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Pat Metheny
From This Place

Difficile ascoltare e apprezzare questo disco tralasciando, anche soltanto per un attimo, la recente dipartita di Lyle Mays (QUI un breve articolo che rende doverosamente omaggio all'artista e al suo innegabile talento).

Se è vera l'asserzione che "nessuno, su questo mondo, è fondamentale", non può anche negarsi che uno come Mays rappresenta qualcosa che si avvicina molto all'eccezione: la sua assenza rende assai arduo qualsiasi intento di ricostituzione e/o prosecuzione del Pat Metheny Group, finanche in termini emulativi.
Tuttavia, dopo una certa appannata presenza di piano e tastiere che aveva caratterizzato ogni band di Metheny negli ultimi 10 anni, il suo primo album dopo "Kin (←→)", del 2014, sembra paradossalmente evocare con struggente magnetismo emotivo l'arte espressiva del pianista del Wisconsin.
Pare farlo con l'inaspettato impiego di una formazione che, per la prima volta, torna ad essere meravigliosamente allargata grazie all'interessamento di tre musicisti che si aggiungono al quartetto di base, tra i quali preme segnalare un vocalist e un percussionista, elementi piuttosto ricorrenti nel PMG; pare confermarlo con l'impiego di membri storici di quest'ultimo, quale Antonio Sanchez, Luis Conte e Steve Robdy (quest'ultimo, purtroppo, soltanto nelle vesti di co-produttore); pare affermarlo con l'inaspettato utilizzo di un'orchestra, laddove l'orchestrazione, con o senza orchestra, era uno dei tratti distintivi del PMG (rectius, di Lyle Mays).
Queste novità rendono l'organico di cui sopra quanto di più vicino al Group sia stato organizzato dal chitarrista a partire dallo scioglimento dello stesso, nel 2010 (2005, se si considera l'ultimo disco in studio).
L'ascolto non tradisce le aspettative.
I 10 pezzi che compongono la nuova fatica discografica del chitarrista richiamano proprio la lezione sonora impartita dal PMG, pur con talune riserve: i tre musicisti aggiunti di cui sopra non sono purtroppo impiegati in tutti i brani, Linda May Han Oh non è il gigante che è Steve Robdy, la cui assenza è piuttosto evidente in alcuni frangenti (nel brano "Same River", ad esempio, la parti di basso iniziale presentano lievi legnosità che, a memoria, il suo blasonato predecessore non ci ha mai "regalate") e forse Sanchez è perfetto per il Metheny jazzista, non sempre per il Group, all'interno del quale pare avere più senso lo stile etereo e rarefatto di Paul Wertico o Danny Gottlieb (l'ultimo ha peraltro nuovamente incrociato la strada di Metheny nel recente "Hommage to Eberhard Weber", che abbiamo recensito QUI e che si segnala ai completisti per la presenza del monumentale inedito "Hommage", la composizione in assoluto più lunga, con i suoi 31 minuti, mai firmata dal chitarrista). Non è finita: "You Are" è caratterizzata da una melodia stupefacente inserita in un crescendo piuttosto enfatico e suggestivo che, tuttavia, viene ripetuta ad oltranza, senza subire evoluzioni di sorta; "From This Place", unico brano cantato del disco, non è altro che un brano pop piuttosto prevedibile, pur impreziosito da talenti vocali decisamente indiscutibili; "Sixty-Six" riprende pedissequamente la ritmica del notissimo "Last Train Home"; infine, mancano echi di musica popolare brasiliana mentre sono fuori luogo le direzioni di stampo jazz ad indirizzo chiaramente sperimentale che contraddistinguono i primi 4 minuti di "America Undefined", brano inspiegabilmente collocato in apertura (in realtà, possono tollerarsi agevolmente la rispettiva assenza e presenza dei due giacché la cultura sudamericana non interessava il primo PMG mentre incursioni nel secondo genere sono state offerte fin da "Offramp").
Quello che ci fa apprezzare questo disco, tuttavia, è il fatto che il jazz sia tornato ad essere soltanto uno dei molteplici generi profusi, caratteristica peculiare del Group e condizione prodromica del suo successo anche tra le fila di chi di jazz mastica ben poco.
Questo album offre, finalmente, la meravigliosa ed eterogenea proposta musicale che inglobava genialmente la musica classica contemporanea, il folk, le atmosfere cinematiche, finanche il pop e il rock, pur appena lambiti.
E anche se non riusciamo a smettere di domandarci come sarebbe stato il disco se Mays avesse avuta l'opportunità di metterci le mani, possiamo senz'altro dire che il nuovo pianista Gwilym Simcock - che dal vivo ci era apparso quasi latitante - qui riesce ad affermarsi con una sua dimensione esecutiva che risulta pressoché perfetta per il Metheny attuale e per la musica che egli oggi concepisce.
Dal canto suo, quest'ultimo ha così commentato la nuova uscita discografica (il contribto è un po' lungo ma ne vale la pena: si ritiene che, in questo particolare momento storico, ogni dichiarazione di Pat Metheny debba essere adeguatamente attenzionata):

