Casa
Crescere Un Figlio Per Educarne Cento

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Provo un piacere insolito nell'ascoltare i Casa; è la gioia della libertà, dell'espressività che affiora senza seguire gli schemi strutturali consolidati dalla tradizione, ma secondo le pulsioni di un flusso creativo anarchico e irriducibile.  La band vicentina è in attività dal '98, ha prodotto cinque dischi negli ultimi cinque anni ed esce in questo 2012 con Crescere un figlio per educarne cento. L'opera raccoglie in sé tutta la preziosa bellezza dello stile dei Casa; un andamento canoro del tutto peculiare, che si posiziona a metà tra lo spoken word e un cantilenare ubriaco, irregolare, impossibile da inquadrare, come un flusso di coscienza che sgorga prepotente e viene registrato così com'è, senza mediazioni razionalizzanti. Le musiche fanno lo stesso: non seguono strutture, esprimono i loro timbri in totale libertà, secondo variazioni continue. Si può dire che non ci siano due istanti uguali in questo disco (o quasi). Meraviglia.

La bontà del tessuto musicale si intuisce fin da subito, leggendo i crediti: gli ospiti e la strumentazione sono abbondanti; sono ben sette gli esponenti della scena jazz italiana che hanno partecipato al disco. Gianpaolo Bordignon, che suona il meraviglioso sax tenore di "Morton" e dialoga instancabilmente con il narrare strampalato del cantante Filippo. "Madonna con cilicio" è un altro racconto un po' assurdo che si stempera perfettamente su note ondivaghe di chitarra e segue un saliscendi melodico ripetitivo, ma efficace nel focalizzare l'attenzione sulle parole (come in "Morton"). "Blues Morto" è un blues rock sornione e languido, sfumato con colori southern e infilzato dalle parole amare "Non ha senso, nossignore, se suo figlio di tre anni va al Creatore". La chitarra erutta nei momenti catartici e poi si dilegua, lasciando posto ai giochi timbrici di Filippo e all'armonica folk di Marco Ferrari.

"Beba la moldava" ci regala un rock da brividi, corroborato da una seconda chitarra elettrica, di Matteo Scalchi, e dalle percussioni incalzanti di Lele Rigon. La critica alla prostituzione è velata ma ferma: "Lei [...] non ha nulla in comune con l'oscura scintilla dell'umana deità". La conclusiva "Non lasciarmi mai", nel ritornare a forme riconoscibili di cantautorato pop, ne costituisce una sorta di superamento intellettuale: i Casa giocano con la rigidità concettuale della critica e spaziano tra numerosi generi, dimostrando quanto sia assurda ed inutile una tassonomia musicale troppo rigida e irrigidente (la band stessa definisce il disco “prova unitaria di vagabondaggio tra i generi”). Il brano segue stilemi lirici banali ("per quanto buia può sembrarti la mia vita da oggi in poi la notte ormai è finita"), ma lo fa con intenti parodici, e al contempo costituisce una lezione di buongusto musicale, un pezzo d'arte per il pop all'italiana, con flauto traverso (Marco Girardin) e vibrafono (Irene Bianco) a contrappuntare con dolcezza infinita i tenui ricami melodici di Bordignon.
In altri momenti si gioca sulla contrapposizione di toni morbidi e scatti furibondi quanto imprevedibili, come in "Whodunit!", in cui domina la forma libera, totalmente svincolata da strutture rigide. Quello dei Casa è un movimento continuo, un instancabile evolversi delle forme sonore. Uno dei momenti più piani, ma non per questo meno valido, è costituito dallo strumentale "Interludio a forma di croce", magicamente ravvivato dal clarinetto basso di Nicola Riato. L'episodio concettualmente più potente è "Vangelo secondo Alessandro": "Millenni di profitti l'han sancito: un bisogno trascendente va ben speso. Ora che l'inganno è pronto, attecchirà; lascia che si estenda giù in città", insomma parole forti, che non hanno paura di esprimere opinioni radicali.

Nonostante un importante cambio di formazione (il chitarrista pratese Marco Papa al posto di Francesco Spinelli, membro formatore della band nel 1998), i Casa non sembrano mostrare cali d’ispirazione in questo validissimo disco. La musica della band vicentina si espande in tutte le direzioni, ingloba in sé i generi musicali e li frulla in un concentrato di musica pura, strabiliante e altamente significativo. Non ci sono regole in queste canzoni: le musiche seguono forme libere di espressione ed associano elementi sonori in maniera imprevedibile, sempre diversa, in un turbinio evolutivo che sembra voler andare oltre tutto. Musica destrutturata, che prende in prestito le forme di generi già codificati, senza per questo sottostare agli schemi rigidi di tali generi: per la maggior parte dei brani è difficile dire “questo è rock” oppure “questo è jazz”, piuttosto si riconoscono elementi tipici di alcuni generi, accostati però in modo libero, accumulati arbitrariamente in canzoni che mai come in questo caso si fatica a definire tali. La divisione in episodi è quasi inutile; il disco è un continuum in evoluzione perenne, le connotazioni fisse dei brani sono minime.

Un’opera di profonda esplorazione delle possibilità della musica, di liberazione dal triste schematismo che spesso sminuisce il potere artistico del Rock. Una perla di libertà assoluta. Sarebbe piaciuta a un certo Don Van Vliet.

80/100


Filippo Bordignon: Voce ed elettronica
Marco Papa: Chitarra elettrica e semiacustica
Filippo Gianello: Basso elettrico e acustico
Ivo Tescaro: Batteria

Guests:
Gianpaolo Bordignon: Sax tenore in 01
Marco Ferrari[i]: Armonica a bocca in 02
[i]Nicola Riato
: Clarinetto basso in 05
Lele Rigon: Percussioni in 08
Matteo Scalchi: Chitarra elettrica in 08
Marco Penzo: Contrabbasso in 09
Irene Bianco: Vibrafono in 09
Marco Girardin: Flauto traverso in 09

Anno: 2012
Label: Dischi Obliqui
Genere: Avant/Rock Italiano

Tracklist:
01. Morton
02. Blues morto
03. Whodunit!
04. Vangelo secondo Alessandro
05. Interludio a forma di croce
06. Il terzo stile
07. Madonna con cilicio
08. Beba la moldava
09. Non lasciarmi mai

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