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Dream Theater
Black Clouds & Silver Linings

Doppia recensione per "Dream Theater - Black Clouds & Silver Linings"

E' diventato ormai sempre più difficile recensire un nuovo disco dei Dream Theater, prima di tutto è diventato difficile non cadere nello scontato luogo comune "o si amano o si odiano", secondo il perenne confronto con il loro passato porta necessariamente chiunque, anche il più benintenzionato a proporre gli inevitabili confronti, paragoni ecc... con quei lavori considerati ormai capolavori del Metal modenro. Abbiamo affidato la recensione dell'ultimo lavoro della band americana a due dei nostri migliori recensori, entrambi peraltro fans dichiarati dei Dream Theater, come vedrete i risultati non potrebbero essere più distanti, segno questo che indipendentemente dall'"amare" o "odiare" la band di Portnoy e soci i loro dischi meritano comunque di essere ascoltati ed il giudizio che ne consegue deve essere cosa strettamente personale, troppo legato al gusto ed alle preferenze del singolo ascoltatore. Spazio quindi alle recensioni:

 

Puntualissimi a distanza di due anni dal precedente “Systematic Chaos”, tornano i Dream Theater con un nuovo e spettacolare lavoro.
Black Clouds & Silver Linings” è forse il cd più vicino ad “Images And Words” e per alcune cose ad “Awake”, ma non manca quel sound dei Dream Theater di oggi ed ogni composizione di questo nuovo cd riuscirà a scavare ancora una volta nelle anime di chi li ama e li segue da molti anni. C’è chi li chiama logorroici, chi li definisce solo tecnica e basta e chi vorrebbe che i Dream Theater facessero un nuovo “Images And Words” ogni due anni, ma per me e per chi li sa veramente ascoltare, i Dream Theater sono una band unica al mondo, capace di andare sempre avanti, senza tralasciare mai quel sound inconfondibile che sono riusciti a creare e senza mai allontanarsi nemmeno dai loro primi dischi. Ritengo questo uno dei dischi più belli in assoluto della band e questa recensione è più dettagliata, perché ogni brano è una storia a sé e merita menzione.

A NIGHTMARE TO REMEMBER
E’ il primo brano del cd, ovvero è la prima suite, con i suoi sedici abbondanti minuti di durata. Un tuono irrompe all’orizzonte e la suite esplode poi con il classico sound della band. Ma la suite ha mille sfaccettature, non mancano le divagazioni strumentali e nemmeno i momenti più progressivi, con gli arpeggi di un Petrucci molto equilibrato, la voce di LaBrie sempre in ottima forma. La parte centrale è di quelle che farà gioire i fans della band, con un refrain dettato dalla splendida voce di LaBrie, le tastiere di Rudess, sempre pronte a creare momenti maestosi, progressivi ed anche molto heavy e il solo di Petrucci, dal gusto neoclassico. Ma non finisce qui, la suite decolla in crescendo, puntando anche al death metal, con la voce di Portnoy capace di ruggire con dei growls che non sono mai stati di casa Dream Theater e lo stesso Portnoy crea il suo spettacolare drum works.
La fantasia compositiva dei Theater in questo brano arriva forse all’apice, gli strumenti si rincorrono, rallentano, accelerano e decelerano improvvisamente ed il tutto torna poi su quella melodia portante con invidiabile facilità, mentre all’orizzonte ancora dei tuoni rendono cupo e dark il tutto.

A RITE OF PASSAGE
Viene definita dalla band come una nuova “Pull Me Under”, ma io preferisco descriverla come uno dei brani più diretti ed “orecchiabili”, per quel che questo aggettivo possa aver senso in un brano dei Dream Theater. Il riff portante di Petrucci, si stamperà sulle vostre menti con forza, con quel gusto mediorientale ed il refrain fa rabbrividire, con ancora una volta un eccellente LaBrie. Il brano poi cambia direzione, con duri riffs di chiara matrice Pantera e Metallica e l’immancabile solo di Petrucci, molto più lineare ed heavy e la parte strumentale, dove Rudess continua a duettare con il chitarrista e dove continua a creare suoni anche molto sperimentali e spaziali. Poi Petrucci riporta tutti in riga, con quel riff che diventerà un inno della band e quel refrain che farà cantare ogni singola anima ai loro concerti.

