Banco del Mutuo Soccorso
Orlando: le forme dell'amore

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Parto dalla fine.
Ho ascoltato in anteprima, alla conferenza stampa di presentazione, il nuovissimo album del Banco del Mutuo Soccorso, intitolato “Orlando: le forme dell’amore”: grande lavoro.
Avevo accolto il precedente “
Transiberiana” come un buon disco che segnava il tentativo di affrancarsi da una storia indimenticabile e non replicabile ma sin dal primo ascolto questo nuovo album mi ha dato l’idea di essere il punto di arrivo tanto cercato e ora trovato, quello della transizione completata ad un nuovo sound, ad una nuova musica, ad un nuovo “advanced Prog”.

La poetica di questo nuovo suono è una combinazione in perfetto equilibrio tra passato e moderno, un vero e proprio “manifesto programmatico” contro il nulla che ci circonda. 
Ecco gli ingredienti.
Tastiere sempre in evidenza con le solite e ricercate architetture armoniche sorrette da ritmi sincopati, oggi arricchita da una ricerca di sonorità pittoriche che oltre ai sentimenti descrivono per immagini la loro figurazione scenica.
Due chitarre che si completano intersecando gusti e tecniche diverse, la delicata melodia acustica alle sferzanti, variegate e acute note degli assoli elettrici mai banali.
Una sezione ritmica formidabile, che “costruisce” piattaforme sonore zappiane che riuscirebbero a sorreggere qualunque suono, melodia o rumore.
Una voce che riesce a modificarsi al bisogno, ad essere dolce e potente allo stesso tempo, a descrivere figurativamente e teatralmente le varie scene di pari passo alla musica, mettendosi al suo servizio.
Ed ora andiamo più in profondità nel disco. Per farlo non posso prescindere dall'analizzare anche i testi ed il racconto che, come peraltro spesso nelle opere del Banco, hanno un’importanza non secondaria all’aspetto musicale. Quindici brani per 80 minuti circa di emozioni e sogni che raccontano la storia di Orlando e del suo amore disatteso verso Angelica. Un concept che offre parecchi stimoli e piani di lettura: la relazione con gli altri, l’imprevedibilità dei sentieri dell’amore, la giusta esigenza di una donna di poter essere ciò che vuole senza coercizioni, l’eterna lotta tra fazioni che spesso neppure ricordano l’origine ed il pretesto del confronto ed infine la crisi ambientale che ingigantisce ed accentua ogni conflitto rinvigorendo le antitesi tra le culture e le religioni, tra occidente e oriente, tra i possessori delle poche risorse rimaste – l’acqua – e chi disperatamente la ricerca perché ne ha bisogno nello scenario atemporale di un mar mediterraneo futuribile ridotto a deserto.
Si parte da “Proemio” che inizia la narrazione con le esatte parole dell’opera poetica che, essendo poesia, hanno in loro una ritmica in perfetta continuità con la melodia monodica, quasi arcaica, dove ogni nota accompagna una sillaba e viceversa e la chitarra e le tastiere proseguono “a braccetto” in continui controcanti. Ma non c’è pace, ecco che entra il bellissimo brano “La pianura rossa”, novella “RIP”, descrizione della devastazione della guerra. Un continuo sovrapporsi di tre protagonisti, i guardiani dell’acqua, unico bene ancora disponibile in un mondo inaridito ed al limite della vivibilità, e i saraceni che cercano di potervi accedere per dissetarsi. Una lotta resa musicalmente da una robusta ritmica antagonista, colorata timbricamente da percussioni etniche quando cantano gli orientali e da trombe ed ottoni sinfonici quando intervengono e si contrappongono gli occidentali (i guardiani). E su tutti lui, il mago Atlante, che irrompe sulla scena per alimentare il conflitto di cui è l’unico ad essere felice, metafora di quei “poteri occulti” che da una guerra guadagnano prima vendendo armi e poi ricostruendo sulle macerie provocate. Un brano propriamente prog, dove l’alternanza è resa anche dai continui cambi di tempo: dai 3/4 e i 6/8 degli incalzanti saraceni che vogliono l’acqua ai 4/4 dei guardiani - ritmo tipicamente occidentale - che ben descrive il mellifluo tentativo di rigettare le richieste. Questa “La Pianura Rossa” è una classica suite del Banco con nuove sonorità che hanno come antenato i suoni di Darwin (l’"Evoluzione”) e la stessa immaginifica forza nel descrivere il mondo che cambia. Bello. A seguire “Serve Orlando Adesso” che riporta alla pace con una malinconica melodia sinfonica caratterizzata da un andamento continuo di piano e arpeggio di chitarra acustica inframmezzati da grandi aperture di Hammond e sintetizzatore. Brano lirico di costruzione classico-operistica che sottolinea le parole di Orlando che si sente innamorato ma impotente. Un andamento quasi monocorde ed ipnotico, con un tocco “patetico” e mesto reso dall’uso delle note in minore. Che modo fantastico di rappresentare la disperazione ed il dolore prodromi della pazzia. Subito di seguito un altro brano dalle complesse atmosfere dodecafoniche che inizia con una ritmica pulsante che ci accompagna per tutto il brano. Interessanti gli inserti di fisarmonica e le parti di assolo di chitarra che si richiamano e completano a