L'acquisto del Vinile Usato
Vademecum Essenziale per Neofiti (e non solo)

Stampa








Quando parlo della mia raccolta di vinili, una domanda che mi sento spesso rivolgere è “dove li trovi?”
Domanda che ovviamente ne compendia molte altre: a quale costo, con quanta facilità, con quanta affidabilità… Escludendo le nuove pubblicazioni, una risposta singola, sintetica alla domanda non è possibile darla; vediamo quindi i vari aspetti dell’acquisto nel mercato dell’usato,  per chi vi si indirizzi per la prima volta, o vi si dedichi solo occasionalmente.

ACQUISTO DIRETTO O ACQUISTO IN RETE?

Le modalità di acquisto del vinile usato sono naturalmente due: l’acquisto diretto e l’acquisto online; entrambe presentano vantaggi e svantaggi, che sono meno ovvi di quanto possa sembrare. Normalmente si assume che l’acquisto diretto metta al riparo da ogni possibile sgradevole sorpresa, e che quindi sia preferibile all’acquisto online: logico, ma non è del tutto così ovvio.

Intanto, rispetto ai costi: se è vero che l’acquisto diretto consente la possibilità di valutare di persona il vinile, evitando la spesa, l’attesa e i rischi della consegna via posta, è anche vero che negozi dell’usato non se ne trovano ovunque, e comunque spesso la scelta che essi offrono è normalmente piuttosto limitata per quantità e qualità. In un negozio si prende quel che c’è, e anche le numerose fiere del disco sparse un po’ in tutta Italia non necessariamente offrono tutto quel che si cerca. Certo, l’acquisto online implica spese di spedizione che sono sempre significative (poi le vedremo), però in caso si acquistino due o più album da un solo venditore, esse si abbattono proporzionalmente.

Ma nemmeno le fiere sono gratis: tra biglietto di ingresso, costi di viaggio e varie ed eventuali, la spesa può essere non indifferente, senza nemmeno la garanzia di trovare ciò che si cerca. Da questo punto di vista, la rete offre praticamente tutto quel che si può desiderare, o almeno quello che è teoricamente reperibile, per quantità e qualità: se cercate un certo titolo, magari in una specifica edizione, in condizioni per voi accettabili (e perché no, entro un certo prezzo), dovete avere una fortuna pazzesca per trovarlo in un negozio dell’usato, in una fiera le possibilità sono maggiori ma certo tutt’altro che garantite, mentre in rete lo trovate di sicuro.

Poi è vero che la valutazione de visu mette al riparo da brutte sorprese sulle condizioni di copertine e del vinile, ma è anche vero che un conto è avere il disco in mano, un altro farlo suonare e il disappunto è sempre dietro l’angolo per un prodotto così delicato come il vinile: salti, fruscii, scrocchi sono da mettere in conto anche per il vinile apparentemente più lucido e di bell’aspetto (sic!). Succede spesso anche con i dischi nuovi, figuriamoci…

Un aspetto abbastanza trascurato è il malaugurato caso di insoddisfazione per l’acquisto; restituire un disco ad un negozio è una cosa in teoria abbastanza semplice (e sottolineo in teoria, poi vedremo perché), ma la restituzione di un disco acquistato ad una fiera è cosa molto più complicata: bisogna accordarsi preventivamente con il venditore, quindi contattarlo e accollarsi le spese di spedizione (fidandosi della sua lealtà nella restituzione della spesa). Oppure, aspettate la prossima fiera alla quale il venditore sia presente, sperando che non sia troppo lontana e troppo in là nel tempo; per un vinile del costo di una ventina di euro, siete disposti a mettervi in una di queste imprese? Più spesso ci si tiene la sòla e buonanotte alla bellezza di comperare i dischi di persona.

Paradossalmente, è un problema di più facile soluzione con gli acquisti online fatti compiuti attraverso i vari siti specializzati; la clausola di restituzione è prevista e codificata: si contatta il venditore, si restituisce il disco e si viene rimborsati di tutte le spese (salvo il caso in cui sia specificato che la restituzione è a carico dell’acquirente: meglio accertarsene prima). Ma pure su questo torneremo in seguito.

Un ultimo ma fondamentale aspetto da considerare è il costo degli lp. In fiera, e spesso anche nei negozi, normalmente è un po’ più alto rispetto a quello che a parità di condizioni si trova in rete, e non è difficile immaginare perché: costi di gestione del negozio o di affitto dello spazio della fiera (e nelle fiere più importanti è davvero rilevante: arriva a qualche centinaio di euro per un paio di metri…), spese collaterali da sostenere, e infine… la concorrenza. Il fatto è che, per strano che sembri, alle fiere e per negozi girano più acquirenti inesperti di quelli che bazzicano i siti in rete: tirate voi le conclusioni. Se si tratta di pezzi da 15 o 20 euro, le differenze nei prezzi ci stanno tutte, ma fate attenzione quando state per spendere più di 40 o 50 euro per un titolo: smartphone alla mano, confrontate sempre il prezzo con quel che offre la rete.

 

CERCARE IN RETE

Internet ha giocato un ruolo importante nella rinascita dell’interesse per il vinile, mettendo a disposizione degli utenti un catalogo vastissimo nel quale pescare titoli altrimenti inarrivabili, e specularmente aprendo ai venditori un mercato grande virtualmente quanto il mondo. Di più: ha permesso anche a privati (collezionisti, ma non solo) di vendere album che altrimenti sarebbero stati in gran parte destinati a languire in scaffali o ripostigli assortiti.

