Al Ghione va in scena un grande classico della storia del teatro :“Sogno di una notte di mezza estate” scritta da Shakespeare intorno al 1596. L’atmosfera di questa vicenda ci trasporta in un mondo fatato, di sogno. In un’Atene di un tempo indefinito, sono prossime le nozze di Teseo, duca della città, e della regina delle Amazzoni Ippolita, quando si presentano al suo cospetto i due giovani nobili Demetrio e Lisandro, rivali e aspiranti alla mano della bella Ermia, la quale è innamorata del secondo, ma destinata dal padre al primo. Se la ragazza non obbedirà, la sua sorte sarà la morte o una vita offerta sull'altare di Diana, ragione per cui i due giovani decidono di fuggire nottetempo per sposarsi lontano dalle leggi di Atene. Al contempo Elena innamorata di Demetrio, ma da questi non ricambiata, raccolta la confidenza dell’amica Ermia, decide di rivelare il piano dei due amanti. Questo lo sfondo narrativo su cui vanno ad intrecciarsi altre storie al confine tra il mondo delle fate e la realtà umana. Gli amanti fuggono nel bosco, regno di Oberon e Titania, i quali si contendono un bambino figlio di un amica della regina delle fate e si addormentano per la fatica. Nel frattempo Demetrio, furioso li cerca, seguito da Elena, che sperava veder riconosciuta la sua lealtà verso l’amato e che viene nuovamente rifiutata in malo modo, tanto da suscitare l’indignazione di Oberon. I destini dei quattro giovani verranno così confusi dall’intervento del maldestro folletto Puk, servitore di Oberon e vero protagonista della storia, che ingarbuglia le trame, non per cattiveria, ma per leggerezza nel compiere gli ordini del suo re. Un’altra storia nella storia si aggiungerà alle contorte trame, ed è quella dei cinque artigiani ateniesi che nell’intenzione di mettere in scena la triste vicenda di Piramo e Tisbe, durante le nozze del Duca, si inoltrano nel bosco per metterla a punto. Un artificio di metateatro carico di dirompente comicità, che la regista coglie ed evidenzia inserendolo nella parte centrale della narrazione. E’ sicuramente il pezzo pìù divertente, quello dove si ride di gusto, per la goffaggine dei personaggi e gli eccessi caratterizzanti. Apprezzatissima la fusione di teatro e danza soprattutto nel personaggio di Puk il folletto, che recita canta e balla senza stasi, aleggiando per la scena come uno spiritello, a tratti declamando versi nella lingua di Shakespeare e attorniato da eteree fate, svolazzanti in chiare tuniche puntinate da piccole luci. La grande forza di questi giovani attori sta nell’energia che trasmettono in ogni forma espressiva, dalla danza, alla recitazione, alla mimica facciale e al grande affiatamento manifestato. Una piccola nota di merito per la scenografia, semplice ma di grande effetto nel rendere il bosco: al centro si situa l’albero a cui Puk si arrampica nelle sue agili danze e che divide lo spazio in quattro parti funzionali alla compresenza dei diversi personaggi, ora addormentati, ora in osservazione degli eventi. Un tuffo in un modo magico e fatato, dove l’intreccio e l’equivoco dominano l’avvicendarsi degli eventi, deliziando e divertendo lo spettatore di ogni età. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 22 marzo 2024. |
Sogno di una notte di mezza estate Aiuto regia: Martina Grandin
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