Quando si dice che il destino è beffardo non è certo una esagerazione ed in questo caso il concetto calza a pennello.
Quasi nessuno infatti, a parte forse il destino a questo punto, sa che, oltre ad essere un rockettaro sfegatato, sono anche un amante della musica classica. Di questo genere non sarò certo un appassionato irriducibile, di quelli con una cultura enciclopedica con un abbonamento all’Auditorium di Santa Cecilia, ma posso vantare una minima discografia nel settore, costruita sporadicamente nel corso della mia carriera di ascoltatore. Nello specifico, il caso ha voluto che fossi un fervente estimatore di Vivaldi ed in particolar modo della sua più celebre composizione, riconosciuta universalmente tra i capolavori assoluti della musica orchestrale: “Le Quattro Stagioni”. Sempre il caso ha voluto che l’opera mi piacesse così tanto da farmi assistere ad un concerto (a pagamento chiaramente) in una cappella concertistica prospiciente a Piazza San Marco, a Venezia, durante un viaggio di piacere. Per finire, sarà il caso, il destino o la volontà ma, alla spasmodica ricerca di una versione che mi desse le giuste emozioni, ho acquistato ben due incisioni delle Quattro Stagioni: una con Salvatore Accardo al violino solista ed una, superba, con Giuliano Carmignola nel medesimo ruolo. Fino a questo punto direi che forse la volontà ha prevalso sul fato, ma quando alcuni giorni orsono mi sono visto recapitare un pacchetto con all’interno “The Four Seasons” ad opera del Vivaldi Metal Project, mi sono sganasciato dall’euforia ed ho capito che il destino aveva preso il sopravvento. Già dal primo impatto tattile e visivo ho capito di essere di fronte ad una produzione di livello superiore: package curatissimo sia esteticamente che nei contenuti, grazie all’elevato dettaglio delle informazioni e della grafica. La prima impressione è poi stata confermata dall’ascolto: l’incisione, a parte la prima e l’ultima traccia di libera ispirazione, è la pedissequa rivisitazione in chiave metal dell’opera vivaldiana. Dai suoi albori la musica rock ci ha abituati allo sconfinamento nella musica orchestrale e classica, dissacrando tutti i confini artistici esistenti, spesso con risultati spettacolari ed inaspettati dagli stessi puristi dei generi sinfonici (vedi il concerto per orchestra dei Deep Purple, la New Symphonia dei Caravan, Atom Heart Mother dei Pink Floyd, per non parlare di Keith Emerson & co.), ma finora pochi sono stati i tentativi di emulare “integralmente” un’opera classica di tale calibro. Così ha fatto il musicista italiano che risponde allo pseudonimo di Mistheria, con questo ambizioso progetto al quale hanno partecipato centinaia di artisti, tra rockers e musicisti classici, in una incisione pregevole sia per esecuzioni sia per riarrangiamenti. L’album si compone così, tranne - come detto - che per la prima e l’ultima, di dodici tracce, tante quanti sono i movimenti dell’opera originale di Vivaldi, della quale sono state rispettate quanto più possibile le strutture, i tempi e gli assoli, trasposti chiaramente da violini a chitarre e tastiere. Sono inoltre state aggiunte alcune parti vocali ad opera di cantanti lirici sia maschili sia femminili. Dal punto di vista stilistico ci troviamo di fronte a un’opera di metal sinfonico, dove la seconda componente è molto più marcata rispetto alla prima (in confronto ad altre produzioni del settore), per effetto della quale risulta sicuramente più fruibile da chi ha una infarinatura classica rispetto a chi invece ne è completamente a digiuno. Le sonorità, quantomeno quelle strumentali, sono comunque tipiche del metal e pertanto destinate ad un pubblico avvezzo a tale genere. Le esecuzioni sono di ottimo livello e gli arrangiamenti sono a mio avviso il fiore all’occhiello. Sia chiaro che per i puristi della musica classica, questo album potrebbe risultare blasfemo, ma per chi ha una visione più ampia della musica, senza confini invalicabili, si tratta invece di un lavoro di sicuro interesse. Tantissimi sono i musicisti italiani coinvolti (e ci mancherebbe, vista la paternità dell’opera originaria), ma altrettanti quelli stranieri, per un album internazionale a tutto tondo. Vorrei aggiungere solo una ultima considerazione quindi, e cioè che siamo di fronte ad una incisione imperdibile, se non altro perché si tratta di un documento simbolico ed esemplare di una Musica senza confini. |
Arranger: Douglas R. Docker, Francesco Dall’O’, Frank Caruso, Gabriels, Keiko Kumagai, Mistheria, Nicolas Waldo, Pawel Penksa, Tomas Varnagiris, Yannis Androulakakis, Zhivko Koev
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