WHITER
E’ il brano più breve dell’intero cd, ma in quasi cinque minuti e mezzo si continuano a provare forti emozioni, le atmosfere si fanno più melodiche e romantiche, c’è un fascino più progressivo, è il ballatone per antonomasia, quello che ai concerti farebbe venir voglia di accendere gli accendini, forse tanti anni fa ed oggi i cellulari, per creare quell’atmosfera calda e passionale. Qui il refrain è ancora una volta di quelli che troverà posto nella nostra mente e non ce lo farà scordare mai e verso il finale Petrucci scalda nuovamente i nostri cuori con un breve assolo, ma intenso e carico di feeling.

THE SHATTERED FORTRESS
Questo brano chiude la lunga suite fortemente voluta da Portnoy e chiamata “The 12 Step Saga” sui dodici punti dell’anonima alcolisti, iniziata con “The Glass Prison”, su “Six Degrees Of Inner Turbulence”, per proseguire con “This Dying Soul”, su “Train Of Thought”, con “The Root Of All Evil”, su “Octavarium” e con “Repentance” dal precedente “Systematic Chaos”. “The Shattered Fortress” è dunque un puzzle, con molti rimandi ai brani precedenti, che si intersecano fra loro e ben si amalgamo alla nuova composizione, sempre molto metal ed aggressiva, creando praticamente una suite nella suite. Non manca l’apoteosi strumentale che caratterizza quasi ogni composizione firmata Dream Theater e quando il brano ritorna poi su “The Glass Prison” e sugli altri tasselli essenziali per la perfetta riuscita di questo puzzle, l’effetto è grandiosamente riuscito.

THE BEST OF TIME
Considero questo brano un vero capolavoro dei Dream Theater, uno di quei brani che farà discutere, forse per la sola colpevolezza di essere troppo melodico e sinfonico, ma invito tutti ad ascoltarlo attentamente e magari più volte, solo allora vi accorgerete che la band ha composto una mini sinfonia, un brano che in certi momenti sembra la colonna sonora di un film, sicuramente drammatico e triste, ma che provoca, almeno nel sottoscritto infinite emozioni, a partire dal pianoforte di Rudess, per passare al toccante apporto del violino dell’ex Mahavishnu Orchestra Jerry Goodman e non poteva mancare Petrucci, alle prese con l’acustica, che cede il passo poi all’elettrica con un passaggio vorticoso ed il brano diventa per pochi minuti una nuova “Surrounded”, ovvero un raro gioiello progressivo ed in certi momenti la chitarra riproduce alcuni passaggi di casa Rush. Il brano ritorna poi nel tema e nella melodia portante ed il finale è tutto per Petrucci, che ci regala forse il suo solo più bello, dal gusto neoclassico con fraseggi ed arpeggi barocchi, suonati con il cuore e senza lasciarsi troppo andare in tecnicismi che stonerebbero in un brano del genere.

THE COUNT OF TUSCANY
Più di diciannove sono i minuti per questa splendida suite, dove c’è anche un tocco della nostra Italia, almeno nei testi che narrano una vera storia accaduta a Petrucci proprio in Toscana. Musicalmente la suite ha proprio una costruzione che rimanda alle lunghe suite del progressive anni settanta, anche se il tutto è sapientemente miscelato a forti dosi di metal con le solite lunghe divagazioni strumentali e con un LaBrie più aggressivo. La parte centrale si sofferma su atmosfere molto intimiste e progressive che ricordano molto la “Close to the Edge” degli Yes. Il brano riprende poi quota nel migliore dei modi e và a chiudere un grande disco.

