Con acume, leggerezza ed una buone dose di comicità, Marco Falaguasta porta in scena al Teatro Vittoria “Non ci facciamo riconoscere”, uno spettacolo che racconta cosa vuol dire essere stato giovane negli anni ’80.
Solo i boomer potranno ricordare la fatidica frase che i genitori pronunciavano (o meglio intimavano) ai figli in ogni circostanza nella quale poteva essere in agguato una brutta figura a causa di comportamenti inadatti: non ci facciamo riconoscere. Da questa espressione prende le mosse lo spettacolo di Falaguasta, scritto insieme ad Alessandro Mancini, che ripercorre un periodo storico molto particolare che ha segnato un’epoca. L’artista propone una serie di racconti della propria vita e giovinezza collegati ad episodi storici e sociali: tanti omicidi di Stato in parte ancora irrisolti, gli anni di piombo, la legge sul divorzio e quella sull’aborto, ma anche il campionato del mondo di calcio del 1982, la musica dei Duran Duran, la scelta dell’abbigliamento, le prime esperienze sessuali. Sono tanti i temi trattati, alcuni con la serietà che la loro drammaticità merita (l’omicidio Moro), altri con leggerezza e ironia (la scoperta del sesso). |
NON CI FACCIAMO RICONOSCERE di Marco Falaguasta e Alessandro Mancini organizzazione Enza Felice, Francesca Zaino Cosa significasse esattamente questa frase che i genitori degli anni ‘70, ‘80 e ‘90 ritenevano buona per tutte le circostanze nelle quali bisognasse richiamare i figli ad un comportamento comunque diverso, è rimasto un mistero! Però questa frase risuona ancora nelle orecchie di tutti quelli che, come me, sono nati o cresciuti in quegli anni. Gli anni di piombo, gli anni della legge sul divorzio, sull’aborto, gli anni del sequestro Moro, ma anche del boom economico, dell’Italia campione del Mondo in Spagna. Gli anni della Panda 30 con il finestrino abbassato e l’autoradio che suonava i Depeche Mood, i Duran Duran, gli Spandau Ballet e “Boys” di una dirompente Sabrina Salerno che metteva d’accordo tutti. Anni ai quali la mia generazione guarda sempre con nostalgia. Certo eravamo giovani e spensierati, ma siamo proprio sicuri che non farsi riconoscere sia stato un vantaggio o forse, in qualche circostanza, avremmo potuto alzare la voce e… farci riconoscere? Proviamo a rispondere insieme a questa domanda passando attraverso quello che siamo stati, per vedere come siamo diventati noi che le domande le facevamo ai cugini più grandi, allo zio più moderno e non avevamo né Alexa, né Google.Come spieghiamo tutto ciò ai nostri figli ai quali non possiamo più raccontare che con “certe pratiche” si diventa ciechi? Teatro Vittoria
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