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Scat
Il Muro Dopo Nagasaki

Il panorama musicale italiano è tutt’altro che povero in ambito Post Rock, per questo non è impensabile provare una rimonta nei confronti dei soliti noti d’oltralpe o d’oltre oceano, non per questo però dobbiamo promuovere o spingere qualsiasi cosa. Negli ultimi anni, per esempio, i Giardini Di Mirò si sono confermati uan delle migliori realtà nazionali e internazionali, in questo panorama. Anche il caso degli Scat è uno di quelli in cui vale la pena spendere due parole a favore di una realtà interessante, che sarebbe bello vedere proiettata in una dimensione che le renda maggior giustizia. Gli Scat provano a farsi notare, con l’ambizione di chi è sulle scene da dieci anni, e con la fantasia di chi mastica certe sonorità (e non solo) da tempi non sospetti, e con il talento e le capacità che servono a fare un lavoro che non si limita a ricalcare i tanti prestampati del genere che ormai spopolano.

Anche il fatto di far riferimento a una tecnica di improvvisazione vocale particolarmente in voga specie in passato presso il mondo jazz, lo Scat appunto, denota due caratteri:
1) non siamo in presenza di un caso di modernofilia a tutti i costi, visto il loro gusto nel citare una cosa così fuori moda;
2) l’improvvisazione è la radice stessa del gruppo, come del resto il jazz d’avanguardia.

I punti di riferimento sono nelle contaminazioni del Progressive “moderno” dei June Of 44, e di certo Rock alternativo underground degli anni novanta, i cui colpi di coda spesso emergono in cavalcate pesanti, talvolta persino a la Motorpsycho (che creano contrasti interessanti nel bipolarismo di “Incerto E' vero”, stirata tra due fuochi tra distorsioni pesanti e abili divagazioni di sax). A parte le oggettive mancanze dell’album, che riguardano la pronuncia dell’inglese (perché non optare definitivamente per l’italiano?), quanto la poca coerenza e coesione della tracklist (avvincente ma priva d’un filo conduttore), la proposta nel suo insieme è più che buona e, a mio avviso, non inferiore a certi nomi blasonati del panorama internazionale, semplicemente perché, a prescindere dai problemi che possono limitare qualche traccia, sembra esserci una bella idea, sull’unione di certo Post Rock a sonorità desertiche (vedi la minimalistica “God’s Sand”) e mediterranee (vedi “Il Profumo Della Sabbia” tra growl e mandolino e “La Cavalcata Del Re” dove la paludosa jam si mischia a sfumature acustiche), tutto solcato da lente ma erosive ventate di sax, usato nella giusta misura, con grazia ed eleganza, e mai come semplice contorno o come virtuosismo (il meglio si trova in “Ada Corre” dove il lungo duetto con la chitarra fa da contraltare per uno sviluppo liquido quanto cattivo, a la 35007). Il risultato è un panorama di dune sperdute in un deserto, di notte. Desolazione e brivido, queste le sensazioni evocate, queste le immagini, e l’aria che si respira. Poi ci sono le canzoni, ci sono gli abili guizzi strumentali (che si alternano a pacate e pazienti jam, mai dispersive), e le diverse citazioni “colte” letterarie, che ampliano la prospettiva (e l’ambizione) dell’opera, provando a dare dei contenuti concreti ad una musica che altrove è spesso sterile e autoreferenziale, al contrario di questi Scat, magari imperfetti, ma non si può dire che non siano concreti e attenti al risultato finale. Quindi ci sono pezzi che colpiscono duro quando devono colpire duro (“Low Relativity”, psichedelica ed heavy; e “La Cavalcata Del Re”, ultima sfuriata sostenuta da un ritmo pulsante che sembra seguire di pari passo il palpitare del cuore) o semplicemente presentano biglietti di sola andata per altre dimensioni (“Il Muro Dopo Nagasaki”, un piccolo capolavoro figlio di Coltrane come dei Mogwai) o per una sensazione di malessere senza fine (lacerante il solo di sax nella glaciale “Chiedi Alla polvere”, la mia preferita).

Non solo siamo in presenza di un album sostanzialmente Post Rock fatto non al solo fine di stupire o sorprendere, ma finalmente ci sono delle belle idee, ma anche un album con almeno cinque canzoni veramente degne di nota, e che senz’altro consiglio a tutti gli amanti della musica fatta a regola d’Arte (notare la “A” maiuscola).

72/100


Mirko Guerra: Sax
Fabri Florio: Chitarra
Adriano Troja: Basso
Corrado Castella: Batteria

Anno: 2009
Label: Autoprodotto
Genere: Post Rock

Tracklist:
01. Low Relativity
02. God's Sand
03. Ada Corre
04. Il Muro Dopo Nagasaki
05. Chiedi Alla Polvere
06. Incerto E' Vero
07. Il Profumo Della Sabbia
08. La Cavalcata del Re

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