Worlich

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Fabio Betti: Voce, chitarra
Francesco Garoia: Basso
Nicola Serafini: Voce, chitarra
Daniele Piovaccari: Batteria

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- A&B -
Ciao ragazzi e benvenuti su A&B. Vi va di presentarvi?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Ciao sono Nicola, 1\4 di Worlich. Il gruppo vero e proprio è nato alla fine del 2003, ma io e Fabio suonavamo già assieme da qualche anno. Abbiamo iniziato a suonare la chitarra quasi contemporaneamente.
- Fabio Betti [Worlich] –
Io sono Fabio, l’altra chitarra e voce dei Worlich.
- Daniele Piovaccari [Worlich] –
Ciao sono Daniele, ho conosciuto Fabio e Nicola durante una gita scolastica a Parigi, in quella notte gelida su un bateau mouche parlando di musica è partito tutto, suonavo la batteria da un annetto e sentivo la necessità di trovare qualcuno con cui mettere in piedi un gruppetto, chiamalo destino ma tutto è andato esattamente nel modo giusto quella sera.

Come vi siete evoluti? Nel senso, avete attraversato, musicalmente parlando, diverse fasi prima di arrivare ad essere i Worlich di No Destination?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Non penso ci siano state vere e proprie fasi. Senza dubbio nel tempo c’è stata un’evoluzione, abbiamo via via capito cosa tecnicamente funzionava e cosa no, e abbiamo imparato a scrivere canzoni sempre più solide. Io e Fabio ci siamo sin da subito dedicati alla composizione di materiale originale, ci passavamo idee e canzoni abbozzate già da prima dei Worlich.
- Fabio Betti [Worlich] –
Suono da quando conosco Nicola e fondamentalmente questo ci ha permesso di creare una sorta di sintonia musicale e artistica che poi ha formato il “nucleo” creativo della band, che dev’essere visto come qualcosa di molto eterogeneo, aperto. Preciso che per me suonare assieme a lui ha voluto dire molto soprattutto per capire il significato di ensemble; già dai tempi in cui passavamo le giornate giocando a risuonarci i pezzi degli Smashing Pumpkins e perlopiù a divertirci si è andata formandosi l’idea primitiva di essere una band, con proprie sensazioni, emozioni, necessità. Penso che ancora oggi una parte importante di merito per quello che riusciamo a trasmettere (non necessariamente solo a noi stessi) sia dovuto al modo in cui ci siamo influenzati a vicenda. Questo ci ha reso più affiatati, più legati ma soprattutto più consapevoli della direzione in cui stavamo andando.

Il nome della band è abbastanza particolare: Worlich in realtà si pronuncia “War Leech”. C’è un nesso con la società odierna oppure è solo un bellissimo gioco di parole?
- Nicola Serafini [Worlich] –
In realtà nessuna delle due cose, non ha un significato. Il nome è venuto fuori quando ancora facevo le medie. Una mattina eravamo nel laboratorio di informatica divisi in gruppetti su ogni pc, dovevamo fare, se non ricordo male, una presentazione\pubblicità di un prodotto fittizio da noi inventato, e dal nulla venne fuori il nome. Mi ricordo che quando lo lessi in grande proiettato sullo schermo bianco visivamente mi piaceva, e pensai “sarebbe un bel nome per qualcosa”. Quando abbiamo iniziato a suonare assieme lo proposi e rimanne. Worlich abbiamo poi scoperto essere un cognome piuttosto diffuso nel nord Europa.
Voglio puntualizzare che la cosa di “war leech” è collegata solo alla pronuncia, dato che di solito Worlich viene pronunciato in tutti i modi tranne che in quello giusto.

- Fabio Betti [Worlich] –
Sì, e tra l’altro è molto frustrante il fatto che durante tutti i live di questi anni ci abbiano chiamato utilizzando ogni tipo di idioma e di derivazione fonetica tranne quella forse più naturale, spontanea. Talmente frustrante che abbiamo pensato di chiamarci “Eyafjallajokull”, da oggi. [esclusiva]
- Nicola Serafini [Worlich] –
Mi piace..