vicenda sorreggendo il brano. “Non mi spaventa più l’amore” accompagna invece Orlando nel suo percorso di innamoramento verso Angelica e nel suo autoconvincersi ad esserne degno. Questi pensieri vengono resi in musica attraverso una serie di vortici sonori che compaiono e scompaiono durante l’esposizione del tema principale, di sapore sudamericano. Queste costruzioni realizzate dalla voce e la chitarra creano un effetto straniante, un sentimento di necessità di fuga ed allo stesso tempo di consapevolezza dell'impossibilità ad uscirne. Fuga – quella di Angelica da tutti - descritta invece magnificamente nella successiva “Non serve tremare” caratterizzata dall’alternanza dei suoni concitati della corsa nella boscaglia, con l’uso di un in 7/8 a rendere un andamento ondulatorio quasi zoppo della corsa, ed i suoni più calmi anche se pieni d’ansia dei momenti in cui la salvezze sembra a portata di mano. Ne “Le anime deserte del mondo” attore protagonista è il mago Atlante. Novello Mangiafuoco, usa tutte le sue subdole armi di persuasione per conservare il proprio potere e l’iniziale gioiosità dell’introduzione, giocata sui toni maggiori rende benissimo la sua azione imbonitrice, lascia presto il posto ai tentativi di pressione occulta visualizzati dalla spinta di una chitarra elettrica dai toni drammatici. Una rete di note che sorregge una matrioska di suoni che esaltano ancor più la melodia vocale, una delle più riuscite dell’album, e che alla fine si aprono ad un ripetitivo refrain sostenuto dal solito lavoro con la mano sinistra al sintonizzatore di Nocenzi e dal contrappunto della dolce acustica delle chitarre. Ed ecco che l’ippogrifo raggiunge “L’isola felice” della maga Alcina, una sorta di “isola che non c’è” o “paese dei balocchi” dove la bellezza è descritta da una potente chitarra “slide” in loop con le tastiere e la voce. Un mondo immaginario dove poter lasciare le proprie responsabilità, vivere senza pensieri, allontanare i problemi.  Finché l’atmosfera non si spezza, il sogno si rivela tale e la ritmica riprende corpo per sorreggere degli assoli di Hammond memorabili.
Interessante la successiva “La maldicenza”, un brano interamente musicale in che descrive il pettegolezzo che vola e si insinua tra la gente suddiviso in due momenti, dapprima una melodia quasi contraddittoria, dissonante, con note sibilanti e veloci dai colori cromatici robusti seguita poi da una dolce variante conclusiva sorretta dalle chitarre acustiche e da un giro di basso non banale. Un pezzo che sta al passo con i migliori pezzi prog classici e che confluisce in una languida “barcarola” ad introduzione della sezione d’archi - campionati - di “Cadere o volare”. Questo è un pezzo interlocutorio e ben costruito che si distingue per l’assolo di Marcheggiani alla chitarra che si intreccia con l’assolo di moog di Nocenzi: due melodie che si incastrano perfettamente sia dal punto di vista tecnico che emozionale. Il brano poi si conclude con un crescendo di organo che ancora una volta pone questo disco nel solco delle sonorità del prog “storico“. A seguire, "Il Paladino”, altro brano interamente musicale e strettamente prog, che funge da intermezzo e raccordo - espediente usato spesso nella discografia del banco – tra due episodi musicali. Una cavalcata di suoni strappati con il basso continuo della mano sinistra di Nocenzi che provoca tutti gli altri strumenti mentre cercano di prevaricarsi l’un l’altro. Un “metal ritmico” che si va a spegnere in inserti acustici stranianti fino al nuovo “impazzimento”. Ottimo preludio alla successiva “L’amore accade”, una dolce ballad lirica costruita sulle alternanze – classiche per il prog – tra strofa e ritornello, tra strumento conduttore (qui il pianoforte) e voce. La costruzione del brano sembra semplice ma in realtà musicalmente risulta di una raffinatezza e complessità notevoli giostrando sulla successione di quinte e di none e su un arpeggio di chitarra che muta e si inserisce in larghi sinfonici della sezione degli ottoni. Il tutto viene accolto dalle nostre orecchie come un valzer lento che incede per accompagnare il rifiuto di Angelica alle “avances” di Orlando. Caratteristica peculiare di questo brano è anche il fatto che per la prima volta in 50 anni canta, in un brano del Banco, una voce femminile ben interpretata dalla figlia di Nocenzi, Viola. Al valzer fa seguito “Non credere alla luna”, architettato come un blues ma reso drammatico da un non usuale giro armonico sorretto da una ritmica in 12/8. Bella la melodia di pianoforte accompagnata dalle chitarre che ancora una volta si intrufolano con arpeggi ricercati. Ma spettacolare parte del brano è l’assolo di sassofono, suonato con approccio improvvisativo dall’ospite Carlo Micheli, presto rafforzato dal contrappunto del minimoog. Assieme costruiscono un dialogo fatto di ripetizioni melodiche ed accenti cromatici in un crescendo che porta verso una conclusione altrettanto interessante, in cui dissonanze e “rumori” si uniscono alle voci di un Armstrong che sta allunando e che ci aveva anche introdotto il brano all'inizio, in sottofondo.

