Trattandosi di un lavoro abbastanza breve (8 tracce), parto con un succinto track by track.
L’apertura, dopo una batteria effettata che avrei tolto volentieri, ma che immagino serva a creare un po’ di suspance, è affidato al potente e suggestivo, quanto semplice, ritornello de “La Dama”, pezzo che si insinua, a tratti impetuoso, a tratti pacato, per poi esplodere nel bridge. Si prosegue, sempre all’insegna di un rock fresco e spigliato, con l’esplicita e carnale “La Voglia”, mentre la title track, un pezzo raffinato introdotto da un riff dal sapore sud-americano che ben si accompagna con le liriche malinconiche ma non tristi, affianca al consueto lavoro di chitarre e tastiere un feeling pop anni ’80 che non guasta e giova all’orecchiabilità del pezzo, che però non spicca particolarmente per energia. Va meglio con la bella “Il Guaio”, tosto e cadenzato con un ottimo lavoro di basso.
La successiva “Il sogno di Prometeo” è la perla dell’album: un pezzo di grande atmosfera, soprattutto grazie al lavoro della voce (vale anche per il testo, fra i più ispirati) e della tastiera, un ritornello potente e una parte strumentale breve ma epica. “Onde del mare” non raggiunge i picchi del pezzo che la precede, ma ha diversi punti forti: basso funkeggiante, ritornello insistente, andamento lento ma grintoso, per un pezzo molto orecchiabile che, mostra più degli altri il debito del gruppo, oltre che per i mostri sacri del rock, anche per la canzone italiana.
Parentesi più “sperimentale” per “Come non detto”, che poggia su una ritmica fatta di percussioni ispirate alla world music e su un arpeggio ossessivo, ma non convince a pieno, nonostante la bellissima coda con solo di basso, a causa di liriche e linea vocale poco incisive.
Per il finale del disco si ritorna su versanti più duri: “Al posto del vino” un rock/grunge pesante, un po’ anni ‘90 che in alcuni momenti (sarà la tastiera, abbastanza infrequente nel genere) ricorda i Litfiba di “Terremoto” e si distingue come uno dei momenti migliori del disco grazie un ritornello di grande respiro, un testo ispirato e una serie di ottimi riff. Analogo discorso per la ghost track “Donna di crema”, però meno pesante e più ariosa, anche questa caratterizzata da un ottimo guitar working.
Per concludere: anche con questo secondo lavoro, gli Elettrocirco riescono a spaziare agilmente dal rock/metal a sonorità più leggere con disinvoltura, cosa che attribuirei alla capacità di personalizzare il linguaggio col quale si trovano a lavorare, soprattutto grazie a elementi particolari come la voce di Diego “Tusco” Tuscano, che per moltissimi versi si distanzia dalla classica voce da rocker, e all’elemento, sempre più raro, delle tastiere. Rispetto all’esordio, si sente meno il debito verso il progressive e l’ispirazione tratta da certa musica elettronica, mentre prevalgono da un lato un tasso forse più alto di pezzi rock/metal, dall’altro una buona presenza di sonorità più leggere che spaziano dal pop alla musica italiana. Va detto che i brani più pesanti risultano, alla fine, i migliori del disco, complice l’approccio originale di cui sopra, che li porta lontano dalla bidimensionalità di alcune produzioni affini. Un lavoro, quindi, meno funambolico e sorprendente dell’esordio, ma probabilmente di più facile ascolto, anche per chi sia ostico a composizioni che superano i 5-6 minuti, e all’occorrenza tanto potente quanto leggero. Consigliato sicuramente a chi ha apprezzato il lavoro precedente, ma un po’ a chiunque cerchi del buon rock all’italiana.
82/100
Daniele Iacomini: Basso, chitarre
Gianluca Chamonal: Batteria, percussioni
Diego Tuscano: Voce
Guests:
Jean Fontain: Tastiere
Alessandro Picciuolo: Chitarra
Paolo Barbero: Tastiere
Anno: 2011
Label: Autoprodotto
Genere: Rock
Tracklist:
01. La dama
02. La voglia
03. Questa città
04. Il guaio
05. Il sogno di Prometeo
06. Onde del mare
07. Come non detto
08. Al posto del vino