Acquisti in rete e acquisti fisici, in negozio, non sono alternativi ma complementari, in quanto (privati a parte) generalmente chi vende in rete gestisce un negozio o prende parte a fiere e mercati. Le stesse fiere sono un’occasione per i venditori di allargare la propria clientela online. Questo significa che quando acquistate un disco attraverso internet, nella stragrande maggioranza dei casi lo acquistate da un venditore professionista o semiprofessionista, esattamente come se lo comperaste dal suo negozio. Ovvio, resta la differenza del toccare con mano ciò che si compra, non è poco ma vedremo come la differenza sia meno sostanziale di quanto si possa pensare; in ogni caso vi dovrete fidare del venditore, in un modo o nell’altro…

I siti cui rivolgersi sono numerosi, e vanno dalle piattaforme dedicate ai siti dei singoli negozi sino al contatto personale: le condizioni preliminari restano la fiducia, la sicurezza del pagamento e quella della consegna. Andiamo con ordine.

Il mercato dell’usato per antonomasia è eBay, nelle sue varie filiali mondiali. A parte il sito italiano (nel quale troverete comunque anche oggetti messi in vendita in altri paesi europei) per il vinile i siti di riferimento sono quelli inglese e statunitense, e poi quello tedesco ed eventualmente quello giapponese, naturalmente a seconda di cosa state cercando: se cercate i vinili dei Popol Vuh, andate direttamente in Germania…

Il principale vantaggio di eBay è una tutela del cliente di eccellenza, oltre ad una ampia offerta, la possibilità di vedere immagini reali dell’oggetto acquistato e un sistema di valutazione del venditore (i feedbacks) altamente affidabile; insomma si può trovare di tutto, sapendo cosa si compra, da chi e con la garanzia di una protezione che copre i rischi dell’acquisto: oggetti non conformi alla descrizione, mancata consegna, problemi col pagamento, eccetera.

Tutto questo ha un costo, si capisce: non tanto per voi (si pagano solo oggetto e spedizione), ma per i venditori che pagano delle commissioni piuttosto alte per le inserzioni e le vendite; il che significa che normalmente i dischi in vendita su eBay hanno un costo lievemente superiore a quello di altre piattaforme, e quello lo pagate voi.

In eBay ci sono tre forme di acquisto: asta, acquisto diretto (BuyItNow o CompraloSubito), proposta di acquisto. L’asta è divertente da fare, ma se il disco è interessante rischia di far lievitare il prezzo a cifre anche astronomiche, e in ogni caso occorre attenderne la fine (tipicamente sette giorni) per sapere se ci si è aggiudicati l’oggetto del desiderio, col rischio di vedersi superati negli ultimi dieci secondi: inutile fare offerte prima della scadenza prossima, si alza il prezzo e basta; conviene fare il proprio rilancio negli ultimi quindici secondi… Il CompraloSubito ha una durata di trenta giorni: il prezzo è quello, come in un negozio, si compera e via, senza però possibilità di mercanteggiamenti. Questi ultimi sono previsti quando compare la formula Fai Un’Offerta: in quel caso si fa la propria offerta partendo dalla base richiesta; se il venditore l’accetta, il disco è vostro con un po’ di risparmio. Quanto? Un ribasso del 10-20% è generalmente accettato; di più, dipende. Tenete conto che avete una sola pallottola da sparare, cioè potete fare solo una offerta e se non è accettata, o pagate il prezzo intero o ciccia; quindi se il disco vi interessa davvero, fate i vostri conti. Un suggerimento: non tediate il venditore con mail lamentose o con blandizie varie, giustamente si irriterà e basta… se è italiano: se è estero manco vi risponderà (altrettanto giustamente); nei due casi finirete con buone probabilità nella loro lista nera e vi bloccheranno: certi clienti è meglio perderli che trovarli, fatevene una ragione. Evitate poi di proporre scambi al di fuori di eBay con accordi privati. Intanto per risparmiare una manciata di euro (non più del 10-15% del prezzo in ogni caso) perderete tutti i diritti di protezione, ma soprattutto è illegale e se il venditore segnala il fatto (o se eBay se ne accorge) verrete sbattuti fuori da eBay. Considerate che l’unico interesse che il venditore può avere è piazzare un disco in più, ma se è un professionista che ne piazza un centinaio e più al mese, il gioco proprio non vale la candela.

Le alternative ad eBay sono diverse: CdandLP, Discogs, Gemms, MusicStack, PriceMinister, la stessa Amazon… Il loro funzionamento è analogo: ci si registra, si trova il titolo, si piazza l’ordine e si paga (chi l’avrebbe mai detto eh?). La scelta di venditori e titoli è amplissima e da tutto il mondo, spesso comunque i venditori mettono il loro catalogo in più piattaforme.

Non ci soffermeremo in descrizioni dettagliate dei vari siti (si fa prima a darci una occhiata), ma di un sito almeno occorre invece parlare: Discogs. Intanto perché è un sito creato da appassionati di musica e funziona piuttosto come comunità libera, ma soprattutto perché è diventato il vero riferimento degli amanti del vinile per varie ragioni. Innanzitutto perché è il più affidabile termometro del prezzo delle varie edizioni degli album; in secondo luogo perché di ogni edizione è meticolosamente riportato ogni dettaglio: catalogo, anno, track list dettagliata, matrici, credits dettagliati, particolarità di copertina ed etichetta, e spesso delle foto che mostrano copertina, etichetta e altro della edizione descritta: non si può sbagliare. Essendo un sito americano, il sistema di valutazione è quello americano, il Goldmine Standard (vedremo più sotto in cosa consiste); ogni venditore generalmente aggiunge delle note per chiarire lo stato del vinile che vende, il che è utile visto che, a differenza di eBay, non ci sono foto degli oggetti in vendita, il che è un limite, ma va detto che a richiesta i venditori generalmente sono molto disponibili a fornirne.

