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Leshak
Chertovorot

Non c' alcun dubbio che la Russia stia diventando una fucina di band che hanno a che fare con il folk, e specialmente questa etichetta, la Stygian Crypt, ne sforna a decine ogni anno, il quintetto in questione tuttavia si distacca con un death/thrash colato a piombo sulle atmosfere folk favorite da fraseggi riprodotti dai flauti e dai fraseggi in pura tradizione popolare che ne impreziosiscono il background estremo e ruvido. Questa release onestamente non aggiunge nulla di nuovo ma l'impostazione death alla vecchia maniera impreziosisce il tutto, dona linfa vitale ed energia, e messo da parte ogni scetticismo si può godere dell'atipico connubio con una certa dose di sorpresa e godimento. La giustezze e precisione del tocco dei musicisti fa tutto il resto, così che anche una strumentale come "Shulikuns' Dances" piace e si lascia ascoltare senza spiacevoli intoppi, se poi parliamo dell'attitudine epica e vagamente trionfale della parti al limite con il doom arcano ("Dark Forests Are From The Land Up To Sky") si può parlare di un album molto buono e degno di nota.
Il ritual-sounding di "By the paths of leshak" aggiunge un tocco davvero micidiale e mi rimanda alla migliore tradizione epic folk metal, una lunga suite da brivido caratterizzata da un incedere ritmico e suadente.
Le atmosfere sognanti e sospese cozzano con il brutale mood delle vocals e delle chitarre spesso impegnate il un death vecchia scuola ma costantemente votato alla melodia abrasa, già da "Firtree's bark" si capisce di cosa si tratta e la track risulta un'ottima opener, c'è un feeling epico e vittorioso dato dalle chitarre che bene si incastonano con il suono prominente del flauto e la voce roca e devastante, molto easy listening ma che tocca il cuore nel profondo.
La batteria é adatta al sound ed avvolge puntuale nei suoi tocchi, si sente tuttavia che il gruppo è di giovane esperienza dato che le soluzioni sono minimali e facili senza troppi fronzoli e tecnicismi.
Il riffing gira attorno a soluzioni in stile death metal, ma con alcune sortite nel thrash, specialmente parlando di ritmica, ben adattata alle vocals in puro growl.
Il folkish style è approcciato solo in alcuni frangenti ed accenti in ogni track, molto del quale come dicevo poc'anzi é dato dal flauto, ma ci sono anche altre forme di melodia riprodotte credo con l'uso dei suoni aggiunti in fase di missaggio e delle sovraincisioni, molto buoni i cori e le vocals femminili mai troppo presenti rotte come sempre dall'ingresso della voce growl.
Il background del sound é altalenante e impresso in una timbrica che tutto sommato indugia nell'ambito esplosivo e ogni brano detiene la sua buona dose di brutalità spedita e ficcante accompagnata dai relativi riff heavy metal spesso veloci e ingrossati dall'azione del drum beat.

Ci sono dei riferimenti certi nel loro sound già di per sé riconducibile ad uno stile proprio e il death metal sprigionato non fa che abbellire piuttosto che imbruttire come spesso accade in acts come questo, i Leshak in questo senso sono dei maestri e paiono già abbastanza esperti a dipanarsi in queste atmosfere spesso anche ripetitive a causa di un riffage molto schematico che costituisce spesso l'apparato scheletrico di ogni traccia aggiunto al già molto lineare uso delle vocals, tuttavia per me godibili.

Chertovorot ha certamente molte buone track, un mix anche ben strutturato di heavy metal e gusto massiccio di aggressività, la visione poetica e maligna che ne consegue attualmente mi soddisfa appieno, il gusto c'é tutto, la tecnica pure, e Leshak incorpora la giusta dimensione di band promettente, che nonostante la giovane età ha moltissimi margini di miglioramento, e la track "Dark forests are from the land up to sky" lo dimostra in pieno, siamo qui infatti al cospetto di una song diversa dalle altre, più sognante e sospesa, con numerosi effetti onirici e pathos quasi gotico, ma di quel gothic death vecchia maniera, monolitico, spesso oggi disperso in una valanga di sentimentalismi ed 'affettazioni' sonore adolescenziali.

... in sostanza quindi la musica descrittiva e arcigna del gruppo non é niente di nuovo, ma certamente questo é uno dei migliori primi album da parte di una combo alle prime armi che io abbia sentito da tempi immemori, per il semplice fatto che la musica eseguita é allo stesso tempo folk metal ma parallelamente estrema con la 'E' maiuscola, se ascoltate la bonus track "Was Wollen Wir Trinken" lo capirete, facile semplice, diretta ma che lascia un segno.

Altri gruppi hanno fallito al primo disco ufficiale, ed i relativi album del genere sono spesso soporiferi, questo li sorpassa di una spanna fondamentale e ci dona un'altra promettente band nel genere, e le porte del futuro sono dorate, spero, per questo progetto. In definitiva date una chance a questo album, sono certo che i ragazzi saranno abili a crearsi un seguito ed uno stile ancora più originale. Per ora il debut è semplicemente "killer", e se supportati nel giusto modo dalla loro etichetta presto usciranno dall'anonimato.
Bella la copertina che ritrae uno spaccato ed antichi paesaggi di atavici rituali intinti nel mistero e nella tradizione mitologico-pagana della madre Russia che bene si addice al concet 'slavonico' del gruppo e della sua mente principale Redgoat.

85/100


Sergey Frontline: Voce
Redgoat: Chitarre
Ann "Zuks": Flauto
Owl: Basso (Skylord, Valley of the Moon)
Chortovrog: Batteria

Anno: 2010
Label: Stygian Crypt Productions
Genere: Folk Metal

Tracklist:
01. At Sundawn (Intro)
02. Firtree's Bark
03. By The Paths Of Leshak
04. Chertovorot
05. Shulikuns' Dances
06. Dark Forests Are From The Land Up To Sky
07. Sunset (Outro)
08. Was Wollen Wir Trinken

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