Le collaborazioni nella storia del rock non si contano di certo sulle dita della mano. I nostri timpani hanno udito Bowie con i Queen, Captain Beefheart con Zappa, Rolling Stone e AC/DC, persino Santana con Clapton al Crossroads Guitar Festival del 2006, la cui performance è fra le mie preferite.
Certo, si parla di nomi che hanno fatto la storia della musica, nomi che sono sulla bocca della gente quotidianamente, o quasi. Ma nell’ovile della musica, spesso si assiste ad amplessi più semplici, pudici, timidi, amplessi che originano una delle collaborazioni più belle e più sottovalutate degli ultimi anni. La gestazione ha portato alla nascita di In The Reins, ep figlio di Iron & Wine e Calexico. A volte mi chiedo come sia stato possibile portare su carta, su strumenti, su cuori, il blues, il folk, il country, il jazz, una vena rock, passando quasi inosservati, attraversando il 2005 con la stesso passo felpato della voce sussurrata che scaturisce in tutto il disco, eppure il west di Joey Burns e John Convertino alias Calexico e il folk proveniente dal South Carolina di Samuel Beam alias Iron & Wine, hanno colliso alla perfezione, generando un big bang dalle atmosfere calde, sensuali, ricercate, non del tutto originali, ma che starebbero bene in un bel negozio di rarità. In The Reins ha durata esigua: sette brani circondano il fuoco vivo delle anime dei protagonisti. Quella mezz’ora che ti porta via un mini album del genere, può essere la tua salvezza o la tua disgrazia, la sua pecca o la sua virtù. Si perché In The Reins porta il fardello di essere un ep con sentimenti convulsi e luci soffuse, un po’ come quell’indecisione che almeno una volta nella giornata, ognuno di noi prova. “He Lays In The Reins”, apre il disco con chitarra, piano e percussioni in stile tex-mex dei Calexico. Si intromette poi un bravissimo Salvador Duran, tenore che da al brano uno stile latino che urta violentemente il sussurrato testo del brano. Ruoli invertiti nella successiva “Prison On Route 41”, più country, più desertica, più aperta agli spazi, nello stile tipico di Beam. Fisarmonica del sud, riff ripetuto, batteria annoiata, “Prison On Route 41” è la colonna sonora della tua giornata calda in attesa che qualcuno ti dia un passaggio verso orizzonti luminosi e sere passate a dondolarsi su un amaca. Si sfocia così nell’allegra “History of Lovers”, cantilena da fischiettare in stile Neil Young che porta alla pragmatica “Red Dust”, decisa nel suo essere trionfante, nel tener piede in due staffe. Poche parole tanti fatti, basta ascoltarla che ti catapulta nel rosso del Messico. Ed è proprio questa l’intenzione dei tre musicisti, farti ingarbugliare il cervello fra gauchos, whiskey e corse con i cavalli in un ambiente contornato da peperoncini troppo piccanti. Come non può mancare in ogni album la melodiosa ballata raccolta in “16, Maybe Less”, che prepara i sensi, a mio avviso, al culto della raccolta: “Burn That Broken Bed”. Non avrebbe nulla di speciale questo brano, se non fosse per due spari solitari che si odono alla perfezione: l’assolo di tromba di una sensualità inaudita e la voce delicata e sussurrata che ti esclama, con una vena poetica “I wanna touch your mouth when you're up there”, il tutto avvolto da una chitarra soave che va a riempire quell’ultimo angolo di cuore. Questo lavoro non è nulla di mai sentito, rimanda a vari artisti, ma il punto non è questo. Bisogna non aspettarsi chissachè da questa collaborazione per rendersi conto che il risultato che ne scaturisce è fenomenale. E’ un ep che non parla a sproposito, che apre bocca solo quando è necessario, ma che quando lo fa, ne rimani attratto mentalmente. In The Reins è semplicemente la strada che non hai deciso di seguire quando ti sei ritrovato al bivio. 75/100
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Samuel Beam: Voce e chitarra Anno: 2005 Sul web: |