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One Dimensional Man
A Better Man

Pioggia. Quella spessa, tuonante e un po' amara, che in un acquazzone di Settembre si porta via la bella stagione. Perchè il temporale c'è stato, e si è abbattuto con rara potenza sulla band. Che ha subito lo scossone interno del cambio di formazione, ed è stata investita da quell'uragano chiamato Teatro degli Orrori, capace di concentrare su di se tutte le attenzioni di Capovilla e soci ed oscurare il progetto originario. Così, l'uomo a una dimensione è cambiato, e con lui i suoi membri storici: alcuni (vedi Perissutti) se ne sono andati, il "Ragno" Favero sta sullo sfondo quasi fosse un sessionman, ed anche l'ugola di Pierpaolo Capovilla non è più la stessa. Ce ne si accorge subito in A Better Man, dove una malinconica linea di piano accompagna la voce ora scura e pastosa del nostro, che trova il perfetto alter ego nel raffinato timbro della Katla Hausmann. Ma non è certo un uomo migliore, semplicemente è un uomo diverso, che non si accontenta di essere la copia sbiadita del passato, e con coraggio prova a mostrare una nuova inclinazione.

"Ever Sad", reprise del pezzo d'apertura, racconta da sola tutto l'album, con la splendida scorribanda solista di hammond che vale il prezzo del biglietto e quell'approccio tanto caro al Tom Waits rumorista. Ma le sfaccettature sono tante, e ce n'è per (quasi) tutti i gusti. Innanzitutto per i vecchi fan, che, elettronica a parte, ascoltando "Fly" avranno pensato che in fondo nulla sia cambiato. Solo dopo ci si accorge della strofa orientaleggiante, e per un attimo, sul finire, sembra di sentire i vecchi Black Sabbath. Stesso discorso per "Ever Smile Again", pezzo d'assalto con ancora un perfetto connubio tra rock ed elettronica, il cui ritornello trova finalmente quell'agognato spiraglio di luce che ne fa numero perfetto per i live. Poi lo spartiacque, che dividerà i fedelissimi e creerà nuovi adepti. "Face On Breast", che si erge in tutta la sua sinistra maestosità, bussa in casa Arcade Fire, mentre "Too Much", blues per basso, pare provenire da una cantina, con Capovilla che si diverte a giocare coi suoni in cabina di regia; quindi "A Measure Of My Breath", le cui tinte hard rock sono appena stemperate dalla chitarra solista.

Con "This Strange Disease" il cerchio trova finalmente la sua quadratura, l'uomo la sua dimensione (la stessa suggerita dal pezzo d'apertura), che ha il sapore agrodolce della malinconia. E la splendida fisarmonica a corredo dell'ultima melodia ci lascia con tante domande, senza che i testi, rigorosamente inglesi, del poeta Rossmore James Campbell concedano risposta. E allora largo alle sensazioni, spazio alle convinzioni personali con tutte le contraddizioni del caso; in fondo dentro ogni appassionato si cela un severo critico musicale. Se avete già ascoltato quest'album non giungete a conclusioni frettolose, riprendetelo in mano ed assaporatelo con calma, è un disco che cresce col passare del tempo, ogni ascolto una sfumatura diversa. Chi non lo avesse ancora fatto si avvicini con cautela, non è un disco da sparare a tutto volume, in macchina o alle feste, ma un lavoro che si rivela in cuffia, in beata solitudine, quando può parlare sapendo di essere finalmente ascoltato. Che non sia un capolavoro lo sa anche lui, ma per una volta questo non è un difetto.

70/100


Pierpaolo Capovilla: Voce, Basso
Giulio Ragno Favero: Chitarra
Luca Bottigliero: Batteria

Anno: 2011
Label: La Tempesta Dischi
Genere: Noise Rock

Tracklist:
01. A Better Man
02. Fly
03. A Measure Of My Breath
04. This Crazy
05. This Hungry Beast
06. The Wine That I Drink
07. Ever Smile Again
08. Ever Sad
09. Too Much
10. Face On Breast
11. This Strange Disease

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