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Slipknot
All Hope Is Gone

Ecco che gli Slipknot tornano a far parlare di sè: sono passati ben quattro anni dal loro ultimo lavoro in studio, quattro anni in cui la critica musicale non si è risparmiata nell’affossare il cambiamento stilistico della band che dalla rabbia violenta dei primi due dischi (l’omonimo debutto del 1999 e Iowa del 2001) è passata a quella che definirei semplicemente una naturale fase di metabolizzazione e maturazione. Le canzoni che compongono All Hope Is Gone, così come quelle del predecessore Vol.3, potranno sembrare meno d’impatto, magari meno istintive e turbolente, ma la grinta e l’energia sono ancora abbondantemente presenti, affiancate peraltro da una apprezzabile cura del sound che appare più studiato e messo a punto fino all’ultimo dettaglio. Troppo spesso si parla di incoerenza della band, di origini rinnegate: gli Slipknot si stanno evolvendo, sperimentano e sondano nuovi orizzonti seguendo un percorso che necessariamente li vede cambiare alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Stiamo facendo un album che indicherà la strada che abbiamo fatto e quella che faremo” commenta Corey Taylor, leader del gruppo mascherato. Nulla di più vero data la presenza nel disco di pezzi consoni all’attitudine rude, prepotente e insofferente di Iowa: “Gematria (The Killing Name)”, carica come una “Disasterpiece” (completata però se vogliamo da “Execute”, il solito intro disturbato e minaccioso che apre ogni nuovo capitolo della band), ci mostra un Taylor tornato in perfetta forma canora (dopo la parentesi per lui non troppo gloriosa del 9.0: Live) e pronto a growlizzare con voce potente e ruvida; “Sulfur” picchia duro con la batteria martellante, le chitarre ruggenti e il ritmo concitato delle strofe, per poi cicatrizzarsi in un chorus melodico ma pur sempre volitivo, soprattutto quando nel finale viene accompagnato da poco rassicuranti sospiri ringhiati; la titletrack, piuttosto tirata e tra le canzoni più brutali del disco, irrompe come un carro armato e vanta un valido assolo di chitarra che rafforza l’incalzare del pezzo oltre a rappresentare un elemento insolito nelle passate composizioni marchiate Slipknot. Nello stesso tempo però, i nostri continuano a sperimentare sulla scia di quanto realizzato con Vol.3 che racchiude le premesse per tracce come “Psychosocial”, da ritenersi azzeccatissima come primo singolo estratto grazie al decisamente ben riuscito contrasto tra il growl corposo delle strofe e il cantato limpido del ritornello piuttosto orecchiabile ed efficace; “This Cold Black”, compatta, aggressiva e quasi collerica nel chorus tendente all’antemico, elemento, questo, che ritroveremo peraltro anche nel bridge della successiva “Wherein Lies Continue”, canzone ben cadenzata che non fa abbassare i livelli di intensità e potenza dell’album; infine “Snuff”, che sta ad All Hope is Gone come “Vermilion pt.2” sta a Vol.3 in quanto ballata ad elevato contenuto emozionale e notevole introspettività, pezzo insomma davvero coinvolgente nella sua toccante melodia.
Grossa novità per i nove mascherati è l’inserimento nel disco di un pezzo sì vigoroso, ma reso senza ricorrere al growl. Si tratta di “Dead Memories” che, col suo scorrere fluido punteggiato qua e là da stridenti note di chitarra, resta piacevolmente impressa in mente sin dal primo ascolto e per questo è assai accostabile allo stile degli Stone Sour, progetto parallelo del frontman. La presenza di questa canzone farà storcere parecchio il naso ai maggot più accaniti, ma è indubbia la qualità di quanto proposto: nulla di originale, sia chiaro, ciò non di meno il pezzo in questione è convincente proprio nella sua semplicità. La successiva “Vendetta” poi quasi ci costringe a partecipare attivamente ai cori che prima ne scandiscono il ritmo per far pronunciare a Corey la sua domanda (“Are you ready for the time of your life ?”) e subito dopo si rincorrono rendendo molto trascinante il ritornello che arricchiscono. Seguono infine due tracce la cui posizione consecutiva pare il frutto della cosiddetta ironia della sorte: “Butcher’s Hook” e “Gehenna”, il pezzo che stona col complessivo valido contesto analizzato sinora e quello che può essere forse considerato come il brano migliore dell’intero album. La prima è piuttosto irritante nel suo incedere che appare forzato con la parte vocale e la base strumentale quasi fuori tempo tra loro nelle strofe, mentre la seconda è assai intrigante con quella cupa atmosfera pregna di mistero e quel filo di perversa follia che la percorre.
A conclusione di quanto detto posso solo aggiungere che, se vi aspettate un disco spaccaossa dall’inizio alla fine, un disco “cattivo” come l’esordio, meglio che non lo compriate. Assolutamente consigliato invece se siete semplicemente alla ricerca di buona musica.

75/100


Corey Taylor: Voce
Mick Thomson: Chitarra
Sid Wilson: Turntables
Shawn Crahan: Percussioni e cori
Paul Gray: Basso
Joey Jordison: Batteria
Chris Fehn: Percussioni e cori
Jim Root: Chitarra
Craig Jones: Samples

Anno: 2008
Label: Roadrunner Records
Genere: Nu-Metal

Tracklist:
01. Execute
02. Gematria (The Killing Name)
03. Sulfur
04. Psychosocial
05. Dead Memories
06. Vendetta
07. Butcher's Hook
08. Gehenna
09. This Cold Black
10. Wherein Lies Continue
11. Snuff
12. All Hope Is Gone

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