"è uno dei dischi che stavo aspettando di fare da tutta la vita. È una sorta di culmine musicale, che riflette una vasta gamma di espressioni che mi hanno interessato nel corso degli anni, ridimensionata su una grande tela, presentata in un modo che offre l'opportunità di comunicazione maturata soltanto da un gruppo di musicisti che hanno trascorso centinaia di notti insieme sul palco.
Aggiungete a ciò la sfida di tutta la nuova musica e la risposta spontanea che ha generato, incanalandola attraverso il prisma dell'orchestrazione su larga scala e, inaspettatamente, From This Place diventa qualcosa che fa avanzare molte delle mie aspirazioni centrali come musicista.
Nel corso dei vari anni che hanno preceduto questo progetto, ho portato il quartetto di base al centro di questa registrazione in tutto il mondo, presentando una serata di musica focalizzata interamente su composizioni precedenti. Fino ad allora, praticamente ogni tour che avessi mai fatto era incentrato sulla nuova musica di qualsiasi disco fosse in corso in quel momento, con alcuni pezzi di epoche precedenti sparsi lungo la strada. A quel tempo, ero in diverse centinaia di composizioni e non mi ero mai veramente fermato a dare un'occhiata indietro.
L'idea di riunire un gruppo unico di giocatori estremamente talentuosi, ognuno con la propria relazione con la mia area di lavoro generale, mi è piaciuta, in particolare l'idea di identificare e presentare le melodie che potrebbero essere abbastanza malleabili nelle loro mani da poter visitare nuovamente come trampolino di lancio per le nostre capacità e interessi collettivi come improvvisatori. Con il mio collaboratore di lunga data alla batteria, il geniale Antonio Sanchez, l'eccitante nuovo pianista Gwilym Simcock, affiancato da Linda May Han Oh, uno dei più importanti nuovi musicisti della scena newyorkese degli ultimi anni, ho avuto un formidabile gruppo di musicisti. Erano tutti preparati in ogni modo ad affrontare quella musica più vecchia in modi che sapevo sarebbero stati eccitanti e interessanti. Quello che doveva essere un tour relativamente breve continuava ad essere esteso dalla domanda popolare, trasformandosi infine in diversi anni di esibizioni in tutto il mondo - diventando uno dei gruppi più divertenti e soddisfacenti che io abbia mai avuto sul palco con me.
Parallelamente e nel mezzo di tutto ciò, ho anche fatto diversi tour di duetti con uno dei miei principali eroi della vita, il bassista Ron Carter. Oltre al brivido di essere sul palco con il signor Carter notte dopo notte, i rigori del tour ci hanno dato anche molto tempo di viaggio insieme. Durante quelle molte ore trascorse in auto e aerei in tutto il mondo, sono stato in grado di porre a Ron tutte le dozzine di domande che io, come uno dei suoi più grandi fan, avrei mai voluto fargli. Quasi in cima alla mia lista c'era questo: durante i suoi ultimi anni nel Miles Davis Quintet, probabilmente la band più influente dell'ultima metà del 20° secolo, realizzando dischi classici come Nefertiti, E.S.P. e così tanti altri, perché i loro concerti dal vivo di quell'epoca continuarono principalmente a essere gli standard che costituivano la maggior parte dei set che la band aveva suonato dal vivo negli anni precedenti? (All Blues, Joshua, Autumn Leaves, ecc.). Perché quei brani, piuttosto che la nuova musica che stavano registrando?
Il Signor Carter mi ha spiegato che Miles aveva una filosofia da applicare a quella particolare formazione. Voleva che quella band sviluppasse un codice suonando quella musica familiare notte dopo notte, di modo che potesse poi essere applicata alla creazione di un nuovo modo di suonare insieme in studio. Un linguaggio comune che avrebbe unito la familiarità che i musicisti avevano l'uno con l'altro suonando quelle vecchie melodie con la freschezza di ciò che le nuove composizioni potevano offrire in studio, creando il meglio dei due mondi. Una lampadina si è spenta sopra la mia testa. Volevo registrare questa nuova band, ma avevo fatto così tanti dischi di chitarra/piano/basso/batteria lungo la strada che mi sono ritrovato a cercare un'impostazione per vedere cosa avrei potuto fare con questo gruppo che potrebbe essere diverso. Quindi, perché non scrivere un sacco di nuova musica da presentare per la prima volta in studio a questa band che conoscevo così bene? Nessuna prova:
«entriamo con un mucchio di musica che ho composto solo per questa band - una cosa completamente diversa da quella che abbiamo suonato dal vivo - e vediamo cosa succede».
Con questo obiettivo in mente, in un periodo relativamente breve, ho scritto 16 nuovi pezzi, fissato una data per la registrazione e assicurato che avessimo abbastanza tempo in studio per immergerci in tutto ciò che questo materiale potesse offrire. Poco prima delle sessioni, ho capito che alcuni brani avrebbero potuto trarre beneficio raccogliendo alcuni suggerimenti di Gwilym e Linda, sfruttando il loro talento nel contesto di ciò che immaginavo potessero suggerire quei pezzi. E sapevo per esperienza che qualsiasi cosa io avessi dato ad Antonio sarebbe stata reinventata sul posto grazie alla sua ineguagliabile musicalità (oltre ad essere uno dei più grandi batteristi della sua generazione, ha anche la capacità unica di far accadere le cose in uno studio di registrazione che lo colloca nel gruppo elitario di musicisti che possono davvero vedere lo studio stesso come un'estensione del loro strumento).
Quando ci siamo lanciati nel primo giorno di registrazione, ho avuto un altro momento della lampadina. Mentre stavamo suonando, ho iniziato a sentire cose nella mia testa che non erano ancora presenti in quello che avevo scritto. Capii rapidamente che questi pezzi richiedevano orchestrazione, espansione e colore. In qualche modo, durante la composizione, ho avuto la sensazione che la natura di ciò su cui stavo lavorando per queste sessioni imminenti contenesse una visione più ampia di qualcosa, ma non sono stato in grado di identificarlo fino a quando non abbiamo effettivamente iniziato a registrare.
