Il desolato panorama della produzione jazzistica odierna, quasi monopolizzato dai soliti noti che si ripropongono in salse diverse, spesso consiglia il ritorno ai Grandi, scomparsi da molto tempo, che si fanno ancora ascoltare tramite incisioni e reincisioni risalenti fino a settant’anni fa e oltre.
Quindi, a parte le ragioni di studio armonico, melodico e compositivo, per l’ascoltatore sono sempre riproposti sul mercato gli album delle pietre miliari: Oscar Peterson, Michel Petrucciani, Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans, Thelonius Monk e così via. Inoltre la maggior parte dei jazzisti attuali, anche non blasonati, propone, in fin dei conti e sovente con velleità elitarie, cover più o meno ritrite - o piuttosto banali - dei brani ideati (o semplicemente interpretati con grande successo) da quei Grandi. Eppure ogni tanto appare, quasi sempre portata da Case minori, una ventata d’aria fresca. È il caso dell’ultimo lavoro di Mauro Verrone, “Callisto Place”, edito dalla Blue Seal Records di Roma. Tra le varie premesse, quella che ritengo essenziale è la seguente. Anche se potrebbe risultare comodo per il lettore qualche riferimento agli stili o ai sottogeneri, io non lo farò. Un motivo è alla base di questa mia scelta. Se dicessi: «C’è una velata eco dello stile di Coltrane, con rimandi a qualche maturo Adderley e venature della cifra stilistica di Mayall» potrei influenzare l’ascolto, incanalando l’orecchio dell’ascoltatore nelle condizioni di “dover” cercare Coltrane, Adderley e Mayall negli stilemi del pezzo ascoltato, quand’anche non ci fossero. Quindi potrei creare una specie di pareidolia acustica. In generale, cerco sempre di non schematizzare e catalogare, perché, trovandomi nel caso del non schematizzabile e non catalogabile, mi troverei in difficoltà. Dirò solo che quello che c’è in questo album è prevalentemente ed assolutamente jazz (e anche un po’ blues), lasciando a chi ascolta la facoltà di ricondurre le melodie e le successioni di accordi a qualcosa che potrebbe aver già sentito. Forse. A cosa rimanda il titolo “Callisto Place”? A un toponimo: Piazza di San Calisto, nel cuore della Roma trasteverina, un luogo non particolarmente attraente se non fosse che Mauro Verrone ogni tanto, ribattezzando scherzosamente in romanesco il luogo, ci va a suonare il suo sax, spesso accompagnato da altri musicisti e vestendo i panni di un artista di strada, o meglio divulgatore di arte. Eppure il sassofonista, jazzista colto e ben affermato nel panorama musicale italiano, non si arrampica su torri d’avorio né insegue la notorietà. Peccato, perché è il degno erede di un più noto Massimo Urbani, uno che il sassofono sapeva farlo parlare. E anche il sax di Verrone non suona, parla. Dicevo che Piazza di San Calisto (Callisto Place) è il luogo d’elezione per la musica talvolta elargita sul proscenio urbano (in realtà Mauro si esibisce anche in RAI, nonchè in teatri e auditorium), ma è qui che si richiede la sospensione dell’incredulità. Nel senso che se le atmosfere che si respirano nelle musiche dell’album sembrano appartenere a un notturno, affollato Blue Note della Terza Strada newyorkese, qui l'italiano ci vuole con i piedi fermi a Trastevere, nella sua Roma. Tuttavia questo che Mauro ci chiede è un lavoro di fantasia molto difficoltoso: il suo jazz e quello dei suoi gruppi è molto elegante, sofisticato e difficilmente riconducibile ad una piazza, quindi l’immagine che ci creiamo con l’ascolto non è proprio quella della strada, anzi, La strada, il luogo pubblico, insomma, ci aiuta ad eliminare quei