La versione limited edition, racchiude altri due cd, uno con ben sei cover eseguite in maniera perfetta, con la monumentale “Stargazer” dei Rainbow, “Odyssey” dei Dixie Dregs estrapolata dal loro capolavoro “What If” ed ancora “Take your Fingers From My Hair” degli Zebra, “Larks Tongues In Aspic Pt. 2” dei King Crimson, eseguita egregiamente dai Theater, poi ancora un doveroso tributo al metal con “To Tame A Land” degli Iron Maiden. Ho lasciato per ultimo la tripla cover dedicata ai grandi Queen e forse solo i Dream Theater potevano reinterpretare tre dei brani più belli e sicuramente meno conosciuti della Regina e sto parlando di “Tenement Funster/Flick Of The Wrist/ Lily Of The Valley”, suonati proprio così, come li trovate sul loro bellissimo terzo album, “Sheer Heart Attack” e la voce di LaBrie viene qui messa a dura prova, perché confrontarsi con Freddie Mercury è impresa assai ardua per tutti. Il terzo cd, infine racchiude l’intero album in versione strumentale. I Dream Theater sono ritornati con un grande lavoro, sempre guardando avanti e come già dissi in sede di altre loro recensioni, quando la band cercherà di coverizzare sè stessa, ovvero rifacendo un nuovo “Images And Word”, allora possiamo dire che potrebbe iniziare la fase discendente dei Dream Theater. Nella mia classifica personale “Black Clouds & Silver Linings”, và direttamente al terzo posto, dopo “Images And Words” e “Metropolis 2: Scenes From A Memory”, che considero il loro vero capolavoro. Nuvole nere all’orizzonte e barlumi di speranza, questo è bene o male il significato del titolo, praticamente la situazione attuale mondiale, ed in 75 minuti, i Dream Theater riescono a darci quel barlume di speranza in più, facendoci provare, ancora una volta, infinite emozioni.

95/100

di Fabio Loffredo

 

Decimo album per la band statunitense che, a detta di tutti, ha scritto le prime e fondamentali pagine del progressive metal diventando punto di riferimento per artisti di tutto il mondo.
Autori di capitoli importantissimi della storia del progressive metal con album come Images And Words, Awake, Metropolis: Scenes from a memory per citare i più celebri.
E’ con questa considerazione che ogni ascoltatore che tenti, come me, di fare una analisi critica dei lavori della band, si accinge al loro ascolto.

Il primo brano A Night to Rember si apre con sonorità cupe e maestose, dai toni quasi grandiosi; caratterizzate da tempi larghi (seppur supportati da una veloce doppia cassa). E’ subito chiaro come i Dream Theater proseguino con le sonorità proposte da Train of Thougth in poi.
Si passa velocemente e bruscamente a sonorità heavy caratterizzate da un riff secco e cadenzato in stile Metallica. Il cantato si svolge su tonalità più melodiche e lente. Il brano dura oltre i sedici minuti e si alterna tra parti strumentali solistiche veloci e parti più melodiche e leggere. E’ possibile notare come Petrucci preferisca arrangiamenti più semplici, con arpeggi e accordi aperti, rispetto ai vecchi riff che armonizzavano, in passato, anche le strofe del cantato.
Allo stesso modo adesso troviamo assoli molto veloci costituiti da scale, quartine e sweep che i vecchi soli melodici cosparsi di fraseggi e abbellimenti.
Rudess predilige suoni di sinth, organi, piano e il suo ultimo gioellino creato da Haken: il continuum fingerboard col quale si diverte a fare molto suono e poche note. Spiace dirlo ma il brano suona come un mal riuscito taglia e cuci di idee, è possibile sentire nel brano anche una voce simile al growl. I cambi sono frequenti e repentini con vari temi che si ripetono al suo interno. Il tutto mettendo a prova l’orecchio di qualsiasi ascoltatore smaliziato. I temi talvolta sono ripetuti anche con variazioni ritmiche, a mio avviso, azzardate.

Il secondo brano A Rite of Passage è chiaramente più orecchiabile e immediato. Le sonorità rimangono quasi invariate, con tastiere meno presenti se non limitate a semplici passaggi di Strings che seguono la melodia principale. Il tutto con una struttura Strofa-Ritornello-Bridge fino ad un altro riff stile Metallica che precede il solo di chitarra. Niente da aggiungere, il brano non sembra brillare per qualche particolare intuizione compositiva. Segue il solo di tastiere con contorno di effetti sonori, per ritornare prevedibilmente al ritornello e quindi al riff iniziale.