- A&B -
Perché il carro armato in copertina e che nesso ha con il titolo dell’album, No Destination?
- Nicola Serafini [Worlich] –
E' arrivata prima la copertina, e solo in un secondo momento il titolo. Non c'è un vero e proprio nesso tra i due, o comunque il nesso non era voluto. Il titolo mi suonava bene e, come la copertina, è liberamente interpretabile. La cover mi piaceva da un punto di vista puramente estetico, ne volevo una che fosse a suo modo iconica. Mi sono sempre piaciute le copertine dove c’è solo l’immagine, senza il nome del gruppo o del disco, rende il tutto molto più artistico, diventano come dei quadri.
Una delle prime volte che sono entrato in un negozio di dischi mi ricordo che la mia attenzione fu catturata da delle copertine tematicamente molto diverse tra di loro ma che avevano un qualcosa di comune e di indefinibile, che ti ipnotizzava: ho poi scoperto essere le copertine dei Pink Floyd, disegnate dalla Hipgnosis.

- Fabio Betti [Worlich] –
In effetti l’associazione carro armato - “war leech” – “no destination” poteva dare l’impressione di fare della dura ironia sulle politiche guerrafondaie e imperialistiche tristemente attuali della società in cui viviamo, ma non è così. Per quello abbiamo già “No one’s world”.

- A&B -
Dopo che ho recensito l’album No Destination sono venuta a conoscenza del fatto che tale lavoro è stato realizzato per lo più da Nicola, all’interno del progetto Worlich. Qual è la motivazione?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Sì il disco l’ho realizzato tutto io da solo a casa mia. Non ho mai detto agli altri tre “ok, lasciatemi fare questa cosa da solo” è successo e basta, in un periodo di tempo piuttosto lungo. Non appena ho imparato ad accordare la chitarra ho sempre scritto e registrato da solo tutti i miei pezzi, e al momento è l’unico modo in cui riesco a farlo. Non siamo mai stati uno di quei gruppi che va in saletta senza idee e inizia a jammare su qualcosa che poi si trasforma in una canzone. Se qualcuno di noi - finora è successo solo da parte mia e di Fabio - vuole proporre una canzone, ci mandiamo il provino in mp3 a vicenda dicendoci "ascoltala, prova a suonarci sopra", poi in sala tutti assieme la proviamo e l’arrangiamo, vedendo cosa viene fuori.

Proprio per questo motivo, molto semplicemente, credo che non saremmo riusciti a fare un disco come No Destination come band. Le strade erano due, o registrare tutto live (con conseguente nostra insoddisfazione, credo) o chiuderci in uno studio per dei mesi, spendere migliaia di euro, una cosa impossibile e piuttosto stupida per un gruppo del nostro livello.
Lavorandoci da solo senza scadenze o pressioni sono riuscito a dedicarci tutto il tempo che avevo e a farlo uscire il più possibile come ce l'avevo in testa. Credo di non essere mai andato a tentoni, dicendo “proviamo a fare questa cosa qui..”, al contrario per ogni canzone avevo bene in testa il risultato finale. Quando inizio a scrivere un pezzo riesco molto facilmente a visualizzarlo già finito, poi si tratta solo di scomporlo nei vari strumenti, sezioni, e iniziare a registrare. Quelli che non suonano (o non scrivono musica) probabilmente pensano che comporre musica è una cosa eterea, che devi camminare nudo in mezzo alla foresta, parlare con gli animali, bere assenzio, o fare cose da dandy con le tue costole, ma in realtà è un processo meccanico e non intenzionale, che nel tempo diventa automatico.