Immediatamente, ho iniziato a modificare la musica per consentirlo, per fare spazio a quell'altro livello che stavo immaginando, incoraggiando tutti a lasciare spazi per altri dettagli ancora indefiniti. Quella che è iniziata come una visione lontana è improvvisamente sbocciata in un aspetto centrale di ciò che rende questo disco diverso da qualsiasi altro che abbia mai fatto.
Per quanto la gente possa descrivere il linguaggio sonoro del movimento d'avanguardia degli anni Sessanta come un suono generico identificabile, ho sempre considerato l'espansione generale della creatività in un modo più ecumenico.
I cambiamenti stilistici verificatisi allora nella nostra comunità includevano non solo gli ovvi esempi di singoli musicisti che utilizzano tecniche estese sui loro strumenti in modi nuovi o nuovi tipi di ensemble, ma anche i nuovi approcci selvaggiamente offerti dalla tecnologia, in particolare dalla tecnologia di registrazione.
La registrazione multitraccia ha permesso di creare nuovi tipi di musica.
È improbabile che le registrazioni dell'etichetta CTI di quel tempo non siano probabilmente mai stata pensate come "avanguardistiche" dai critici jazz di quell'epoca (o, probabilmente, di qualsiasi altra). 
Ma dal mio posto di giovane fan, l'idea di un arrangiatore eccellente ed esperto come Don Sebesky che prendeva il materiale improvvisato di grandi musicisti come Herbie Hancock e Ron Carter e tesseva le loro linee e voci nella successiva orchestrazione, non era solo un nuovo tipo di organizzare; ha provocato un diverso tipo di suono e musica.
Era un modo di presentare musica che rappresentava gli impulsi dei musicisti e degli improvvisatori a portata di mano attraverso l'orchestrazione in un modo completamente nuovo.
Ho adorato quei dischi.
Questa non è la mia prima registrazione in cui quell'equazione - prima registra, poi inserisci l'orchestra - è emersa. Ma è di gran lunga la più estesa e la più organica.
Dalle prime note che abbiamo registrato, questa era la destinazione che avevo in mente.
Per assistere alla fase successiva, ho portato due dei miei musicisti preferiti e due degli arrangiatori più illustri e avanzati sulla scena oggi; il magnifico Alan Broadbent e l'infinitamente inventivo Gil Goldstein. Avendo lavorato con entrambi prima, sapevo che erano perfettamente adatti a ciò che questa musica chiedeva.
Ho diviso le tracce tra loro due in base al materiale che pensavo più idoneo per loro e ho dato a ciascuna di esse alcune indicazioni su quando e cosa stavo ascoltando. In breve tempo, entrambi hanno prodotto brillanti grafici che hanno migliorato e colorato ciò che avevo composto (salvare almeno una melodia e parti di alcune altre anche per me). È stato emozionante prendere i loro contributi su questa musica e meravigliarsi degli angoli e delle dimensioni che entrambi sono stati in grado di scoprire. (.)
Mentre è certamente possibile andare nell'Europa orientale per registrare musica orchestrale (come spesso accade al giorno d'oggi, per motivi di bilancio), ho sentito che l'essenza di questa musica era di natura così americana che se fosse in qualche modo possibile, doveva essere fatto qui negli Stati Uniti - e in particolare a Los Angeles. C'è una certa qualità di intensità ritmica, nonché l'eccellenza generale prodotta dai migliori musicisti di studio che realizzano musiche da film che non ho mai sentito altrove.
Grazie agli sforzi dell'eccellente direttore d'orchestra Joel McNeely e dei suoi collaboratori, abbiamo creato uno scenario in cui siamo riusciti non solo a far esibire i migliori musicisti di Los Angeles sotto la guida esemplare di Joel, ma anche a registrare tutto in uno dei migliori palcoscenici svolti. Siamo stati in grado di ottenere esattamente il suono che speravo potessimo ottenere.
Con le parti orchestrali registrate, mi è stato chiaro che alcuni ospiti chiave dovevano finire. Luis Conte è rinomato come il miglior percussionista da studio nel mondo per un motivo: tutto ciò che fa si adatta in un modo tale che dopo, non puoi neanche immaginare come il brano potrebbe suonare senza di lui. Gregoire Maret aveva fatto parte di una delle mie band precedenti all'inizio della sua carriera ed è diventato il suonatore di armonica più ricercato nella musica di oggi. Entrambi hanno dato contributi fantastici.
L'8 novembre 2016, il nostro paese ha rivelato vergognosamente un lato di se stesso al mondo che era stato per lo più nascosto alla vista nella sua storia recente." [il riferimento è chiaramente espresso nei confronti del republicano Donald Trump, quel giorno eletto Presidente degli Stati Uniti. Nda]. "Ho scritto il pezzo da questo luogo nelle prime ore del mattino del giorno successivo quando i risultati delle elezioni sono diventati tristemente evidenti.
C'era solo un musicista che potevo immaginare di cantarlo, e quello era Meshell Ndegeocello, uno dei grandi artisti del nostro tempo. Con le parole della sua compagna Alison Riley, hanno catturato esattamente la sensazione di quel tragico momento, riaffermando la speranza di giorni migliori a venire.
Detto questo, mentre mi avvicino a 50 anni di registrazioni ed esibizioni, mentre guardo indietro a tutta la musica in cui sono stato coinvolto, ho molta fatica a ricordare immediatamente a posteriori il clima politico del tempo in cui la maggior parte è stata realizzata. E se posso, i ricordi di quei particolari sembrano quasi irrilevanti per la musica stessa.
La valuta in cui mi è stato dato il privilegio di commerciare in questi anni ha dato il suo valore primario alla natura senza tempo e trascendente di ciò che rende la musica musica.
La musica si rivela continuamente alla fine e in qualche modo stranamente impermeabile agli alti e bassi dei dettagli transitori che potrebbero anche aver avuto un ruolo nella sua nascita. La musica conserva la sua natura e il suo spirito anche quando la cultura che la forma svanisce, proprio come lo sporco che crea la pressione attorno a un diamante viene a lungo dimenticato mentre il diamante brilla.
Spero che questo disco possa rappresentare una testimonianza della mia continua aspirazione a onorare quei valori."

