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David Bowie
Blackstar

Doppia recensione di Daniele Ruggiero e Gianluca Livi

Il Duca Bianco, in occasione del suo sessantanovesimo compleanno, dona ai suoi fans ed a tutti gli amanti della musica il regalo più atteso: “Blackstar”.
Un’esclusiva stella nera che, abbandonando il firmamento celeste, lascia intravedere una scia luminosa d’intimità accendendo in noi il desiderio irrefrenabile di conoscere questo oggetto singolare ed enigmatico.
Un disco profondo e personale in cui David Bowie si sente completamente libero di sperimentare le sue doti artistiche illuminando l’universo sonoro ed oscurando la propria anima.
L’opera intrigante si compone di sette tracce. Quaranta minuti in cui l’imperativo è quello di stravolgere il rock donando all’ascoltatore un piacevole senso di smarrimento generato da un’imprevedibilità folgorante.
Il cantante si è circondato di musicisti jazz, tra cui il noto sassofonista Donny McCaslin, per architettare un album surrealista dove gravitano e si incontrano diversi generi musicali che vanno dall’avant jazz al drum’n’bass, al pop, al rock attraversando spazi temporali caratterizzati da arrangiamenti elettronici, suoni industriali ed orchestrazioni poetiche.
La title track, con i suoi ben dieci minuti di durata, apre il disco creando un’atmosfera mistica in cui si materializzano citazioni bibliche cantate dalla voce soavemente spettrale del profetico Bowie che cambia continuamente il volto alla sua creatura proponendo un brano ai limiti del prog.
La coinvolgente “’Tis a Pity She Was a Whore” alterna la teatrale interpretazione vocale ad un turbine seducente fatto di fiati e batteria, il risultato è straordinario.
Si susseguono poi, in “Lazarus”, incontri e scontri tra blues e noise-rock. La canzone, secondo singolo estratto dall’album, è accompagnata da un video inquietante e suggestivo in cui il cantante, bendato su un letto d’ospedale, lotta con la follia. Nel testo vi sono inoltre riferimenti al film del 1976 di Nicolas Roeg “L’uomo che cadde sulla Terra” in cui l’artista inglese ricopre il ruolo di attore protagonista.
Il disco assume profili spigolosi ed impulsivi nella rivisitazione di “Sue (Or In a Season of Crime)” già edita nel 2014 e cambia improvvisamente la propria geometria grazie al morbido sound di “Girl Loves Me” in cui compaiono termini estratti dal film “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick.
“Dollar Days” è una perla malinconica, una ballata acustica cullata da un solitario sassofono che si integra alla perfezione nelle trame romantiche del brano.
Diamanti di luce fanno brillare “I Can’t Give Everything Away”, l’abito più elegante ed armonioso indossato per chiudere intensamente il viaggio intrapreso.
Coprodotto dall’inseparabile Tony Visconti, il disco si avvale di una velata magia che, grazie alla presenza di dissolvenze sonore, echi vocali e morbidi strati di elettronica, uniti alla voce vellutata di Bowie, è in grado di far vibrare le corde di qualsiasi sentimento.
L’album, tuttavia, non ha un impatto immediato sull’ascoltatore: è un lavoro ricercato, al di fuori dagli schemi che, come un’onda marina, erode nel tempo la roccia più dura sgretolando qualsiasi perplessità o pregiudizio.
Vestito d’oscurità e lontano dal convenzionale, il venticinquesimo album del Duca Bianco non vuole piacere ma compiacersi.
“Blackstar” non brilla nel cielo ma brucia nell’anima.

di Daniele Ruggiero





La premessa che doverosamente va fatta, nel recensire questo disco è che la morte dell'artista non deve in alcun modo condizionare chi si cimenta a commentare l'opera. Questo è un disco anomalo, in tutti i sensi: sette sole le tracce, per un totale di quaranta minuti; musicisti prevalentemente attinti dalla compagine jazz che però non suonano affatto jazz; sonorità che spaziano dal drum'n'bass al pop passando per noise-rock e post rock; riferimenti biblici; autocitazioni inaspettate (riferimenti al film di Nicolas Roeg, "L'uomo che cadde sulla Terra", che lo vide protagonista nel 1976); una rivisitazione del brano "Sue (Or In a Season of Crime)", già edito nel 2014; omaggi cinematografici ("Girl Loves Me", ove si cita il film 'Arancia Meccanica' di Stanley Kubrick).
Ce n'è per tutti i gusti e un'opera così concepita, probabilmente nella piena consapevolezza dell'imminente decesso, non poteva costituire certamente un addio migliore. Tuttavia, l'album non è di immediato ascolto: si tratta di un lavoro complesso, fuori dagli schemi abituali, che appare del tutto inusuale come (inaspettato) lascito testamentario.

Il disco è permeato di sonorità decadenti e la voce dell'artista, soprattutto ascoltando il primo brano, incredibilmente rallentata, a percorrere un voluto declino sonoro, lascia assai perplessi. Le ritmiche di alcuni brani, in testa quello di apertura, risultano criptiche, macchinose, a tratti distopiche.
Gli innesti profusi dal sossofono sono tutt'altro che melodici, spesso sperimentali, talvolta troppo d'avanguardia.
Per concludere, alcune sonorità drum'n bass appaiono datate.
Siamo lontani dalle ballate struggenti e il pop colto dgli anni '70, i ruggiti dei Tin Machine, i ritmi incalzanti e accattivanti di stampo danzereccio.
Tra i lati positivi va certamente premiata la voglia del cantante di sperimentare, il desiderio di salutare il pubblico in maniera assolutamente non convenzionale. Ne consegue che l'artista esce certamente a testa alta, mosso da intenti tuttaltro che commerciali.
Disco difficile che sembra destinato a pochi eletti.

di Gianluca Livi




David Bowie: voce, chitarra acustica, arrangiamento archi
Tim Lefebvre: basso
Mark Guiliana: batteria, percussioni
Donny McCaslin: sassofono, flauto
Ben Monder: chitarra elettrica
Jason Linder: pianoforte, organo, tastiera
James Murphy: percussioni
Tony Visconti: archi


Anno: 2016
Label: RCA/COLUMBIA
Genere: Jazz, Fusion, Rock sperimentale


Tracklist:
01. Blackstar
02. 'Tis a Pity She Was a Whore
03. Lazarus
04. Sue (Or In a Season of Crime)
05. Girl Loves Me
06. Dollar Days
07. I Can't Give Everything Away


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