Nel 160° anniversario della prima rappresentazione una delle opere più famose del maestro di Busseto, La Traviata, torna a risuonare sul palcoscenico che la tenne a battesimo nel 1853.Si tratta della ripresa dell’allestimento del 2004 di Robert Carsen, col quale il teatro veneziano riaprì dopo il rogo che lo distrusse quasi completamente nel 1996.
Allestimento più volte ripreso e quindi diffusamente conosciuto, che come molti ormai sanno, ha come elemento attorno al quale ruota l’impianto registico il denaro, reale movente di tutte le vicende e le relazioni che si succedono nello svolgimento della trama. Denaro che è non solo oggetto di scambio con il sesso (si torna a una Violetta verdianamente intesa, visto che il compositore affermava che “Una puttana è pur sempre una puttana”), ma è anche reale motivazione di quel falso affetto e falsa amicizia (il caro amico dottore vuol esser pagato per i suoi servigi, e la stessa Annina, così devota alla sua padrona, alla morte di Violetta fugge fregandosi la sua pelliccia) che sono l’antitesi dell’amore disinteressato di Alfredo. Denaro uguale a corruzione e immoralità, denaro che è il propulsore di un mondo borghese di falsi amici, di feste sguaiate (la festa di Flora si realizza come uno spettacolo da night di terz’ordine, con cow girl che vedrei bene aggrappate ai pali mentre balla la lap dance, e i toreador trasformati in bizzarri ballerini-spogliarellisti, una sorta di Arizona Dream Men) che profeticamente ha anticipato le miserie morali di un’altra borghesia, quella odierna, con il suo carico di olgettine, feste eleganti e amicizie pericolose.
A questa visione registico-drammaturgica si adeguano tutti gli elementi che costituiscono l’ambito nel quale si svolge l’opera. L’impianto scenografico è volutamente scarno, così che risalta ancor di più la funzione dei soldi e del sesso come fattori che scatenano e mettono in risalto la volgarità dei personaggi: tutto è già detto fin dal Preludio del primo atto, dove Violetta, assisa su un grande letto al centro della scena, mette in scena l’atto considerato più ripugnante del suo mestiere, quello del pagamento delle sue prestazioni “amorose da parte dell’infinita processione dei suoi tanti amanti ” (scena che anticipa il momento a più alto tasso di drammaticità dell’opera, la scena del pagamento alla festa di Flora). Alla percezione di un entourage vanesio, fatuo, superficiale e corrotto concorrono i bei costumi, correttamente pacchiani, di Patrick Kinmonth, autore anche delle scene, mentre il susseguirsi degli avvenimenti è messo in risalto dall’utilizzo ricercato e mai invadente delle luci progettate da Robert Carsen e Peter Van Praet.
In questo impianto scenico-registico si è mosso un cast che, nonostante le difficoltà prospettatesi fin dall’inizio (la sostituzione all’ultimo momento dell’interprete del ruolo protagonista), ha saputo condurre in porto in maniera più che soddisfacente la recita. Violetta è stata interpretata da Jessica Nuccio, chiamata all’ultimo momento a sostituire l’indisposta Elena Monti. Rispetto al 2011, quando la ascoltai al suo debutto nel ruolo di Violetta nel teatro veneziano, l’artista palermitana ha mostrato maggior consapevolezza di sé e del ruolo interpretato, pur non mostrando ancora quella maturità vocale per il ruolo che ha manifestatonell’interpretazione di Mimì nella Boheme del febbraio di quest’anno, sempre al Teatro La Fenice.
Alfredo era interpretato da Shalva Mukeria, tenore georgiano sicuramente più a suo agio con Donizetti e Bellini che con un Verdi pur ancora non troppo maturo. Dotato di vocalità felice, ha dato ad Alfredo una interpretazione alla quale è mancato un maggior spessore vocale nelle situazioni più drammatiche.Simone Piazzolla è stato George Germont. Lo è stato a dispetto della sua giovane età, lo è stato per la credibilità vocale con la quale ha interpretato questo ruolo ingrato, per la personalità con la quale ha occupato il suo pezzo di palcoscenico. Bello il fraseggio, e autorevole la presenza scenica: tra tutti, la lunga scena del secondo atto con Violetta, dove Piazzolla ma sopratutto la Nuccio hanno fatto ascoltare e vedere una bella dimostrazione di canto e di teatro.I comprimari hanno assolto con molta efficacia i loro ruoli, sia a livello registico che vocale: tra tutti ricordo Armando Gabba, che ha interpretato un barone Douphol laidamente satiro, conformemente con la regia, e Chiara Fracasso, una Flora tutta intrighi e vanità.Pregevole il contributo del corpo d i ballo, che ha ben realizzato le coreagrafie di Philippe Girardeau, opportunamente virate, per necessità dell’impianto registico, al genere del night club. Il coro, preparato da Marino Moretti, ha ben affrontato le parti a lui affidate, dal Brindisi del primo atto alla scena della festa a casa di Flora.Ottima la resa dell’orchestra, capace di mantenere, nell’undicesima replica del titolo nella stagione, un alto livello qualitativo ed esecutivo senza quei cedimenti che a volte possono colpire la routine. In particolare mi piace ricordare la compattezza degli archi, in particolare dei violini, che hanno risolto in maniera eccellente passaggi perigliosi quale ad esempio il difficile unisono prima di “Invitato qui a seguirmi” del secondo atto.
Sul ponte di comando di tutto ciò il maestro Stefano Rabaglia, chiamato ad affiancare Diego Matheus nella direzione di 6 rappresentazioni delle 14 previste per la stagione: a lui va il merito di aver portato a termine con mestiere e sicurezza una rappresentazione partita con alcune incognite e conclusasi nel tripudio del pubblico internazionale di appassionati che affolla le recite de La Fenice.
Melodramma in 3 atti di
Giuseppe Verdi
Libretto di
Francesco Maria Piave
Maestro concertatore e direttore
Stefano Rabaglia
Regia: Robert Carsen
Scene e costumi: Patrick Kinmonth
Coreografia: Philippe Giraudeau
Light designer: Robert Carsen e Peter Van Praet
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Personaggi e interpreti
Violetta Valery: Jessica Nuccio
Alfredo Germont: Shalva Mukeria
Giorgio Germont: Simone Piazzola
Flora Bervoix: Chiara Fracasso
Annina: Sabrina Vianello
Gastone: Iorio Zennaro
Il barone Douphol: Armando Gabba
Il dottor Grenvil: Mattia Denti
Il marchese d’Obigny: Matteo Ferrara