Incastonato nella rassegna "Prendere posizione" di cui lo stesso Teatro Out Off si fa sostenitore e fautore, la pièce, attraverso una giovane, virtuosa e atletica compagnia (Progetto Finalista alla Biennale di Venezia College per registi under35 2022), ci inghiotte nell'asfittico dedalo di un ferale spazio - tempo apocalittico (scenografia Blandine Granier), in cui i contorni delimitati di un laboratorio virtuale sono quelli di un teatro, inducendoci ad osservare un esperimento sociale cinico e spregiudicato, in cui l'irragionevole riffa in palio è l'inalienabile diritto acquisito con la nascita: la possibilità di avere un futuro! Accompagnate da vibranti idiofone musicalità (soundartist Jacopo Cenni) e dal ronzio snervante di un fuco telecomandato che retro-proietta, a tratti in modo sfalzato, le gesta dei tre contendenti di un Talent Show, in-nominati A (Simone Tudda), B (Marica Mastromarino) e C (Giacomo Toccaceli) vengono pilotate da una divina sprezzante regia che è al contempo glaciale voce fuori campo (Paolo Panizza), facendo vistosamente eco martellante e riverbero al movimento ed ai pensieri, rendendo gli stessi oltremodo grotteschi e privi di costrutto. Gli attoniti astanti sono costretti e inchiodati letteralmente alle inevitabili riflessioni su quanto la società, i media, la politica e l'organizzazione gerarchica stessa, intesa come ordine scalare delle competenze, canalizzi inesorabilmente, per un fattore di saturazione demografica e di arcane consorterie sottintese, verso l'alienazione e l'autodistruzione della specie, con l'aggravante della frustrazione e della crudeltà derivanti dal falso mito del libero arbitrio potenzialmente salvifico. Gli autori, Paolo Panizza e Agnes Oberauer, traggono la loro ispirazione nello scrivere questa attualissima drammaturgia, dal retrogusto sagace e amaro, da un famosissimo esperimento chiamato “Universe 25”, portato a termine dall'etologo statunitense John Bumpass Calhoun nel 1970. La lunga osservazione del comportamento di un gruppo di topi in cattività, portò infatti ad una conclusione davvero illuminante, tarabile tout court sul piano sociologico. Una iniziale situazione di totale vantaggio ambientale infatti, concorreva in una fase iniziale a far crescere numericamente la specie, tuttavia, detto incremento, determinava uno squilibrio nei ruoli sociali scatenando la deliquescenza dei comportamenti. La deduzione declinata sul piano antropologico è di fruibile comprensione. Le illimitate risorse, alle quali tutti siamo assuefatti, scatenano una sorta di effetto placebo anestetizzante, al contempo fungono da potentissimo detonatore e garanzia di totale instabilità per la popolazione mondiale la quale, non può che incrementare l’istinto di sopravvivenza e di prevaricazione sui propri simili. In pratica, per quanto sofisticato l’uomo pensi di essere, una volta che il numero di individui in grado di ricoprire un ruolo sociale supererà il numero di ruoli disponibili all’interno della società, si arriverà al collasso della comunità. Ragguardevole il gravoso e fruttuoso impegno psicofisico degli attori durante gli ottanta minuti di rappresentazione. Consigliato! La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 25 maggio 2024 |
Ratti.
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