L'idea generale del disco è iniziata a venire fuori già nel 2007. Per un periodo di tempo jammavo ogni giorno in camera mia con una drum machine e registravo dei provini grezzi ogni volta che trovavo un riff carino, o semplicemente un'idea. Metà del disco è stato scritto in questo modo, in tipo.. 2 settimane, assieme a molte altre canzoni poi scartate. Poi non ho fatto altro che chiudere la tracklist ed iniziare a registrarlo in modo sistematico.
E’ stato relativamente facile fare l'album, ma ha richiesto una mole di lavoro assurda. Per un paio di anni ci ho dedicato tutto il mio tempo libero, c'erano pomeriggi che mi ascoltavo una trentina di volte di fila un mix provvisorio camminando per la stanza e annotandomi le cose che non andavano in termini di suoni, sovraincisioni, effetti, editing. Una cosa da paranoici. Quando impieghi 2 ore e mezza per registrare un assolino di 30 secondi perchè non ti piace il tocco che hai dato su una determinata nota realizzi che hai problemi mentali. Non avremmo mai potuto dedicarci così tanto tempo in quattro. Se non avessi lavorato in questo modo non ci sarebbe stato l’album. Ci sarebbero stati senza dubbio dei demo, o degli ep, questo sì, ma mi piaceva l'idea di uscire subito con un album in maniera totalmente indipendente, senza il benestare o l'approvazione di nessuno esterno al gruppo.


- A&B -
Trovo che nell’album la componente maggiormente rilevante sia data da un suono più o meno ovattato. In molte canzoni viene reso protagonista il basso determinando quindi questa sorta di sottofondo soft. C’è una ragione particolare nell’utilizzo di questo suono?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Per quanto riguarda il discorso 'produzione' il sound che avevo in testa più o meno era quello che poi ho ottenuto. Ho cercato di far suonare il disco nel migliore modo possibile date le mie limitatissime risorse. Questa limitatezza di mezzi tutto sommato era voluta. Tutto ciò che senti nel disco è suonato\cantato fisicamente da me: chitarre, bassi, tastiere, organetti, flauti, campanelli, percussioni, rumori, pedali analogici, armonie vocali. Tutto ad eccezione dei loop di batteria, che comunque ho manipolato e su cui ho lavorato parecchio, non accontentandomi del beat-preset-difabbrica.
Mi piace puntualizzare che nella realizzazione del disco non ho usato nessuna periferica, o strumento virtuale, o suono MIDI, neanche una singola nota. E’ stata una scelta ben precisa, molto radicale.

Non mi piaceva l’idea di poter emulare tutti gli strumenti con una tastierina, volevo che le canzoni avessero personalità e carattere, e questa cosa secondo me viene necessariamente fuori se cerchi di sfruttare al meglio i tuoi pochi mezzi. Tutto sommato mi piace essere limitato in questo senso, perché magari invece di strafare inserendo una emulazione di una sezione di archi di 40 elementi (che finisce poi col suonare come una canzone di Ramazzotti) te ne vieni fuori con una parte anche molto semplice di Ebow suonati col delay, o inserisci dei rumori che dal niente crescono e occupano tutto lo spettro sonoro. E’ un modo diverso di approcciarsi, “old school” se vuoi, ma con la comodità del multitraccia digitale. Come ho scritto nel retro di copertina, No Destination è un disco registrato in fiera bassa fedeltà, non è un disco lo-fi.

E’ stato divertente dividermi tra il ruolo di autore, musicista e produttore, è una cosa estremamente creativa riuscire a coniugare il tutto. E’ piuttosto stimolante riascoltare il mix, schioccare le dita e dire “sta parte fa schifo, rifare”.


- A&B -
Trovo particolarmente interessante il brano “Moon”. Com’è nato? C’è un contesto in cui lo si può inserire?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Moon è la canzone del disco che tutti nominano, tutti. Non penso sia solo per il fatto che è la canzone più pop del disco, forse c’è dell’altro. E’ nata molto velocemente in realtà, l’ho scritta in un pomeriggio e nel giro di qualche giorno l’ho registrata. Forse piace proprio per il fatto che è spontanea. Spesso i provini e le primissime registrazioni pur con le loro imperfezioni sono la versione migliore di una canzone perché catturano lo spirito di quando le hai scritte, è una cosa che si perde quando inizi a raffinarle troppo. E’ un aspetto che ho considerato molto mentre registravo e arrangiavo i pezzi, credo di aver fatto un buon lavoro anche con le altre nove canzoni del disco.

