Può una commedia del XIX secolo - come l'opera largamente conosciuta, studiata, interpretata, letta ed infine recitata di Edmond Rostand - portarci a zonzo tra le pagine di un'altrui composizione collodiana senza che la cosa ci faccia sobbalzare dalla sedia? Ebbene, il nostro abile maestro Arturo Cirillo (protagonista, adattamento alla regia e regista), nelle vesti del nasuto Cyrano, compie l'ardita impresa senza troppi misteri nè titubanza alcuna.L'organza del gigantesco cono centrale ospita sovente i personaggi e ci fa scrutare in opalescenza i guasconi incappucciati alternati alle cantrici, come dal ventre del noto cetaceo fiabesco che s'apre e si chiude a piacimento e all'uopo. Cyrano, come l'originale, resta evidentemente innamorato della cugina Rossana (Valentina Picello) la quale, a sua volta, ama ed è riamata da Cristiano (Giacomo Vigentini). Tutto ciò è solo un espediente che ci porterà altrove, nei meandri di un viaggio post moderno. Permane l'assai beffardo senso di inadeguatezza dell'abile spadaccino che, scevro del pericolo, data l'ingombranza del suo naso, ma guidato dalla ferma consapevolezza che il suo limite è unicamente fisico, manifesta a tratti sincera compassione per le ben più castranti barriere psicologiche dell'inseparabile brigata. Il protagonista scolla da sè quella sezione che rappresenta la sua bruttezza e la indossa come una sorta di peccato capitale, che a sua volta si appalesa, da protagonista del palcoscenico, scorrendo dall'orthographia girevole e consapevole dell'epilogo e delle conseguenze a cui condurrà perchè, oggi come ieri, i limiti umani non lasciano spazio alla poesia, unica grande e mai caduca bellezza eterna. Elementi moderni e sfacciatamente consoni al dietro le quinte come le relle d'acciaio che sorreggono gli abiti di scena e testimoniano l'onestà del metaforico mutamento scenico. Spiccano il corpulento e ingenuotto pasticcere Ragueneau (Rosario Giglio), amante della poesia, diversamente dall'autografo che poco spazio dedicò al pittoresco personaggio, accompagnerà le gesta del cadetto maior per tutta la durata della commedia, a stemperare la furbizia dilagante attraverso la sua celeste e goffa presenza benevola. Voce da usignolo, Lumachina (Giulia Trippetta), cameriera tuttofare di Rossana, incurvata da una vistosa crinolina che la rende del tutto simile ad una chiocciola anche nel frusciante e incurvato incedere. Il cinismo di De Guiche (Francesco Petruzzelli) si rivela nell'atto infame che porterà alla morte fisica di Cristiano al fronte, fatto che danneggerà inevitabilmente, e per interposta persona, il nostro fiero protagonista che, pur di esercitare la sua vena poetica, si era sempre sovrapposto all'amico. Con la dipartita di quest'ultimo, il nostro eroe non avrà più la possibilità di esprimere in versi tutto il suo romanticismo poetico nei confronti dell'amata e questo è grave tanto quanto morir davvero. Preme evidenziare che la nota di merito della regia sta nell'audace scardinamento degli archetipi che porta a scompaginare il presunto intoccabile. Lustrini, gran gonne (costumi di Gianluca Falaschi), paillettes e colori scintillanti (costumista collaboratrice Nika Campisi), recano all' ambientazione scenica (Dario Gessati) l'immagine di una grande kermesse circense come quella del paese dei balocchi di Pinocchio, in cui tutto è ostentatamente e stroboscopicamente camaleontico e la buona fede lignea s'imbatte con la malizia e con l'inganno soccombendo, ma certa in qualche misura, del riscatto finale che ogni favola di buoni sentimenti concede a titolo salvifico. Le musiche (ad opera di Federico Odling) veicolate tramite flauti, tamburi, ricorrendo anche a suspense e ironia, comparano lo scontroso poeta spadaccino al burattino bugiardo, scalpellato per essere tale al cospetto della turchina e scintillante fatina Rossana, che l'amore mai consumato rende ai suoi occhi evanescente e irraggiungibile. Cyrano è condannato ad espiare la colpa della mancata accettazione sociale data inevitabilmente dal suo genio che è smisuratamente superiore all'attributo fisico che lo affligge; Rossana, comprende di essersi innamorata dell'amico cugino solo sul finale, quando non è più possibile recuperare nè rivedere temporalmente alcun atteggiamento cieco od egoismo sterile; vedova due volte, la donna è rea di non aver voluto accogliere saggiamente l'evidenza. Lo chiffon si raccoglie tracciando un infinito sulle teste degli attori. L'ultima battuta resta il celebre epitaffio poetico inalterato nei secoli: "Qui riposa Cyrano Ercole Saviniano Signor di Bergerac, che in vita sua fu tutto e non fu niente!". Opera moderna e coinvolgente, strutturata su centoventi minuti di teatro a vocazione quasi fantascientifica, proprio come avrebbe gradito Edmond Rostand. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 7 febbraio 2023. |
Cyrano de Bergerac |