Ebrei, arabi ed europei possono amarsi, possono convivere? Mai come in questi giorni la domanda ha un senso, anche se la risposta sembra terribile. O forse il problema, come dice Momò, è che i grandi drammi ci rendono poi indifferenti o disattenti ad una vecchia ex-prostituta ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, che non riesce più a trascinare i suoi novantacinque chili su e giù dai sei piani del condominio senza ascensore di Belleville, in cui vive insieme ai marmocchi che gli sono stati affidati, “figli di puttana” di tutte le razze e religioni. Momò la ama, questa vecchia, anche se non è sua madre. Lui è il più grande di questa brigata di bambini, e sente su di sé una certa responsabilità, ma è anche un bambino che cerca la sua via nel mondo, che vuole sentirsi amato, che non cerca scorciatoie per la felicità. Silvio Orlando si fa bambino sul palcoscenico e traccia nitidamente questo mondo interiore ed esteriore con l’ausilio di pochi mezzi di scena: una poltrona sgangherata, un fatiscente edificio di tela che si inerpica fino al sesto piano, quattro fili di lampadine e un ombrello trasformato in pupazzo, con cui Momò guadagna qualche franco con spettacolini di strada. È lo stesso mondo del Malaussène di Pennac, solo che qui è più dolce e disperato e l’assurdo del quotidiano ha esattamente le tinte del reale, visto attraverso gli occhi di un bambino che deve affrontare la vita a mani vuote e senza amore e di un adulto che racconta sé stesso e nel farlo rivive le stesse emozioni. Momò/Silvio Orlando riempie la scena con i suoi incredibili occhi, con il suo sorriso, con la sua incrollabile voglia di vita e con un imperativo categorico: “Bisogna voler bene”. A disegnare lo sfondo emotivo i quattro bravi musicisti dell’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre, che suonano musiche arabe, ebree, parigine e africane; bellissimo l’assolo di Kaw Sissoko con la kora, una specie di liuto africano che si suona come un’arpa. A sottolineare l’importanza di questi panorami sonori, a chiusura dello spettacolo Silvio Orlando impugna il flauto traverso e ci regala un piccolo concerto insieme al quartetto. Questo è il terzo anno di repliche dell’applauditissimo spettacolo La vita davanti a sé, tratto dall’opera del 1975 di Romain Gary La vie devant soi, vincitore de ‘Le Maschere del Teatro Italiano 2022’ per il Miglior monologo. Il Teatro Franco Parenti ci ripropone lo spettacolo con quasi un mese di repliche: una occasione da non perdere per chi lo avesse perso nelle scorse stagioni. Questa recensione di riferisce alla rappresentazione dell'11 ottobre 2023. Recensione dello spettacolo al Teatro Quirino di Roma del 18 ottobre 2022 qui |
LA VITA DAVANTI A SE' interpretazione, riduzione e regia TEATRO PARENTI Via Pier Lombardo, 14 giovedì 12 - h. 21:00 |