fastidiosi elitarismi purtroppo in voga tra chi pretende di fare jazz “colto”, dimenticando o fingendo di dimenticare che questo genere trae il suo DNA dalla musica popolare, e solo dal XX Secolo in poi si è arricchita, strato su strato, di un carico teorico aggiunto, per esempio, da una moltitudine di “ricercatori/sperimentatori” come McCoy Tyner, Bill Evans, Wayne Shorter, Barry Harris e altri. Cioè i Grandi di cui sopra, dall’opera dei quali si genera, tra l’altro, tutta una teoria del jazz. Ma evito di addentrarmi in disquisizioni tecniche. Mi guarderò bene anche dal dire che Mauro Verrone e i suoi musicisti ci fanno percorrere il solito “viaggio musicale”. Questo del “viaggio” è un espediente per preannunciare a chi ascolta che ci sarà, in soldoni, un’insalata mista di stili (e di brani). Il viaggio ha almeno tre elementi essenziali, logicamente e cronologicamente correlati: la partenza, l’itinerario e la destinazione. Se manca uno di essi è un semplice vagabondare senza senso o una permanenza infinita. Con "Callisto Place" abbiamo invece una raccolta di fotografie, incollate su un album senza un particolare criterio estetico-logico se non quello del semplice (ma ben studiato) alternarsi di mood, di situazioni emozionali. Praticamente la scelta migliore e più efficace per l’ascolto in sequenza dei brani, proprio per evitarne la ripetitività. Dodici i pezzi, cinque dei quali scritti dallo stesso artista. Inizierò da questi ultimi. L’apertura è affidata al brano eponimo. Il sound è tipicamente statunitense, una vera gioia per le orecchie. I sax di Verrone, Marco Conti e Torquato Sdrucia si alternano in sapidi e avvincenti dialoghi blues, punteggiati dagli interventi della tromba di Claudio Corvini. Il piano di Oliver von Essen assicura un discorso elegante e raffinato. Poco prima del finale i fiati erompono in un divertente fuoco d’artificio, proprio come un vociare di piazza. “Un poco Bud” è dedicato al compositore Bud Powell, maestro del bebop, stile del quale Verrone è al tempo stesso seguace e indiscusso maestro. Anche qui von Essen e Corvini affermano il proprio talento; poco c’è da aggiungere sull’assolo del sax dello stesso Verrone: virtuosismi puliti, facilmente assimilabili e pertanto più persistenti nella memoria dell’ascoltatore, ritmo trascinante, ecco tutti gli ingredienti del bebop distillati in questo brano. Questo brano è stato scelto per essere messo in onda nella trasmissione RAI Radio3 “Body and Soul” del 25 agosto 2024. “August 9” si dipana in cinque grosse pennellate di accordi e un fitto tratteggio a china, fatto di improvvisazioni modali e cromatismi, consegnati dai pensieri ad alta, graffiante voce del sax e di quelli meno spigolosi del piano di Karim Blal nonché del contrabbasso di Giulio Scarpato. “Monday” unisce il sapore e le sonorità funk - e l’intervento del clavinet di von Essen le sottolinea - a qualche brevissima incursione nelle sonorità più squisitamente jazz. Molto interessanti gli interventi della tromba di Claudio Corvini e i cambi tempo per la parte dedicata al basso. Ovviamente, su tutti spicca il sax alto del titolare, con le sue acrobazie. “Blues for de Magistris” è più freddo, direi quasi sperimentale, non di immediato impatto emozionale. Tuttavia merita più di un ascolto. Completano l’album sette interpretazioni di standard internazionali di tutto rilievo. Per la riscrittura di “The Look of Love” di Bacharach, il romano usa, su una tela bianca, un inchiostro dalla tonalità scura per evocare un’anima malinconica, mai scoperta prima, del brano. Lo fa anche utilizzando