Come per eBay e gli altri siti, l’affidabilità dei vari venditori è descritta dal sistema dei feedbacks: si fa presto a capire quanto ci si può fidare, ma in genere i sellers di eBay e Discogs sono persone serie. E non fa differenza se il venditore è un privato o un professionista, non vuol dire granché, state tranquilli. Tra un collezionista che vende alcuni suoi titoli e chi si trova in casa qualche vinile che cerca di sbolognare prima di buttarlo c’è la stessa differenza che intercorre tra un grosso negozio che tratta vinili da trent’anni con competenza e serietà e chi svuota cantine un tanto al chilo e poi cerca di farci su due soldi. Non ci vuole una laurea in economia e commercio per capire con chi si ha a che fare. E lo stesso discorso vale se vi capita di entrare in un negozio che vende tramite un suo sito l’usato che rientra. Fidarsi della reputazione (feedback) è essenziale, e nel dubbio chiedere foto e dettagli.

Quanto al pagamento, un bell’account PayPal risolve pressoché ogni problema: è gratis per chi acquista, si può attivare con qualsiasi tipo di carta (anche prepagata), rapido e facile da usare, il venditore riceve immediatamente il denaro, fornisce la più ampia protezione in caso di problemi ed è accettata dalla quasi totalità dei venditori in rete, soprattutto all’estero. Poi, ci sono naturalmente gli altri sistemi, soprattutto se acquistate in Italia: bonifici, contrassegno, PostePay, eccetera.

 

PLEASE, MR. POSTMAN!

Per un amante del vinile, niente è come scartabellare album tra gli scaffali. Surfare in rete è una emozione molto diversa: non dà lo stesso brivido, ma il trovare sei o sette copie di un titolo ricercato e valutare quale sia il migliore da prendere è comunque un bel cercare. Ovviamente, una volta che si è deciso di prendere qualcosa, in negozio paghi e te lo porti via, in rete… no.

Intanto ci sono da pagare le spese postali, e nel caso di un LP sono sempre piuttosto rilevanti; è altamente consigliata sempre la spedizione via raccomandata: costa qualche euro in più, è più lenta ma è sicura e tracciabile. In Italia l’alternativa è il paccocelere, veloce e sicuro. Tenete conto che il costo è il medesimo sino a 3-4 lp, il che consente di abbattere proporzionamente le spese. Quantificando, la spesa dall’Italia o da un paese UE è grossomodo la stessa, nell’ordine di una decina di euro; dagli States o dal Giappone la cosa cambia, ovviamente. In particolare dagli USA il costo di spedizione è particolarmente salato.

I problemi della spedizione postale sono presto riassunti: rischi di smarrimento (quasi inesistenti con la raccomandata – in inglese Registered Mail), di danneggiamento, di consegna a domicilio. Assicurare il pacco costa praticamente quanto un singolo lp: calcolate quando ne val la pena; personalmente, in tanti anni e in centinaia di acquisti da tutto il mondo, m’è capitato un paio di volte di ricevere dei pacchi frantumati… Se invece il pacco si smarrisce (ma con la raccomandata non succede), se acquistate tramite eBay o con PayPal verrete rimborsati, in modo anche abbastanza semplice e veloce, altrimenti contattate il venditore e cercate un accordo: di solito si trova.

Poi ci sono i tempi di consegna: da paesi dell’Unione Europea variano da pochissimi giorni a un mese, non c’è regola; mediamente diciamo sui 7-14 giorni.

Un problema sono invece le spese doganali per una spedizione extra-UE: di regola comportano una tassa del 40% del valore dichiarato (alla faccia, eh? E hai voglia a dichiarare che è un oggetto usato…); se però il valore dell’oggetto è inferiore (o uguale) a 18 dollari, allora la dogana lo lascia passare senza tassarlo. Regolatevi di conseguenza.

 

SULLA PSICOLOGIA DEI VENDITORI DI DISCHI

L’acquirente di un qualunque bene è sempre una brutta bestia, l’acquirente di dischi lo è di più (anche voi, sì, poche storie): cavilloso e camurrioso, sospettoso, lamentoso e tendente all’insoddisfazione, e si potrebbe continuare. Si potrebbero scrivere libri sulla psicologia e sul carattere degli acquirenti di dischi: beh, sono stati scritti, da “Alta fedeltà” di Nick Hornby a “L’ultimo disco dei Mohicani” di Maurizio Blatto, e l’acquirente non ne esce mai bene. Siamo fatti così: lo dimostra già il semplice fatto che state leggendo queste righe.

Bene, i venditori di dischi usati sono peggiori. Sappiatelo. Intanto perché hanno a che fare con cotanta clientela, e scusate se è poco. Poi per loro natura: vendono oggetti che rappresentano la loro massima (e insana) passione e intanto che desidererebbero vendere titoli rari, pregiati (e costosi), si trovano a vendere ciò che trovano, e spesso sono i primi a rendersi conto che la loro merce ha limiti e difetti. Situazione frustrante, va riconosciuto.

Nei casi peggiori – rari eh? ma non infrequenti –, sono convinti di vendere vere opere d’arte su cui ritengono di possedere un superiore diritto d’expertise artistico e tecnico, il che rende costoro saccenti, superbiosi e, a seconda dei casi, impazienti e incazzosi, oppure olimpici e superiori con una degnazione supponente, talvolta sprezzante, che non è meno fastidiosa. Non sempre, intendiamoci, e soprattutto non tutti: nella loro gran parte dei venditori sono persone simpatiche, comprensive, pazienti e disponibili, ma non si può mai sapere. Il fuoco cova spesso sotto la cenere, e in linea generale rompere gli zebedei al prossimo non è una cosa socialmente accettata, per cui cercate di tenere a freno i vostri istinti belluini.

