Punto focale dell'opera è "il grido" che si innalza dalle pagine. Un grido sconnesso, rigurgitante amarezza, invidia, rabbia; l’amarezza per la New York che è “sogno di chi non sogna”, l’invidia per la poesia degli altri (spinta fino all’assurdo dell’invidia per Shakespeare), la rabbia contro il lavoro, contro i propri compagni o contro i propri famigliari (come il padre che Carnevali maledice "persino da morto"). Il romanzo, come forse la vicenda biografica dell'autore sono una tensione costante a quel momento di epifanica trascendenza, il lampo divino, preludio di un declino umanissimo. “Il Primo Dio” è il grido di un poeta, o di un pazzo, forse di entrambe le cose; il boato di un istante che lentamente si affievolisce fino a scomparire in un’anonima targhetta bianca di un cimitero cittadino. |
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