Pharoah Sanders Quartet
Ravenna, 5 Maggio 2013

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Ravenna, 5 Maggio Giugno 2013 - Ravenna Jazz - Teatro Alighieri

Quando si ha l’opportunità di sentire la voce di un grande musicista della storia del jazz americano, specie se a pochi chilometri di distanza, tanti sono i motivi per mettersi in viaggio e dirigersi appassionati verso di essa. Mi è successo di ascoltarla qualche sera fa a Ravenna, all’interno della bellissima cornice del teatro Dante Alighieri: parlo della voce straordinaria del sassofonista Pharoah Sanders, accompagnato per l’occasione da tre importanti musicisti: William Henderson al pianoforte, Oliver Hayhurst al contrabbasso e Gene Calderazzo alla batteria; artisti inseriti all’interno della ricca programmazione di questa 40° edizione del Ravenna Jazz 2013. Tralasciando le note biografiche di questo monumentale tenorista, che qui ci abbaglierebbero come i raggi di un sole agostano, mi piace legare idealmente il suo nome d’arte, Pharoah, “faraone” appunto (nome coniato da Sun Ra agli inizi degli anni Sessanta), all’invenzione del suo suono sciamanico, come più volte è stato detto dalla critica specializzata, che sentiamo gravido di frequenze sonore misticheggianti, capaci di allargare ancora lo spettro delle possibilità linguistiche di questo universo chiamato jazz.

L’arte di Sanders sintetizza molto bene la dimensione ritmica, tipica della originaria cultura africana, alla matrice di un canto squisitamente spirituale, fondendo in un unico gesto espressivo le contrapposte coordinate di un certo sentire orientale con quello occidentale. Ascoltarlo, oggi, è ancora un grande privilegio. Sanders è figlio della stessa sostanza alchemica appartenuta al gigante John Coltrane; non a caso egli viene riconosciuto come uno dei più autentici prosecutori di quella temperie musicale che sappiamo essere fatta di accenti e vibrazioni moderni, misti ad echi tribali, tali da riportarci col cuore e con la mente ad una verticalità cosmica -non ci sembri esagerato-, in una prospettiva di sensazioni funamboliche da rifondare criticamente la nostra visione storica su molta arte del Novecento. “The Creator Has a Master  Plan” è il titolo che dà il nome al quartetto dei jazzisti succitati, estrapolato da uno dei più celebri album realizzati da Sanders: correva l’anno 1969, e oggi sappiamo come il tempo abbia lavorato per noi, consegnandoci uno dei suoi capolavori più riusciti: “Karma”. A far da fondale a questa speciale serata ravennate vi è stato il nero oceanico di un sipario dalle quote ondeggianti, simile ad alcune notti che sanno restituire lo zucchero e l’oro dei mosaici del Mausole di Galla Placidia, o quelli della basilica di Sant’Apollinare in Classe. A tal proposito, non ci si stupirebbe se scoprissimo che il Nostro, prima dello spettacolo, ne avesse ammirato le fattezze stilistiche, scrutato le dinamiche tonali, come a imperlare il suo cuore di bagliori e luccichii che, con maestria e forza poetica, è riuscito poi a trasfigurare dalla miniera delle sue mani.

Con fervida attesa, l’abbiamo visto entrare in scena col passo vacillante di chi porta con sé gli anni della saggezza; abbracciare la perfezione meccanica del suo imperioso sassofono, il perfetto prolungamento della sua voce interiore, restituendoci così un’immagine siamese, figlia dello stesso oro faraonico... Lo spettacolo, seppure inizialmente con qualche imperfezione da parte della regia del suono (uno sbilanciamento asimmetrico e sovrastante della ritmica sulla melodia), ha messo in risalto una scaletta di brani particolarmente densa, fatti di echi lirici ed immersivi. Tanto per citarne alcuni: “Heart Is A Melody”, brano dai contenuti pieni pathos, sottolineata anche dall’assolo lucidissimo di Oliver Hayhurst, il quale ha evidenziato il territorio magico delle note del contrabbasso; ancora, la già menzionata “The Creator Has a Master Plan”, esempio straordinario di una melodia struggente, inno alla bellezza del mondo, retta dal suono infuocato di un sassofono capace di percorrere scale aeree e crescite dinamiche, in un andirivieni di dissonanze pastose e di intervalli inusuali, che hanno reso l’intera struttura compositiva una pietra miliare degli standards jazz. La velocità delle note di Sanders incanta sempre la dimensione del nostro paesaggio percettivo, con virtuose invenzioni singolari, mai fini a se stesse, facendosi allo stesso tempo materia sottile e impalpabile, sospesa in uno spazio umido di parole di commovente poesia.

Mi vengono subito alla mente le note reinterpretate del brano "Body&Soul", offerteci come un dono capace di imperlare i nostri occhi. Sul palco il “faraone” è un comunicatore acuto, generoso e complice di un armonico rapporto tra le diverse personalità coinvolte. Mi è sembrato molto bello vederlo uscire più volte dalla scena durante la circolare evoluzione degli altri assoli, come a dimostrare una umiltà rara e una naturalezza di gesti che lo rendono sicuramente un vero esempio di vita; e poi far rientro, soddisfatto e slanciato, in un ondeggiare compiaciuto del proprio corpo, a ritmo di un mood incalzante. La sera del 5 maggio sono uscito dal teatro Alighieri col piacere di aver imparato una lezione nuova, tentato curiosamente dall’emersione di un’immagine del dipinto del “Maestro dell’Annuncio ai pastori” (pittore anonimo del XVII sec.) dove, in una sublime composizione dalle tinte contrastanti, raffigurante l’”Allegorie delle arti” (nella tela vi sono rappresentati un anziano pittore e il suo giovane allievo), vediamo dipinta in basso a sinistra la pagina di un cartiglio con su scritto: “ancora imparo”. Ecco, forse questa è una massima che piacerebbe molto al grande Sanders: maestro e allievo al contempo!



Pharoah Sanders: Sax tenore
William Henderson: Pianoforte
Oliver Hayhurst: Contrabbasso
Gene Calderazzo: Batteria

Data: 05/05/2013
Luogo: Ravenna - Teatro Alighieri
Genere: Jazz

 

 

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