Ora, il mercato dell’usato per sua natura favorisce la contrattazione e il mercanteggiamento (ancora una volta, parleremo in seguito di come si forma il prezzo del vinile usato), ma occorrono al tempo stesso tatto, strategia e sicurezza in queste operazioni. Se ben condotte, di solito portano ad un piccolo risparmio sulla spesa, del resto il venditore mette preventivamente in conto un piccolo sconto quando prezza un disco, ma non è detto; l’irritazione del venditore è una epifania frequente – e visti i soggetti, dati causa e pretesto, mai piacevole, ve lo garantisco – che può arrivare talvolta al secco e sgarbato rifiuto di vendere il disco in questione, nemmeno al prezzo iniziale richiesto. Fate voi. Tenete conto di un paio di cose: la tediosità dell’acquirente raggiunge tante volte livelli inenarrabili, e rischiate di pagarne voi le conseguenze. Io sono una persona pacata e cortese, ma mi è successo di sentirmi apostrofare in modo assai poco urbano per una semplice domanda sulla trattabilità di un prezzo (“se non ti garba, metti giù il disco e vallo a cercare da qualche altra parte, se lo trovi”) o anche semplicemente per averlo chiesto (“metti giù le manacce che è già venduto”). Casi limite, ma capitati più o meno a chiunque abbia questa passione: certo, se andate a comperare una maglia o un frigorifero non vi succederà, ecco…

In ogni caso, se da un venditore (tipicamente nell’acquisto diretto, di persona) si acquistano due o più album è lecito e accettato chiedere un piccolo arrotondamento, pressoché sempre concesso; ma chiedetelo col dovuto rispetto che manifestereste a Don Vito Corleone (tutto pensavo nella vita, ma non di stendere un manuale di galateo).

Soprattutto, cercate di capire che non si diventa ricchi vendendo dischi: chi lo fa, lo fa principalmente per passione, e di solito quel che guadagna gli basta per sbarcare il lunario in modo appena decoroso (o per arrotondare, nel caso venda dischi come seconda attività). Infine, i dischi usati non nascono sugli alberi: chi li vende, se li procura con quel che gli viene offerto (anche qui con mercanteggiamenti da suk mediorientale) oppure se lo deve andare a cercare attraverso canali più bizzarri, oscuri, non sempre nobilissimi e mai semplici. Qualche volta, il venditore fa il colpaccio: ad esempio quando acquista un tanto al chilo stock di centinaia di vinili dai parenti di qualche collezionista passato a miglior vita (eh beh), oppure va a svuotare cantine e soffitte chiuse da anni, e in mezzo a tanto pattume sonoro trova qualche gioiello, ma resta una vitaccia. Avventurosa, se vogliamo anche eccitante, ma comoda e ricca di sicuro no. Mai.

Detto tutto questo, considerate sempre le reazioni possibili del venditore se doveste andare a protestare e restituire un disco, sia pure con tutte le vostre ottime ragioni.

 

LA FORMAZIONE DEL PREZZO

La determinazione del prezzo di un vinile usato non segue in alcun modo quello degli altri beni di consumo, e si capisce: non ci sono spese di produzione industriale, spese di distribuzione e anche i margini di guadagno del venditore che normalmente oscillano dal 25 al 50% (a seconda del bene, degli interessi del commerciante e della richiesta dei clienti) nel caso del vinile usato sono aleatori e variamente casuali. Se un venditore ha la fortuna di metter le mani per una pipa di tabacco su un titolo di un qualche valore (capita spesso), il prezzo di vendita può eccedere anche cinque o sei volte (se non di più) la spesa iniziale…

Certo, esistono eccome dei riferimenti: il Record Collector’s Guide inglese ad esempio, pubblicato annualmente, riporta puntigliosamente il valore di mercato corrente di ogni edizione a seconda delle condizioni; ma intanto è valido per il mercato inglese (quindi i prezzi sono in sterline, con quanto ne consegue), e poi la valutazione delle condizioni complessive di un disco (copertina, buste, vinile, etichette…) resta una faccenda con ampi margini di discrezionalità e di soggettività. E questo vale anche per ogni altra classificazione suggerita, online (ci sono numerosi siti dedicati) e cartacea (libri e riviste di settore). Come si diceva sopra, una occhiata a Discogs dà una idea già precisa del valore corrente di qualunque edizione.

Come che sia, nessuna di queste pubblicazioni spiega il perché del prezzo, il quale in soldoni segue una semplicissima e aurea regola: il valore di un disco è dato dai soldi che qualcuno è disposto a spendere per averlo. In effetti, ogni valutazione riportata non è che la media dei prezzi ai quali un certo titolo è stato venduto: un determinazione ex post, non ab ante, dunque. Il sito Popsike, ad esempio, dà conto in tempo reale delle ultime vendite online: data di vendita, prezzo più alto, prezzo medio, condizioni del disco, piattaforma di vendita. Ottimo per farsi una idea, così come è utile il sito Music Price Guide.

I parametri considerati da venditori ed acquirenti sono numerosi: la rarità certo, ma anche la quantità delle richieste, poi le condizioni della copertina, degli inserti, delle etichette e naturalmente dei solchi. Rarità e quantità delle richieste vanno di pari passo fino ad un certo punto: ad esempio, la prima stampa inglese di “Relayer” degli Yes è tutt’altro che rara, e non è impossibile trovarne delle copie in condizioni perfette sotto tutti gli aspetti, eppure esse raggiungono sistematicamente quotazioni alte (quantomeno per un acquirente medio); per non parlare della prima edizione (nemmeno stampa) inglese di “The Dark Side Of The Moon”: anche la più scadente viaggia oltre i 100 euro. Certo, l’album degli Spring (Neon Records) è molto raro, vista la tiratura iniziale e il successivo fallimento dell’etichetta, quindi ricercato e costosissimo (la prima stampa va dai 600 euro in su), ma ogni disco e ogni edizione fanno storia a sé, quindi il neofita è bene non dia mai nulla per scontato. Le differenze di prezzo tra una edizione e l’altra di uno stesso titolo, anche vicine tra loro, possono facilmente essere soggette a variazioni anche notevolissime.