Lavorarci, ok, ma lasciare il tutto molto fresco e spontaneo. Una volta che hai l’idea per un pezzo poi gli arrangiamenti vengono fuori in pochi secondi, la melodia della voce pure, non è necessario sperimentare a tutti i costi. Una buona canzone deve rimanere tale anche suonata solo chitarra acustica e voce.
Tornando al pezzo.. il testo di fatto non parla di niente, se non del mio lamentarmi quando invece avrei dovuto alzare il culo dalla sedia e fare qualcosa.

- Fabio Betti [Worlich] –
Sono totalmente d’accordo, ormai viviamo in un’era ipertecnologica dove qualsiasi cosa viene vivisezionata in maniera spaventosa alla ricerca del più insignificante dettaglio, il che non è ovviamente un male di per sé, ma lo diventa se poi la risultante è quella di avere cose talmente “perfette” da sembrare artificiose, finte, troppo distaccate rispetto all’ascoltatore... la musica è sempre stata e deve principalmente essere un modo di comunicare. Se la si comincia a fare solo per autocelebrarsi non è più arte, è semplicemente marketing.

- A&B -
Quando ho letto la tracklist dell’album, mi ha colpito molto l’ultima traccia, la “Japanese Bonus Track”. Siete approdati anche in oriente? Ha avuto un buon riscontro l’album?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Ma magari. JBT è di fatto la decima canzone dell’album, non una vera e propria canzone extra. Ha quel titolo perché subito dopo averla registrata ho capito che non poteva che essere usata come canzone di chiusura.. Tutto qui, un gioco.
- Fabio Betti [Worlich] –
In qualche modo sul titolo penso abbiano influito anche e non poco gli occhi costantemente spiritati di James Iha...

- A&B -
Sempre parlando dell’ultima traccia, ho l’impressione che abbia un anima completamente estranea rispetto al resto dell’album o mi sbaglio? Perché è così mistica?
- Nicola Serafini [Worlich] –
In quella canzone c’è qualcosa. Non so se è per l’atmosfera, per i suoni, per il testo, per lo specifico momento in cui l’ho registrata, o tutto l’insieme, ma mi ricordo che le prime volte che la riascoltavo già dai primi secondi mi venivano i brividi sulla schiena, ed è una cosa che non mi succede praticamente mai quando ascolto musica. Non mi trovo molto d’accordo con te però sul fatto che sia estranea rispetto al resto dell’album, a mio avviso se entri bene nel disco l’atmosfera del pezzo la puoi ritrovare anche nelle canzoni precedenti, viene fuori soprattutto dalla metà dell’album in poi. Ma questo naturalmente è un mio parere.

- A&B -
Quali sono i vostri progetti futuri?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Per quanto mi riguarda è solo uno: scrivere canzoni sempre migliori. Forse sbaglio ma sono dell’idea che se facciamo uscire del buon materiale il resto verrà da sé. Sto già lavorando a qualche mio nuovo pezzo, la mia intenzione se riesco è far uscire qualche canzone in streaming entro la fine dell’anno, la prima già a breve. A dirla tutta avrei già un titolo ed una copertina per un nuovo album, che quasi sicuramente rimarranno definitivi, ma credo proprio che ci vorrà un sacco di tempo prima di una vera e propria nuova pubblicazione.
- Fabio Betti [Worlich] –
Voglio continuare a fare nuove esperienze musicali, a scrivere, a suonare; in questo rigoroso ordine. Ascoltando i miei vecchi demo (che custodisco gelosamente ancora nel mio vecchio pc di una decade fa...) e procedendo in ordine cronologico ho sempre la sensazione che si sia andato affermando un certo trend di maturazione nel mio modo di scrivere, al punto tale che non riesco nemmeno a confrontare per scherzo il primo pezzo che ho “scritto” con l’ultimo... motivo per cui sono sempre in cerca di nuovi elementi, nuove culture. Il mio principale obiettivo è quello di essere un compositore migliore, per me e per la band, di riuscire ad esprimere quello che ho dentro ma che è ancora forzatamente rinchiuso dentro di me perché non ho ancora trovato la maniera di farlo uscire. Migliorare come musicista è il secondo obiettivo, ma sono abbastanza consapevole che non mi avvicinerò mai troppo a Steve Vai... (e non sono sicuro che me ne importi qualcosa).
- Daniele Piovaccari [Worlich] –
Suonare, suonare, suonare il più possibile in giro..

