. Per una delle voci maschili più strabilianti della musica rock-metal mai udite, dotata di una estensione senza paragoni che non teme il confronto con tutti gli altri cantanti del settore presenti e passati, il tempo non sembra scorrere e le sue esibizioni live, senza sbavature, hanno dell'incredibile se si considera l'inalterata capacità di raggiungere sul palco certe tonalità per l'intera durata di una esibizione. Anche in The last hero il vocalist statunitense la fa quindi da padrone e le chitarre di Tremonti non sono da meno per un'ora di buona musica da ascoltare esclusivamente ad alto volume. Nell'ascoltare l'album mi sono però tornate alla memoria alcune parole di uno dei miei primi mentori musicali: spesso i dischi più belli non sono ad opera dei musicisti tecnicamente più bravi, perché proprio per effetto delle proprie capacità, non sono costretti a sforzarsi più di tanto. Mai parole furono più profetiche! Nei cinque album in studio (compreso quindi The last hero) gli Alter Bridge hanno sempre e indiscutibilmente sfornato ottima musica, fatta sia per un pubblico competente che per uno meno attento e più scanzonato, studiata soprattutto per piacere al primo ascolto, ma allo stesso tempo piena di virtù nascoste. Eppure proprio questa bontà è troppo uniformemente simile a se stessa: tutte le composizioni sono costantemente altisonanti e urlate e probabilmente studiate per essere commercialmente appetibili. Ogni brano potrebbe essere una hit da classifica, il che non è sempre un bene. Dare il massimo in ogni momento significa vanificare i propri sforzi per esaltare il pubblico e si rischia di replicarsi troppo spesso. Fatto sta che all'interno dell'incisione è difficile trovare pecche, ma allo stesso tempo è difficile individuare momenti clou. Che dire quindi se non che l'album è sicuramente bello, che piace e continuerà a piacere negli anni a venire, ma che non si distingue per eccellenza rispetto alle altre produzioni degli AB. Mi permetto infine di fare un appunto a qualche commento letto in rete riguardo l'appartenenza degli Alter Bridge al prog metal: gli AB centrano molto poco con il prog. Non basta qualche cambiamento di ritmo a fare prog! |
Myles Kennedy: Voce, chitarra |