Ultima raccomandazione: non commettete mai l’errore di spendere cifre importanti pensando che siano comunque un investimento garantito nel tempo; non lo sarà mai, ci perderete sempre e più avanti spiegheremo perché. E non fatevi intortare dal fatto che il venditore scriva “raro!” o cose simili nella descrizione di un disco: è uno specchietto per le allodole (o per i tordi, meglio); chi cerca un disco lo sa già se è raro, e quanto. Il più delle volte è raro per il venditore che ce l’ha per le mani per la prima volta, oppure è di una rarità che non interessa a nessuno. O magari non è raro affatto.

 

PERCHÉ VOLETE ACQUISTARE IL VINILE?

Non è una domanda banale, anche se ciascuno sa bene perché cerca il vinile, in generale o alcuni titoli in particolare. Copertine e artwork originali, qualità del suono, versioni originali dei brani e delle tracklists, collezionismo, titoli altrimenti introvabili in cd… le ragioni sono tante. Ma chi non pratica sistematicamente questi acquisti, anche se sa cosa cerca e perché, di alcune cose è bene sia avvertito.

Innanzitutto, non tutte le edizioni di un titolo sono uguali. Da una stampa all’altra normalmente cambia qualcosa: i colori della copertina, la carta, gli inserti, le etichette, la grammatura del vinile e soprattutto la qualità del suono non sono mai tutti uguali. Ci sono delle precise ragioni tecniche per cui questo accade: normalmente dalle seconde e terze stampe scende la cura nella realizzazione del prodotto per ragioni principalmente economiche; la stampa della copertina si fa più frettolosa, gli inserti spariscono, la grammatura si riduce e più che alla qualità si bada alla quantità delle stampe per soddisfare le richieste.

Per fare un esempio, personalmente ho acquistato una decina di copie di “Tubular Bells” di Mike Oldfield: prime e successive edizioni inglesi, italiane, ristampe per audiofili di ogni grammatura, eccetera. Non ce ne sono due dagli stessi colori di copertina: le diverse tipografie hanno usato macchine, inchiostri e copie del colophon diversi; azzurri e verdi poi sono tonalità di colori molto difficili da rendere fedelmente. Inoltre, il tempo scolora gli inchiostri e la diversa cura nella conservazione delle copie ha fatto il resto. Di fatto, rendetevi conto che anche se comperate la miglior copia esistente di un titolo che abbia più di quarant’anni, in nessun caso la copertina avrà mantenuto esattamente e perfettamente la tonalità dei colori originali; guardate la foto delle quattro copertine di “Relayer” degli Yes: tre di queste sono prime edizioni, sapreste dire quali? (Vi aiuto: quella in basso a sinistra è una delle tre).

Sovente le differenze sono davvero impercettibili, per carità, ma di sicuro anche dal punto di vista del suono la qualità delle prime stampe è ineguagliabile. La ragione è sempre tecnica: per la stampa del vinile si predispone un master in metallo (metal master) dal quale si ricava per incisione una copia (lacca) per la pressatura, e questa prima tiratura viene definita A1/B1 (cioè prima stampa dei lati A e B). Da questo prima copia si ricava un secondo master (generalmente per pressatura, più raramente per incisione), poiché dopo un certo numero di copie stampate il master si deteriora; dal secondo master si ricavano le copie A2/B2 e intanto da esso si predispone il master per le copie A3/B3, e così via. Ovviamente, di passaggio in passaggio la qualità dei master sia pure quasi impercettibilmente scade, e conseguentemente le prime stampe sono quelle qualitativamente migliori e quelle più ricercate da appassionati e audiofili. E altrettanto ovviamente, le prime stampe sono in genere più costose (e più difficili da trovare).

Attenzione comunque a distinguere le prime stampe dalle prime edizioni: non sono la stessa cosa. Per prima edizione si intende la realizzazione seriale delle copie nell’anno di pubblicazione di un titolo, ma una prima edizione è fatta, soprattutto per i dischi di grossa tiratura, da più stampe, dalla A1 fino alla A6 e anche oltre. Non di rado poi, si trovano dischi con stampe miste, ad esempio A2/B3, a seconda dei master usati per le due facciate (o quattro o sei nei casi dei dischi doppi o tripli). Le stampe A1/B1 sono definite “First Press”, le stampe successive delle prime edizioni, dalla A2/B2, in poi sono le “Early Press”, quindi sono seconde o terze (o ennesime) stampe della prima edizione. Con “Later Press” normalmente si indicano delle stampe di anni successivi, mentre con “Re-Press” si indicano riedizioni molto ulteriori. A far testo restano comunque catalogo e matrici: “First” e “Early Press” hanno sempre lo stesso numero di catalogo: “Later Press” e “Re-Press” possono indifferentemente mantenere il catalogo originale, averlo lievemente modificato o essere diverso, non c’è regola fissa. Inoltre, una prima stampa o una prima edizione di un paese diverso da quello originale (ad esempio la stampa americana di un titolo inglese) per gli audiofili vanno considerate alla stregua di una “Early Press”, in quanto provengono da un master di seconda generazione. Che poi i laboratori di un paese diverso possano produrre dei dischi di qualità eccellente, se non addirittura superiore, è un altro discorso (tipico l’esempio delle stampe tedesche o giapponesi), senza contare che da un certo punto in poi – all’incirca dall’avvento degli anni ’80 – le grandi case discografiche in Europa per alcuni titoli optavano a volte per laboratori esteri che lavoravano su grande scala (tipicamente l’Olanda), con quel che ne consegue.

Altra possibile e importante distinzione tra le varie edizioni è data dalla grammatura, cioè dal peso del vinile. Un peso maggiore significa un maggiore spessore del disco, il che permette un tempo di pressatura (cioè di trasferimento delle informazioni magnetiche) più lungo, e il risultato è un disco inciso con più cura, dal suono più preciso e centrato, oltre che più stabile, meno sensibile alle vibrazioni e alla deformazione. Ok, è roba da audiofili, ne convengo, ma intanto valore e prezzi sono determinati da questo.