l’assolo del contrabbasso e una modulazione intermedia in tonalità minore. “I’ll Be Seeing You”, che Sammy Fain compose nel lontano 1938, qui rivive con grande freschezza, aprendosi con un effervescente assolo del pianoforte di Karin Blal, al quale segue il suadente sax di Verrone che propone il tema e successivamente lo arricchisce con le proprie improvvisazioni. Anche in questo pezzo trovano posto brevi parti improvvisative del contrabbasso di Giulio Scarpato e della batteria di Massimiliano De Lucia. Accediamo a “Soul Eyes”, l’immortale ballad composta nel 1957 da Mal Waldron e poi divulgata da John Coltrane, con una breve intro di quattro battute che può ricordare lontanamente lo smooth jazz. Mauro prelude sapientemente all’intervento pianistico di Karim Blal e poi riprende il suo discorso fino a portarci alla sua conclusione. Continuiamo con “Just Friends”, di John Klenner, datata 1931. Il piano elettrico di Blal e il sax di Verrone introducono al pezzo con le consuete otto misure lente, sognanti e delicate, per dare la stura a un inatteso e assertivo uptempo che prende quota subito utilizzando come propellente una mistura esplosiva di crome e semicrome. “Luiza”: questo jazz waltz traduce la lingua musicale brasiliana - nella quale il suo compositore Antonio “Tom” Carlos Jobim l’aveva concepita in modo struggente nel 1981 - in una contemporanea, altrettanto bella e convincente. Con l’interpretazione jazz di “Memories of You” di Eubie Blake si ritorna agli Anni Trenta. Lo promette già nell’intro il pianoforte di Tony Scott. È un duetto significativo, quello con quest'ultimo artista, che rievoca l’anima autentica del brano, riforgiandola per il nostro tempo. Infine, “We’ll Be Together Again”, datato 1945, di Carl T. Fischer, un musicista californiano di origini cherokee, conclude l’album riportandoci nelle calde e sofisticate atmosfere della Terza Strada della Grande Mela. “Callisto Place” è un album estremamente godibile, elegante, sofisticato, pulito e attentamente studiato, con un’ottima qualità di registrazione, che dovrebbe essere tra i primi posti nelle collezioni di ogni vero amante del jazz contemporaneo.
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Mauro Verrone: Sax Contralto. with Karim Blal: pianoforte acustico ed elettrico Fender Rhodes (brani 2, 4, 5, 6, 7, 11) Giulio Scarpato: basso (brani 2, 4, 5, 6, 7, 11) Massimiliano De Lucia: percussioni (brani 2, 4, 5, 6, 7, 11) Claudio Corvini: tromba (brani 1, 3, 9, 12) Marco Conti: sax tenore (brani 1, 3, 9, 12) Torquato Sdrucia: sax baritono (brani 1, 3, 9, 12) Oliver von Essen: pianoforte e clavinet (brani 1, 3, 9, 12) Paride Furzi: basso (brani 1, 3, 9, 12) Massimiliano De Lucia: percussioni (brani 1, 3, 9, 12) Tony Scott: pianoforte (brano 10)
Anno: 2024 Label: Blue Seal Records Genere: jazz
tracklist 1) Calisto Place (Verrone) - 7’09” 2) The Look Of Love (David - Bacharach) - 7’04” 3) Un Poco Bud (Verrone) - 7’22” 4) August 9 (Verrone) - 6’10” 5) I’ll Be Seeing You (Kahal - Fain) - 9’10” 6) Soul Eyes (Waldron) - 5’05” 7) Just Friends (Davis - Klenner) - 4’39” 8) Luisa (Jobim) - 5’00” 9) Monday (Verrone) - 7’49” 10) Memories Of You (Razaf - Blake) - 4’56” 11) Blues for de Magistris (Verrone) - 3’42” 12) We’ll Be Together Again (Laine - Fischer) - 4’29”