Pat Metheny




Pat Metheny: guitars, keyboards
Linda May Han Oh: bass
Gwilym Simcock: piano
Antonio Sanchez: drums
Meshell Ndegeocello: vocals
Gregoire Maret: harmonica
Luis Conte: percussions

Hollywood Studio Symphony:
Conductor: Joel McNeely
Violin: Roger Wilkie, Julie Gigante, Tammy Hatwan, Tereza Stanislav, Jessica Guideri, Jackie Brand, Phillip Levy, Helen Nightengale, Maia Jasper, Sarah Thornblade, Eun-Mee Ahn, Songa Lee, Charlie Bisharat, Serena McKinney, Natalie Leggett, Amy Hershberger, Sara Parkins, Ben Jacobson, Lorenz Gamma
Viola: Shawn Mann, Alma Fernandez, Meredith Crawford, David Walther, Lynne Richburg, Diana Wade, Darrin McCann, Rob Brophy
Cello: Andrew Shulman, Jacob Braun, Trevor Handy, Eric Byers, Cecilia Tsan, Dane Little, Vanessa Freebairn Smith
Bass: Nico Abondolo, Steve Dress
Flute: Heather Clark, Jenni Olson, Steve Kujala
Clarinet: Dan Higgins, Stuart Clark
French Horn: Dylan Hart, Laura Brenes
Trombone: Alex Iles, Steve Holtman, Bill Reichenbach

Anno: 2020
Label: Nonesuch Records
Genere: Jazz

tracklist
America Undefined 13:22
Wide and Far 8:27
You Are 6:14
Same River 6:43
Pathmaker 8:20
The Past in Us 6:24
Everything Explained 6:52
From This Place 4:41
Sixty-Six 9:39
Love May Take Awhile 5:57


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