- A&B -
Una delle curiosità che mi piace soddisfare è sapere come le band si approcciano alla propria città, quindi vi chiedo, com’è essere Worlich e vivere a Forlì e Ravenna?
- Nicola Serafini [Worlich] –
Non so gli altri ma sinceramente io non mi sono mai posto la questione. Mi piace vivere qui ma penso che i Worlich sarebbero stati gli stessi anche da un’altra parte. Ci sono senza dubbio molti gruppi validi in zona, tecnicamente molto più bravi di noi, ma personalmente non mi è mai interessato molto il discorso “scena”, soprattutto in una realtà così piccola come quella italiana. Le mie influenze sono quasi tutte oltre oceano o oltre Manica. Anche italiane, ovviamente, ma non mi sento in nessun modo influenzato dalle band della zona. Anzi, ti direi quasi che la spinta per quanto mi riguarda è in direzione ostinata e contraria, citando De André.
- Fabio Betti [Worlich] –
Credo che alla luce del mondo in cui viviamo oggi, di Internet, delle comunicazioni su larga scala intercontinentali, dei download in rete, del social networking, della velocità impressionante con la quale ci scambiamo informazioni... sia molto più facile rispetto al passato captare il più largo spettro di influenze musicali possibile. Questo è fondamentale per non sedimentarsi, per aprirsi alla bellezza. Personalmente non mi sono mai sentito tanto campanilista da approcciarmi alla mia realtà locale in modo esclusivo e intimo; abbraccio da sempre l’ideale cosmopolìta, infatti. Mi piace sentirmi parte del mondo, ricordare a me stesso che posso oltrepassare i limiti convenzionali. Mi capita di pensare al “me stesso” che conosceva solo la musica nostrana, la trovo soggettivamente (e senza pretesa di assolutismo) una cosa un po’ deprimente... nel bene e nel male sono felice di aver allargato il raggio delle mie influenze musicali, perché ognuna di esse mi ha instillato qualcosa senza cui oggi sarei più arido. Quello di cui parlo è un incondizionato desiderio di guardare oltre un punto che alcuni ritengono bastevole a soddisfare la loro fame musicale, ma artisticamente questo non può essere possibile, per fortuna.

Vivere qui è sicuramente diverso che vivere a Chicago o a Liverpool, su questo non ci possono essere dubbi... e l’amara constatazione a volte è che è più difficile riuscire a trasmettere determinate sensazioni a chi se ne sente estraneo, ma questo vale solo dal punto di vista del rapporto fra noi e il nostro pubblico; mentre non penso che, almeno per quanto riguarda me e Nicola, sia mai stata una limitazione crescere in questo ambiente non troppo stimolante, nel senso che abbiamo sempre dato la possibilità alla nostra creatività di svilupparsi lungo i percorsi anche non tradizionali, non banali. In definitiva è una questione più personale che oggettiva... puoi anche essere nato a Forlì e pensare comunque come uno di New York; il corollario però è che a volte, se non altro in senso emotivo, ti trovi a sentirti un po’ isolato all’interno del tuo micromondo ed è una cosa che non molti capiscono.

- Daniele Piovaccari [Worlich] –
Vuol dire essere Alternative Pop. La nostra prima etichettatura. Geniale.

- A&B -
Grazie per il tempo dedicatoci. Vi lascio questo spazio per salutare i lettori.
- Nicola Serafini [Worlich] –
Grazie a te per questa intervista e ai lettori per l’attenzione. Se ci state ascoltando vi ringraziamo, non avete idea di quanto lo apprezziamo. Il disco è gratis, se vi piace scaricatevelo, ascoltatevelo, diffondetelo, è roba vostra.
- Fabio Betti [Worlich] –
Grazie, ciao.


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