Ora è tempo che l’Ippogrifo parta per recuperare il senno di Orlando dalla discarica lunare. “Moon Suite” si divide in tre movimenti per ben 11 minuti di durata: il volo verso la luna, l’arrivo sulla luna e quindi il ritorno sulla terra. Il primo movimento della mini-suite si caratterizza per l’incedere del volo, il battito delle ali è reso da una nota esatonale reiterata e continua che si sovrappone al tappeto sonoro della band in cui spiccano gli arpeggi di chitarra fino ad arrivare ad un suono di sintetizzatore che ci spedisce direttamente nello spazio ad osservare dall’alto la terra. Una breve pausa prima della movimentata discesa sulla luna caratterizzata da suoni 'terremotati' che si rincorrono come uno sciame sismico per superarsi l’un l’altro. Una vera cascata di suoni che si placa solo all’arrivo sulla luna con un arpeggio di chitarra straniante, dove i bemolle e le diminuite ben descrivono lo stupore della visione di un ambiente ignoto, surreale, forse ostile. Solo il ticchettio di un orologio segna il tempo che passa sino all’improvviso rumore di un nastro che si riavvolge velocissimamente… per trasformarsi nell’affascinante riproposizione del tema de “In Volo”, dal “Salvadanaio”: 50 anni di vita riavvolti, un cerchio che si chiude, una rinascita.
La storia sta per finire. “Com’è successo che sei qui” ci fa rivedere Angelica stupita di poter amare Medoro, semplice soldato saraceno. Scenario di archi, tastiere e chitarra che richiama la melodia struggente fino all’inciso dove entra la batteria a dare una solidità al solo di chitarra elettrica, questo brano è un delicato intermezzo prima della chiusura di “Cosa vuol dire per sempre?”, tema che affronta l'eterna questione del 'tempo che passa', evidente richiamo al darwiniano “Ed ora io chiedo tempo al tempo”. Allora la ruota girava attorno ad un mondo che si stava costruendo, in evoluzione verso il proprio futuro, oggi l’orologio scorre senza che rimanga traccia del suo avanzare. Una chitarra floydiana per un brano che procede con cadenze dapprima lente per poi via via proporre un refrain di chitarra ritmica che sembra aprire, almeno parzialmente, l’orizzonte dei desideri fino a confluire nella bellissima melodia finale in cui l'unisono di tastiere e chitarre ci porta via in luoghi magici. Oggi è tutto fumo, velocità, apparire, cogliere l’attimo … se questo è, meglio sognare.
Un album affascinante, oserei dire sperimentale, che i fan della band ameranno ma che può diventare qualcosa di più, uno spartiacque tra un prima ed un dopo. Quindici tracce monumentali, per circa 80 minuti di suoni e visioni. Occorrerà pazienza, sforzo e concentrazione d’ascolto (doti che sembrano scomparse nel modo effimero dell’oggi) ma alla fine "Orlando" non potrà non diventare un grande compagno di viaggio come lo sono stati il “Salvadanaio”, “Darwin” e le altre perle che la band ci ha regalato nel passato. Saremo pronti per questo nuovo Banco?
Credo proprio di sì.



Vittorio Nocenzi
- pianoforte, tastiere e voce
Tony D’Alessio - lead vocal
Filippo Marcheggiani - chitarra elettrica
Nicola Di Già - chitarra ritmica
Marco Capozi - basso
Fabio Moresco - batteria


Anno: 2022
Label: Insideout
Genere: Prog Rock

L’album è disponibile come Limited CD DigipakGatefold 180g 2LP+CD e in digitale

Tracklist:

01 Proemio 02:13
02 La Pianura Rossa 06:38
03 Serve Orlando Adesso 04:52
04 Non Mi Spaventa Più L’amore 05:01
05 Non Serve Tremare 04:06
06 Le Anime Deserte Del Mondo 05:01
07 L’isola Felice 00:57
08 La Maldicenza 06:17
09 Cadere O Volare 05:09
10 Il Paladino 02:52
11 L’Amore Accade 03:42
12 Non Credere Alla Luna 06:56
13 Moon Suite 11:49
14 Come È Successo Che Sei Qui 03:38
15 Cosa Vuol Dire Per Sempre 06:48








Vittorio e Michelangelo Nocenzi alla conferenza stampa



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