Sino al 1973, i dischi avevano una grammatura normalmente abbastanza consistente, dai 150 grammi in su. La crisi petrolifera del ’73 comportò per il mercato musicale una ridotta disponibilità della materia prima e un suo costo maggiore, conseguentemente la grammatura dei dischi si ridusse, soprattutto quella delle ristampe.

Le grammature sono diverse: si va dai 110-120 grammi (i dischi che ballonzolano solo a tenerli in mano) e 130-150 (le edizioni standard) in su, per arrivare ai 180 grammi delle edizioni tipiche per audiofili, sino ai ricercati 200 grammi, prodotti di alta fascia (e alto costo).

 

“LEGGERE” IL VINILE

Ogni copia di un disco ha un suo numero di catalogo e riporta le informazioni tecniche di cui sopra. Normalmente, le riedizioni successive di un titolo, pubblicate in anni seguenti, sono contrassegnate da un numero di catalogo diverso, ma non sempre. A fare testo restano comunque le informazioni sulla stampa incise (in inglese “etched”) sul run-off, cioè lo spazio privo di solchi tra i brani e l’etichetta: codice del disco e della matrice (A1, A2, ecc) vi sono regolarmente riportati, a volta accompagnati da altri segni (triangoli, lettere, barre, siglature, ecc) che servivano essenzialmente allo stampatore nel suo lavoro. In certi casi, vi si trova il nome stesso dello stampatore, a mo’ di firma e di marchio di qualità: la stampa dei dischi è una faccenda delicata, e la precisione dell’operatore determina la qualità dell’incisione che verrà riprodotta. Il più celebre stampatore inglese tra gli anni ’70 e ’80 era George Peckham, che usava contrassegnare il suo lavoro con i suoi nomignoli, “Porky” e “Pecko”.

Tra una edizione e l’altra, spesso le fantasiose etichette degli anni ’70 cambiavano, e di conseguenza la presenza di una etichetta piuttosto di un’altra già distingue le prime edizioni dalle ristampe.

Fate bene attenzione a questi dati: i venditori più seri e preparati sono estremamente puntigliosi nel riportarli; altri non lo fanno, vuoi perché ignorano la questione o la storia di ogni singolo disco (non possono sapere tutto), vuoi per furbizia. Se avete il disco in mano, informatevi prima e controllate; se acquistate online e il venditore non riporta le informazioni, chiedetele, magari anche chiedendo foto di copertina, inserti, etichette e run-off; a volte i venditori le inseriscono autonomamente, più spesso sono disponibili a fornirvele e comunque sono tenuti a rispondere alle vostre richieste di informazioni. Se non lo fanno, evitate di comperare: il rischio concretissimo è di pagare una copia molto al di là del suo valore, con quel che ne consegue. Basta una scritta minuscola nel retro di copertina a distinguere una edizione da un’altra, un simboletto in più o in meno sull’etichetta, e il valore disco varia anche del 50% e più. Manie da collezionisti? Può darsi, ma chi siete voi per giudicare le fisse altrui? (In ogni caso state tranquilli: ci pensano le loro mogli a castigarli a dovere. Posto che ne abbiano una, s’intende…). E comunque, se trovate il tutto complicato, macchinoso, astruso, beh, i soldi sono vostri…

Informarsi preventivamente sulle varie edizioni e sul loro relativo valore non è comunque difficile, basta dedicarci un po’ di tempo. I siti specializzati nella vendita di vinile usato (poi vedremo quali) riportano già tutti i dati essenziali; la storia di ogni singolo titolo (o di ogni singolo artista) dovrebbe ciascuna essere raccontata da un articolo dedicato, ma in rete si trovano decine di siti che se ne occupano: un po’ di tempo per leggerli (accompagnato magari da un po’ di conoscenza dell’inglese) è tempo ben speso.

 

EVERY PICTURE TELLS A STORY

Il vinile è nero, è una cosa che sappiamo tutti. Beh, è falso: la pasta di vinile è in origine trasparente. Se normalmente gli lp sono neri è per un’altra ragione: sin dall’inizio l’industria musicale per risparmiare ha riciclato i dischi invenduti, ritirati o difettati, ma in caso di vinile trasparente questo avrebbe comportato dischi più opachi, dalla colorazione sporca. Si optò quindi per l’aggiunta di pigmentazioni nere che avrebbero risolto il problema alla radice.

Nella realizzazione di un lp si possono usare due tipi di vinile: quello che contiene una parte di pasta riclicata, e quello vergine, che non ne contiene. Gli audiofili si dividono in due schiere sulla qualità delle due paste: chi sostiene che sia migliore il vinile non vergine, perché essendo più morbido ha una cedevolezza sotto il peso della testina che ne permette una più accurata tracciatura, adattandosi ai suoi movimenti e microvibrazioni; e chi sostiene che il vinile vergine suona meglio perché essendo meccanicamente più rigido, permette una stampa più precisa e nel tempo sia meno soggetto alla deformazione dei solchi. C’è una parte di ragione in entrambe le posizioni: mi limito ad osservare che si finisce coll’attribuire all’origine del vinile utilizzato difetti o qualità che dipendono anche da tanti altri fattori. Senza contare il fatto che non tutte le paste sono uguali, anzi: già la qualità del petrolio varia a seconda della provenienza; celebre è l’esempi degli album stampati in Inghilterra negli anni ’70 dalla DJM (la casa discografica di Elton John): se osservati in controluce appaiono trasparenti e di una curiosa tonalità rosso rubino, peraltro diversa di disco in disco.

Il vinile vergine permette comunque la realizzazione di lp visivamente e artisticamente diversi, curiosi, gradevoli e spesso apprezzati (e ricercati) dai collezionisti: i vinili colorati e i vinili picture, riportanti immagini generalmente della copertina dell’album. Vinile picture e colored sono due cose molto diverse, anche dal punto di vista della qualità sonora.