Wither, il terzo brano è una ballad di poco più di cinque minuti. Pezzo rock melodico dove la voce di Labrie è protagonista di una prestazione che fa notare come sembri ancora in buona forma nonostante i tanto chiacchierati problemi alla voce. Nel brano la chitarra rimane sempre su accordi distorti aperti stile “chitarra da spiaggia” che confermano l’impressione di una scarsa elaborazione degli arrangiamenti.

The Shattered Fortress, ultimo capitolo della saga sull’alcolismo, segue la falsa riga di This Dying Soul dell’album Train of Thought. Qui vi è una vera e propria rivisitazione del brano precedente con altri inserti di The Glass Prison, vecchio brano di Six Degrees of Inner Turbolence. Entrambi i brani citati sono facenti parte della saga con cui Portnoy parla dei suoi passati problemi con l’alcool. Seguono anche citazioni del quarto episodio della saga: In the presence of Enemies tratto da Systematic Chaos. Il brano appare inevitabilmente come un medley dei capitoli precedenti. Forse il meno bello di tutti. Ma è anche possibile considerarlo come una sorta di Overture che, come nel melodramma, riprende i temi presenti in un opera per facilitarne l’accessibilità al pubblico in sala. Segue la citazione di The Root of All Evil (terzo capitolo). Questa è forse la citazione più evidente insieme al finale tratto da The Glass Prison per tornare alle ritmiche che aprivano The Root of All Evil.

The Best of Times il quinto brano è la canzone che Mike Portnoy dedica al padre morto di cancro.
Per i primi tre minuti il brano presenta un malinconico duetto di piano e chitarra acustica solista molto essenziale e semplice nelle armonie. Il brano è chiaramente incentrato, a mio avviso, sul contenuto dei testi che sulle musiche. Infatti esse sono molto lineari senza grosse sorprese. Le linee vocali di Labrie non seguono più grossi salti e risultano molto “statiche” (caratteristica di tutte le melodie del disco). Qui è forse presente il più bel solo di chitarra del disco, il quale è supportato da una ottima base armonica a tratti dai toni propri della musica classica. Il brano finisce sfumando sul solo stesso.

Ultimo brano è The Count of Tuscany, il brano tratta di una visita di Petrucci in Toscana durante un tour in italia. Egli, visitando un castello incontrò un bizzarro e inquietante conte che con i suoi racconti fece temere Petrucci di non poter uscire mai più da quel castello. Il brano verte su toni cupi. A mio parere, salvo poche eccezioni, risulta davvero noioso. Prosegue senza colpo ferire fino a quasi 20 minuti di durata.

Un ora e un quarto di musica in totale. Sei brani di smisurata lunghezza. Un cd che raggiunge la sufficienza per via della produzione e la bravura dei musicisti. Sono pochi i momenti veramente di livello, per una band che, forse, ha ormai detto tutto. I Dream Theater sembrano soffermarsi maggiormente sulle tematiche, i contenuti, la numerologia e i segni presenti nei testi, che sulle musiche che li accompagnano. Insufficienti gli arrangiamenti che trovo piatti e monotoni. Davvero mi spiace constatare come oramai questa band, ora più che mai, si sia allontanata dagli antichi splendori.

60/100

di Giuseppe Carrubba



James LaBrie: Voce
John Myung: Basso
John Petrucci: Chitarra, voce
Mike Portnoy: Batteria, voce
Jordan Rudess: Tastiere

Guest:
Jerry Goodman: Violino

Anno: 2009
Label: Roadrunner/Warner Music
Genere: Prog Metal

Tracklist:
CD 1:
01. A Nightmare To Remember
02. A Rite Of Passage
03. Wither
04. The Shattered Fortress
05. The Best Of Time
06. The Count of Tuscany

CD 2:
01. Stargazer (Rainbow)
02. Tenement Funster/Flick Of the Wrist/Lily Of the Valley (Queen)
03. Odyssey (Dixie Dregs)
04. Take Your Fingers From My Hair (Zebra)
05. Larks Tongues In Aspic Pt. 2 (King Crimson)
06. To Tame A Land (Iron Maiden)

CD 3:
01. Black Clouds & Silver Linings (Instrumental Mixes)

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