BIO Mauro Verrone, sassofonista e compositore romano, inizia gli studi classici con il pianista argentino Eduardo Hubert e in seguito si perfeziona nel jazz con Martin Joseph, Massimo Urbani e Steve Grossman. Il 1984 lo vede, a soli vent’anni, suonare nei jazz club capitolini. L’anno seguente partecipa al programma “D.O.C.” su Rai2 con il cantautore Remo Silvestro e la Braxwood Orchestra. Diplomatosi in sassofono classico nel 1999 al Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone, nel 2009 consegue la Laurea di secondo livello in Musica Jazz presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, ottenendo il massimo dei voti e la lode. Si esibisce in Italia e all’estero (Spagna, Belgio, Israele, Finlandia) sia come leader di sue formazioni che con prestigiose collaborazioni delle quali si citano quelle con (in ordine alfabetico): Gary Bartz, Luigi Bonafede, Fabrizio Bosso, Toni Formichella, George Garzone, Maurizio Giammarco, Donald Harrison, Massimo Moriconi, Idris Muhammad, Antonello Salis, Cicci Santucci, Harvie Swartz (alias Harvie S), Tankio Band, Amedeo Tommasi, Bruno Tommaso, Steve Turre e, ultimo ma non ultimo, Massimo Urbani. Nel 1996 vince il concorso internazionale di arrangiamento “Scrivere in Jazz” a Sassari. Nel 1999 incide il suo primo album “Zazie” a cui partecipano il batterista statunitense Eric McPherson e il trombettista Fabrizio Bosso. Partecipa al Festival di Gerusalemme del 2003 e all’omaggio a Charlie Parker al teatro Sistina di Roma nel 2006. Nel 2002 riveste la carica di primo presidente dell’Associazione culturale “Massimo Urbani”. Nel 2004 il suo nonetto presenta, presso la Casa del Jazz di Roma “Good Sixties!” e nel 2009 “La musica di Formichella nonché “That’s too Max -Tributo a Massimo Urbani”. La RAI trasmette i suoi concerti (anche in occasione della Giornata Mondiale del Jazz nel 2013 e 2018); dalla Sala A di Via Asiago vengono diffuse anche le dirette nel 2011 con il “Verrone 4et”, nel 2013 in duo con Luigi Bonafede, nel 2014 con l’omaggio a Roberto Mancini, e nel 2016 ne “La stanza della Musica”. Nel 2009 si classifica semifinalista nel concorso di arrangiamento “Bargajazz” a Barga (LU), in cui Dave Liebman esegue la sua orchestrazione del brano “Dr. Faustus”. Nello stesso anno iniziano i suoi lavori teatrali, come lo spettacolo multimediale “JazzCéline” (omaggio a Louis-Ferdinand Céline, con la collaborazione dello scrittore Paolo Morelli), le musiche per lo spettacolo “Il caso Braibanti” di Giuseppe Marini e quelle per il documentario di Andrea Ventura “Le bambine dai capelli bianchi” (2011), dedicato alle sorelle Bucci, reduci da Birkenau. Nel 2010 partecipa al film del regista Franco Maresco “Io sono Tony Scott”. Nell’agosto 2024 dirige e arrangia le musiche per il concerto “ ‘Round About Sato”, a Orvieto, per un’orchestra di 14 elementi. È stato docente di Sassofono Jazz presso i Conservatori di Latina e Brescia e di Composizione Jazz a Latina. Attualmente è docente di Composizione Jazz presso il Conservatorio “L. Canepa” di Sassari nonché presso la Scuola di Musica Popolare di Testaccio a Roma, ove insegna sassofono e dirige laboratori di improvvisazione jazz.
DISCOGRAFIA “Zazie” (2000 - Mvbebop); “I Remember Max” (2016 - Tuscia in Jazz); “Callisto Place” (2024 - Blue Seal).
PARTECIPAZIONI AD ALBUM: Claudia Marss - “Viajando” (1997/1998 - Equipe) Bruno Tommaso - “Vento del Nord - Vento del Sud” (2002 - Splas(c)H) Tankio Band - “Plays Music of Eric Dolphy” (2004 - Splas(c)H) Tankio Band - “Seven Pieces for Large Ensemble” (2007 - Splas(c)H) Vincenzo Lucarelli - “Double Check” (2007 - Caligola) Awa - “L’Amour” (2008 - M&I Music) Maurizio Urbani - “Animali Urbani” (2013 - RaiTrade) Enzo Scoppa - “New & Old Friends” (2019 - Sonor) Giampaolo Ascolese - “Kaleidoscopic Rendez-Vous” (2023 - AlfaMusic)
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