Il disco picture si ottiene semplicemente inserendo un cartoncino colorato con una immagine all’interno di vinile trasparente. Questo significa che la quantità di pasta impiegata è inferiore a quella dei normali lp, il che comporta tempi di pressaggio inferiori e quindi una qualità sonora generalmente peggiore (in taluni casi anche di molto).

Il disco colorato è invece ottenuto miscelando pigmenti colorati alla pasta trasparente. A dispetto di quanto taluni sostengono, la qualità sonora dei dischi colored non è affatto inferiore ai normali dischi neri, anzi: è vinile certamente e rigorosamente vergine. Un problema tuttavia c’è, ma sta da un’altra parte. Nell’ultimo quarto di secolo sono comparse sul mercato numerose copie di titoli più o meno classici in versione colored, ma spesso sono copie pirata, che provengono da master di assai dubbia origine (mai comunque originali), creati attraverso duplicazioni di cd o derivati da master di ennesima generazione. Lo stesso processo di stampa non ha gli standards qualitativi dei laboratori utilizzati dalle case ufficiali (e si capisce), quindi la qualità del suono di questi dischi è normalmente piuttosto inferiore a quello dei dischi originali.

Come si riconoscono? A trarre in inganno è il fatto che questi vinili dichiarano l’etichetta ufficiale: i casi più eclatanti sono quelli di due serie di vinili colorati di Pink Floyd – etichettati Capitol, la casa americana del gruppo – e Led Zeppelin: di copie pirata trattasi. Una ricerca sui cataloghi dei vari artisti chiarisce generalmente ogni dubbio su questi vinili, ed è la sola via.

Certo, anche le case ufficiali hanno pubblicato e pubblicano edizioni limitate colored di qualche titolo: “Goodbye Yellow Brick Road” di Elton John in versione gialla, o il “Dark Side Of The Moon”, stampato in Germania nel ’77 in vinile bianco sono due esempi. Senza contare i casi celebri del primo album dei Faust, del 1971, originariamente in vinile trasparente, e della prima edizione di “Speaking In Tongues” dei Talking Heads (1983), sempre trasparente, realizzata dal pittore Robert Rauschenberg.

C’è poi il caso di una serie di ristampe ufficiali prodotte talvolta in vinile colorato su licenza della casa madre da etichette specializzate come la Music On Vinyl o la Back To Black della Universal: si tratta di tirature limitate che si affiancano alle normali edizioni in vinile nero (ad esempio “Kind Of Blue” di Miles Davis, in blu, o “Demons And Wizards” degli Uriah Heep, in colori diversi); ad essere dubbia qui è la masterizzazione utilizzata, sovente la più recente rimasterizzazione digitale, con quel che ne consegue; si tratta comunque di dischi ufficiali e di buona qualità di stampa.

Attenti a quello che comperate dunque, non fatevi ingolosire dal glamour dei colori…

 

SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE

Lo stato di conservazione di un disco viene classificato secondo due metodi, quello inglese e quello americano, anche se le differenze tra i due sono minime (ma importanti da riconoscere). Queste categorie riguardano generalmente la copertina e il vinile, ma nel caso di dischi più ricercati e costosi descrivono anche inserti, costina ed etichette del vinile.

Il metodo inglese prevede queste tipologie, descritte in sintesi:

Il metodo americano, il Goldmine Standard, differisce da quello inglese per l’assenza della categoria Excellent: la locuzione Very Good identifica perciò l’usato… usabile tout court. Filosofie diverse, se vogliamo, dovute anche al fatto che nell’epoca d’oro del vinile (anni ’60-’70) le edizioni americane ed inglesi (e in generale europee) differivano per grammature, qualità di stampa e soprattutto materiali e stampe delle copertine; tipicamente le copertine americane erano di cartoncino più robusto e di assemblaggio più solido, e sono dettagli che nel corso del tempo fanno la differenza. Ma la questione fondamentale è che l’utente medio americano ha un approccio meno feticista al prodotto disco, per cui quel che è usato, è per l’appunto usato e tanto basta. L’avvertenza è dunque, quando si acquista online, quella di sapere da chi si sta comperando e operare l’eventuale equivalenza tra i due metodi.

Per dettagliare ulteriormente le condizioni, è uso in molti casi accompagnare alle classificazioni elencate i segni plus (+) e minus (–), in pratica mezzi scalini, o altri fantasiosi arricchimenti (strongly – robusto; almost o near – quasi, o altri poetici parti della fervida fantasia dei venditori). Ogni dettaglio in più è utile, nessuna discussione, ma la tara resta personale e opinabile: rendetevi conto che il disco è un prodotto delicato e le aspettative sulla sua qualità sono sempre strettamente personali (così come i vostri soldi). Certo, se correttamente conservato e utilizzato con cura e attenzione, un vinile può suonare per decenni in modo splendido, e le copertine perdere in minimissima parte il loro splendore, ma sono casi percentualmente piuttosto rari.

Tornando alle classificazioni, per noi europei torna comodo quando nel metodo americano si utilizza la definizione Very Good +, perché siamo certi che corrisponde almeno al nostro Excellent (e non di rado qualcosa in più). Tenetene conto se acquistate online in quello che è probabilmente il sito migliore e più specializzato nella vendita dell’usato, Discogs, che è americano anche se una gran parte dei venditori che vi troverete sono europei.

 

VALUTARE LA QUALITÀ DI UN VINILE

Se la qualità e la conservazione di copertine e inserti è una questione squisitamente visuale (ovvio: servono ad esser guardati) e di immediata comprensione per chiunque, ben altra faccenda è la valutazione del disco.

Spesso nelle inserzioni online il venditore specifica che la valutazione del vinile è visuale, il che significa che non è basata su una prova d’ascolto. Un buon segno di onestà (o se vogliamo un metodo per pararsi il… ok); ma quando comperate il disco di persona non fate altrimenti, vi fidate del vostro occhio e delle vostre impressioni.

