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Orfeo, variazioni sul mito
Maria Grazia Ciani, Andrea Rodighiero

Orfeo, cantore trace e figlio di Calliope, musa greca della poesia, è considerato il poeta per eccellenza. Col soave suono della sua cetra, egli riesce ad incantare la natura che lo circonda, a placare gli animali, gli uomini e persino gli dei. L’amore per Euridice lo conduce dritto all’Inferno. L’uomo innamorato desidera riportare in vita la sua dolce sposa, morta per il morso di un serpente; ottiene il permesso di farlo, ma ad una condizione: non può voltarsi durante il tragitto. Orfeo, però, proprio in prossimità dell’uscita, si guarda indietro, perdendo per sempre la sua donna. Ma perché si volta?

In questo volume, Maria Grazie Ciani ed Andrea Rodighiero prendono in esame le rielaborazioni letterarie della storia da parte di alcuni grandi autori (Virgilio, Ovidio, Poliziano, Rilke, Cocteau, Pavese e Bufalino), focalizzandosi non più sul divieto, bensì sull’atto del respicere, ovvero sul gesto compiuto da Orfeo. Si assiste ad un iter che converge verso un nucleo disincantato: alla storia d’amore si sovrappone il mito del poeta, “la cui musa si nutre, necessariamente e volontariamente, di assenza e lontananza, di dolore e morte”.
Se i poeti latini rimangono fedeli al tessuto autentico della storia (Virgilio si focalizza sull’amore per Euridice, mentre Ovidio sul tema della morte come condizione irreversibile), a partire dal Novecento, si assiste a una serie di reinterpretazioni che si allontanano dallo spirito originario della leggenda per due motivi principali: esse sono frutto dell’evoluzione dei tempi e di rado gli autori novecenteschi attingono direttamente al mito classico, poiché esso viene filtrato attraverso importanti figure catalizzatrici, come Hölderlin e Nietzsche.
A partire da Rilke, così, si assiste al passaggio dall’uomo che si volta per il troppo amore verso la sua donna, al poeta che si guarda indietro in maniera del tutto volontaria e consapevole.
Nella trasposizione tragica dell’Orphèe di Cocteau, ancora, il figlio di Calliope pronuncia testuali parole: “Ho voltato la testa apposta”.
Sentenze ancora più dure si leggono ne L’Inconsolabile (I dialoghi con Leucò) di Cesare Pavese, in cui il cantore dice: “Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai”. È evidente che Orfeo, rielaborato in chiave esistenziale e nichilista, viene assunto dallo scrittore piemontese come rappresentativo della condizione dell’uomo e del suo destino, nonché come simbolo dell’intellettuale e della sua condizione all’interno della società contemporanea.
Questi sono solo alcuni esempi delle ramificazioni che sono scaturite dalla radice comune del mito classico di Orfeo.
Nel panorama letterario italiano, però, è d’obbligo citare anche Dino Campana (I Canti Orfici), non presente in questo volume. Si tratta del maggior esponente dell’orfismo e in lui ritroviamo pienamente il dualismo di Nietzsche e la concezione dell’uomo sospeso tra due grandi realtà: la vita e la morte; la precarietà e l’aspirazione all’assoluto.




Orfeo, variazioni sul mito

Editore: ‎ Marsilio
Lingua : ‎ Italiano
Copertina flessibile: 160 pagine
ISBN-10: ‎ 8829719730
ISBN-13: 978-8829719730
Dimensioni: 20 x 2.1 x 12.9 cm

Sinossi: Quando l’amata sposa, la ninfa Euridice, muore per il morso di un serpente, Orfeo sfida con la sua arte le potenze dell’Ade e ottiene di riportarla tra i vivi a patto che, durante il cammino, non si volti a guardarla in viso. Orfeo trasgredisce, e perde Euridice per sempre. Nelle fiabe, ogni forma di divieto preannuncia l’esito fatale. L’antica leggenda di Orfeo ed Euridice è il racconto di una resurrezione impossibile: la conclusione è quindi scontata. Nelle successive rielaborazioni letterarie della storia, però, il punto focale non è più l’ordine di Ade, bensì il gesto di Orfeo: perché si volge a guardare, nonostante gli sia stato proibito? Per troppo amore di Euridice o per eccessivo amore di sé? Da Virgilio a Bufalino il percorso è segnato da un progressivo disincanto: alla storia d’amore si sovrappone il mito del poeta, la cui musa si nutre, volontariamente e necessariamente, di assenza e di lontananza, di dolore e di morte.


 


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