Scritto da Gianluca Livi Giovedì 26 Aprile 2018 07:48 Letto : 2765 volte
Dopo il piatto "Collideøscope" del 2003 e l'incolore "The Chair in the Doorway" di sei anni dopo, sembrava impossibile che i Living Colour potessero pubblicare qualcosa di avvincente, gravati dal sospetto di aver perso mordente una volta fuoriusciti dalle preferenze di una major, privati di una produzione di serie A.
E invece, ecco sfornato questo bellissimo nuovo capitolo, capace addirittura di competere con il primo album: la capacità di oscillare tra ballad e grinta, ben espressa in un brano come "Always Wrong", ricorda all'ascoltatore l'eclettismo di questa grande band, abile anche a fondere in "Come On" nuove soluzioni elettroniche su un substrato squisitamente hard rock. Basta aggiungere che il riff di "Freedom of Expression" se la gioca addirittura con quello di "The Cult Of Personality" e le conclusioni possono essere agevolmente tratte. Molto più hard rock che in passato, abbandonate del tutto le influenze reggae, i Living Colour odierni appaiono incredibilmente metallici ed efficacemente riffettari, anche e addirittura nelle cover, ben tre: c'è il pezzo “Preachin’ Blues” di Robert Johnson, piuttosto irriconoscibile nella sua inedita asprezza; il riuscitissimo indurimento di un gangsta rap come “Who Shot Ya?” di The Notorious B.I.G., e le atmosfere calde di “Inner City Blues” di Marvin Gaye. Non una nota fuori posto, va detto, anche quando il gruppo cede alla tentazione della ballata ("Two Sides"), che propone senza perdersi in futili romanticismi, sempre permanendo nella concretezza, pur in un clima malinconico e crepuscolare, sublimato da un assolo lungo e spettacolare di Vernon Reid, in cui sembrano tributati i grandi virtuosi degli anni '80, come Steve Vai e Randy Rhoads. Assai convincenti, i Living Colour tornano oggi in pista con un album che mantiene intatto il loro stile camaleontico e brillante, perfettamente in linea con l'encomiabile patrimonio artistico degli esordi. Bravi!!! Bentornati!!! Avanti così!!! |
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