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Lo spettacolo converte così il trastullo in riflessione e il palco in un laboratorio di empatia. Il ritmo scenico gioca con l’improvvisazione attraverso dialoghi con il pubblico, inserimenti video dal podcast omonimo, momenti musicali e giochi. Ne consegue non più quindi il mero teatro per famiglie, ma uno show spoglio della commettitura delle inibizioni grazie alla presenza di creature non ancora integralmente plasmate dall'ambiente ed una rappresentazione che induce gli adulti a farsi spettatori vulnerabili. L'attore si muove con mestiere adoprandosi tra ironia e stupore, non tradendo la leggerezza e lasciandosi attraversare dalla fragilità. La sua maschera comica disvela comunque il dialogo interiore — le intelligibili titubanze da adulto — cosicché l'astante percepisce che, dietro la battuta, si cela un ambizioso intento di rievocazione. La scena, pur essendo quella assimilabile alla rappresentazione tradizionale, è abitata da un desiderio di prossimità in cui il pubblico intercetta la dimensione della festa, dell’incontro amichevole. Assente giustificata la scenografia ingombrante: l’elemento scenico più forte è la fisicità del palco, i movimenti e la ricercata interazione con la platea. Ogni complemento, dal microfono alle seggiole al materiali di gioco, ha una presenza che si carica di senso. Ed in questo contesto, Isabel, Leonardo e Nicholas, cuccioli d'uomo dal vivido sesto senso, concertano i ritmi delle pièce e grazie alla loro magnetica presenza, compendio di spontaneità, all'autenticità dei loro sguardi e alla naturalezza dei tempi, ribaltano le dinamiche sceniche, tratteggiando momenti in cui, malgrado la tenera età, divengono a tutti gli effetti docenti di vita. Claudia Campolongo, con le sue note, dirige il respiro dello spettacolo. La sua coboldica presenza, indica riverberi emozionali, accompagnando le trasformazioni. In molti passaggi la musica diventa silenziosa cornice, in altri si fa antidoto al tempo. L'uditorio, mai relegato al ruolo di mero osservatore, è assiduamente coinvolto, invitato a partecipare, coeso nel circuito emotivo dei bambini e del protagonista. Questo gioco di prossimità rafforza il senso comune del rito recitativo e fa dello spazio del Manzoni non solo contenitore, ma co-protagonista. Un evento che ride e commuove, in cui la levità diventa materia culturale. Una peculiare declinazione di metateatro che invita gli adulti a tornare, senza timore, al presente dell’infanzia. Perché forse, come suggerisce il progetto, quando attraverso una accessibile tecnica regressiva diventerai piccolo capirai e, proprio allora, potresti ritrovare ciò che da adulto hai scordato di esercitare: il potere del sogno, il valore del semplice, il dono del balocco. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione dell'11 ottobre 2025 |
Il Babysitter
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