Devo ammetterlo, quando ho visto la copertina di questo album mi è stato impossibile creare un collegamento fra il disco, i brani, i titoli e la cover stessa.
Fortunatamente mi è venuta in aiuto la lettera di presentazione: 30:40, un possibile punteggio di una partita a tennis, ma anche una proporzione matematica, quella di un decennio che prima o poi tutti hanno dovuto o dovranno affrontare. Continuo però a chiedermi perché in quella copertina la sconfitta prende il sopravvento sulla vittoria che invece rimane ad esultare in lontananza, ma forse queste sono domande che per la mia età, non posso ancora pormi. 30:40 è il secondo disco dei Goose, band sarda che passeggia fra i bellissimi sentieri di Sassari, avvolti dai profumi di mirto e dagli orizzonti incontaminati. Ci si aspetterebbe quindi un disco pacato, equilibrato e forse lo si trova nel suono, ma la vita con i suoi ostacoli da superare, le minacce che ti pone rende tutto sempre più agrodolce facendo di 30:40 il mezzo con cui sparare le migliori cartucce. I testi sono avvolti in un presente precario, una voce che sembra essere stanca di essere stanca, le scelte con cui prima o poi ti devi scontrare in quel decennio che va dai 30 ai 40 anni: mettere su famiglia, trovare un lavoro stabile, fare il punto della situazione. Avvolto nella soffice coperta di un Folk dal cinismo inglese, “Qui per te” apre il sipario di questo decennio con un cantautorato che ti porge l’altra guancia, passando immediatamente ad una sfumatura Country-ironica in “La vita a 34 anni” che da quasi l’idea di che razza di far west si possa vivere a 30 anni: Vita è masticare amaro senza capire perché. Nenie alla chitarra introducono “Quando ero felice” e “Indietro” prose che probabilmente faranno breccia negli stati d’animo di molti quarantenni facendo riaffiorare tutto ciò che un tempo si sperava e tutto ciò che ora si deve fare. Gabbiani e sound da spiaggia aprono il “Mio cuore” mentre la batteria di “Per cambiare” sancisce il tempo che ci è voluto nel creare un sogno e farlo svanire. “Settembre” è la voce fuori dal coro: arrabbiata, lascia da parte l’ironia e si scaraventa con violenza sulla serie di avvenimenti che non hai potuto controllare, per poi sciogliersi come “Neve” sotto i raggi di sole. Un lavoro che, se ascoltato attentamente non può fare altro che alimentare in voi la sindrome di Peter Pan. Un album però sincero con chi l’ha scritto, che può dar conforto a molte persone e far capire loro che non sempre la vittoria è così lontana. 72/100
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Stefano Sotgiu: Voce, chitarra e armonica Anno: 2009 |