Lo scorso 17 dicembre ci ha lasciati nel silenzio più assoluto Don Van Vliet, una figura davvero molto importante per il rock e la musica sperimentale ma che purtroppo, non ha avuto la giusta attenzione, anche da parte dei giornali e televisione.
A parte qualche articolo sparso qua e là tra Il Fatto Quotidiano, Repubblica e siti del settore, veramente si è letto poco o nulla. Da molto dispiacere in quanto si poteva togliere un pezzetto dell’attenzione tanto riservata alla commemorazione di John Lennon poche settimane fa e non lasciare nell’indifferenza più assoluta la memoria di questo grande artista. Ai più Don Van Vliet non dice granchè e forse neanche lo pseudonimo di Captain Beefheart. Resta il fatto che è stato un personaggio a tutto tondo, a modo suo compagno di gioventù, complementare ad un musicista immenso come Zappa. L’uno era assillato dalla perfezione, dall’organizzazione fin dei minimi dettagli della composizione ed esecuzione della musica, maniaco del controllo degli altri ma soprattutto di sé, al punto da disprezzare qualsiasi stupefacente. Dall’altra Van Vliet figura freak nel senso autentico della parola, in cui minimalismo, poliritmia, dissonanza, ma anche improvvisazione e superamento dei limiti della razionalità umana, del forsennato abuso fisico, costituiscono in tal senso l’antitesi dell’altro. Senz’ombra di dubbio, rimarrà sempre, una delle realtà fondamentali del panorama musicale, fiorito nella Sunset Strip di Los Angeles e della scena freak anni settanta purtroppo fino a raggiungere il punto più basso negli anni ’80 rinascendo poi come pittore e scultore, ambito in cui da sempre era votato.
Come molti sanno, Vliet studiava nella stessa scuola di Zappa, la Antelope Valley College ove si conobbero e fu un’amicizia intensa, fatta di ore ed ore di ascolto ininterrotto di dischi doo woop in casa di Don (elemento che ritornerà spesso nell’opera di Zappa), di discussioni musicali e nell’intento di scrivere una sceneggiatura per un film poi mai realizzato in cui compare per la prima volta il nome di Captain Beefheart.
Il rapposto fu funestato negli anni da dissapori, dovuti anche al fatto che Van Vliet amasse una vita piuttosto dissoluta e meno concentrata, più sanguigna e primordiale rispetto a quello che intendeva Zappa ,soprattutto per la composizione musicale. Basti pensare che dopo la produzione di Trout Mask Replica, Van Vliet, inspiegabilmente, non si fece più vedere fino al 1975.
Il primo disco della Magic Band è Safe as Milk datato 1967, nei successivi due Mirror Man e Strictly Personal, Van Vliet incontrò problemi di vario genere di distribuzione e formazione.
E’ l’esperienza di Trout Mask Replica, disco del 1969 (anno in cui esce Hot Rats in cui Beefheart ha una breve apparizione nell’incipit del fantastico pezzo "Willie The Pimp"), riconosciuto dalla critica come un album chiave per la storia del rock (probabilmente il migliore per molti). Esso ha aperto nuove possibilità alla musicale sperimentale grazie alla sua dirompente rottura degli schemi della ritmica, dei tempi e della concezione di una musica come espressione delle pulsioni animalesche, primitive, sottolineate anche (e soprattutto) dalla teatrale voce cavernosa di Beefheart in grado di costruire geniali “blues” minimalisti. Interessante è l’esperienza raccontata dal batterista John French in cui spiega come il concepimento di quest’album fu letteralmente un collettivo “lavaggio del cervello”. Tutti i musicisti vissero assieme per circa sei mesi in condizioni al limite del vivibile condito dal carattere tirannico di Beefheart nella direzione. I pezzi furono scritti in poche settimane e fondamentalmente fu un lavoro immane per gli stessi membri della Magic Band che dovettero letteralmente estrapolare e trascrivere sul pentagramma, in base alle idee musicali accennate al pianoforte o fischiettate da Van Vliet, che allora aveva conoscenze teoriche e tecniche piuttosto limitate. La difficoltà era tutta nell’imparare a suonarli data la notevole complessità dettata dai continui cambi di tempo. La cosa formidabile, invece, fu che dopo il lavoro preliminare, l’incisione venne completata in poche ore. La Magic Band aveva raggiunto infatti una coesione pazzesca dopo quell’immane lavoro. I detrattori di Beefheart contestano molto la sua opera per alcuni aspetti, per aiutarci a capire le motivazioni inseriamo questo breve passo da un’intervista di John French:
“[…]Vliet portò un pianoforte in casa. Non sapeva suonarlo e pestava sui tasti producendo improbabili accordi a dieci dita, o suonava nota per nota con un solo dito seguendo i motivetti che aveva in testa, che venivano trascritti sul pentagramma. Circa un quarto delle canzoni destinate a essere incluse nel primo disco nacquero dopo esser state fischiettate da Vliet. Dipendeva in tutto e per tutto nell’arrangiamento, e anche nell’imparare i pezzi, nonostante abbia detto che ha insegnato lui alla band ogni nota della sua musica. Non è vero. E’ una balla colossale. Non si presentava quasi mai alle prove, e lasciava al gruppo il compito di dare una forma musicale al materiale, ma, una volta che qualcosa lo convinceva, si rifiutava categoricamente di apportare la minima modifica.”
In realtà il discorso va fatto ad un livello diverso: il genio di Van Vliet è in assoluto indiscutibile, in quanto deve essere visto come straordinaria intuizione musicale nell’ estrarre, sfruttando le capacità degli altri musicisti, brani che sono in potenza nella propria mente. E’ in questo senso che risiedeva il proprio genio musicale ed originalità. L’esperienza di Trout Mask Replica, rimane perciò un qualcosa di unico che va al di là della pura composizione, ma di un vero e proprio episodio che ha coinvolto una cerchia di musicisti per un periodo relativamente lungo, non solo nella musica ma nel convivere assieme e sopportarsi in qualche modo, al limite dell'inverosimile.
E anche questo è uno dei punti che ha permesso di produrre un risultato così devastante, che ancora oggi risulta di difficile fruizione e fa storcere il naso ai più. Dissonanze, poliritmie, teatralità dell’assurdo intrise di blues malinconico e ruvido del delta. Sono questi gli ingredienti principali. Dopo la serie di album che costellano gli anni ’70, tra cui il più assennato Lick My Decals Off e Spotlight Kid, tentativo piuttosto commerciale e segnato da movenze più morbide e meno toste che costituiscono un picco in basso per la produzione dell’artista. Nel ’75 si riappacifica con Zappa, tanto da firmare la propria collaborazione in alcune tracce di Bongo Fury. L’esperienza musicale termina negli anni ’80 con il lavoro Ice Cream For Crow, lavoro piuttosto chiuso nel tentativo di ritornare ai vecchi sapori della sua produzione migliore ma con un risultato melanconico. Decide così mestamente, di rifugiarsi nei suoi antichi amori, le arti figurative dove riscuote un buon successo trascorrendo l’ultima parte della sua vita ritirato dal frastuono della critica.
Il dispiacere maggiore è legato al fatto che troppo tardi ci si è accorti di questo fenomenale artista e della ventata d’innovazione che ha portato nel rock, new wave ed alternative che sarebbero venuti in seguito e nonostante ciò, ancora oggi c’è stata la netta dimostrazione di quella scarsa visibilità a cui Van Vliet sembra condannato.
Addio matto cuore di manzo, grazie per la musica che ci hai donato e salutaci il buon Frank Vincent!
Discografia essenziale di Captain Beefheart:
Safe As Milk (1967)
Strictly Personal (1968)
Trout Mask Replica (1969)
Lick My Decals Off (1970)
Mirror Man (1971)
Shiny Beast (1978)
con Zappa:
Hot Rats (1969)
Bongo Fury (1975)