Ora, è abbastanza ovvio che più un disco è stato suonato, più le prestazioni decadono. In via teorica, un certo numero di ascolti implicano un abbassamento del volume del suono (o almeno, così dicono i tecnici); se comunque è stato suonato con testine di livello, in condizioni normali e correttamente tarate nel peso e nell’antiskating, un disco suonerà meravigliosamente sempre. Tarature errate o eccessive danneggiano variamente i solchi, deformandoli o consumandone la parte esterna, con quel che ne consegue: fruscii, distorsioni, alterazione dei volumi dei due canali, eccetera. Bene, queste sono cose che visivamente non si possono vedere. Un vinile può apparire lucido, privo del minimo segno e frusciare lo stesso. Punto.

La questione è che la valutazione visiva (vostra o altrui) dice qualcosa, magari anche tanto, ma certo non tutto, in alcun modo: ho sentito e letto di troppi dischi nuovi di stampa, lucidi e tirati, presentare fruscii anche molto fastidiosi e non solo nei momenti di silenzio o di bassi volumi musicali, figuriamoci i dischi usati. Comunque, i parametri visivi sono ovvi: ondulazioni, lucidità della superficie, rigature e segni, aloni, macchie e impronte varie, sono un indice abbastanza certo dello stato di conservazione del vinile, ma tenete conto di alcuni fattori.

Estraendo il disco dalla busta, succede che si righi superficialmente: bello non è, ma questo di solito non compromette in alcun modo la riproduzione in quanto le rigature riguardano la superficie, cioè la cresta del solco, mentre la testina lo legge in profondità, quindi niente paura. Le rigature che si sentono sono quelle molto profonde e ben visibili.

La lucidità del disco poi non vuol dire molto: intanto dipende dalla pasta del vinile usata; non tutti i dischi sono lucidi allo stesso modo, e alcuni non lo sono affatto. Polvere e macchie si possono togliere e compromettono la qualità solo se entrano in profondità nei sochi, ma questo non lo potete vedere, e in ogni caso si possono togliere, tutte e sempre, e gli eventuali problemi scompaiono. Così come gli infausti “toc” del disco non sempre sono dovuti a strisci: se il toc è singolo e non ripetuto è certamente causato da sporcizia tra i solchi. A volte anche un salto (skip) ha questa origine. Un bel lavaggio e passa tutto.

Comunque, un disco usato andrebbe lavato sempre, a meno che non l’abbia già fatto il venditore stesso; a volte lo dichiara, a volte lo si vede, comunque una lavata in più male non fa di certo, se è fatta con un minimo di criterio.

Sappiate che è buona norma lavare anche i dischi nuovi, oh yes. È vero che vengono lavati già all’origine, per togliere i residui di lavorazione dello stampaggio, ma quando leggete le lamentele su dischi nuovi che frusciano e presentano dei toc e altri rumori, in una buona parte dei casi si tratta soltanto di dischi non lavati a sufficienza. Oppure si tratta di semplici scariche elettrostatiche che vanno eliminate con liquidi antistatici, e questo vale anche per i dischi usati. Poi c’è anche qualche caso di disco stampato male, certo.

I metodi di lavaggio dei dischi sono una vexata quæstio che esula dall’argomento che trattiamo: in rete si trova di tutto, ciascuno ha il suo metodo infallibile e poi ci sono i metodi istituzionali (macchine lavadischi, misture e liquidi di ogni sorta, e altro ancora). Se quel che dovete lavare è una decina di dischi, una vaschetta di acqua demineralizzata tiepida (mai oltre i 25°!), qualche goccia di detersivo per piatti e una spazzola morbida passata rigorosamente nel senso dei sochi, seguiti da un robusto risciacquo sempre con acqua demineralizzata danno già buoni risultati. (Io uso una lavatrice ad ultrasuoni da 6 litri e acqua demineralizzata, seguiti da una spruzzata di liquido antistatico della Knosti, per la cronaca). Se alla fine il disco fruscia ancora, ve lo tenete così: vuol dire che è stato suonato in maniera non corretta.

Tornando a noi, un buon indicatore a vista dell’uso di un vinile è dato dal foro centrale: se non presenta slabbrature e l’etichetta non ha lievi rigature in corrispondenza del foro, vuol indubitabilmente dire che il vinile o è stato usato poco, o comunque è stato usato con cura. In caso contrario… beh, ognuno si farà la sua idea.

Il fatto è che a suonare sono i solchi: il loro stato e la loro eventuale deformazione non sono visibili a occhio nudo, si apprezzano solo al microscopio (!) e ancora resta una valutazione visuale.

Ah, naturalmente date (o fate dare) una occhiata anche alla vostra puntina e alla taratura della testina e dell’antiskating: non sia mai che i problemi nascano da lì. Eh beh.

 

E SE VOLESSI VENDERE?

Tralasciamo del tutto ogni considerazione sul perché possiate voler vendere alcuni dei vostri dischi: lo sapete voi, e tanto basta. Quello in cui vi posso aiutare è capire quanto può valerne la pena, e a cosa andate incontro.

Vendere dischi non è semplice, se li si vuol vendere e non svendere, intendo. Se avete letto i capitoli precedenti, vi sarete fatti una idea di come vanno le cose in questo particolare mercato, sulle sue regole e le sue pratiche, saprete quantificare il valore commerciale di quel che volete vendere e quindi vi farete delle previsioni su quanto potete ricavare, specie se sapete di possedere titoli che hanno una certa quotazione. Bene, non fatevi illusioni, non riuscirete a realizzare quanto credete e sperate. Non voglio scoraggiare nessuno: al contrario, avere una chiara consapevolezza delle cose vuol dire non andare incontro a delusioni e disamoramenti.

Innanzitutto, sappiate che è difficile vendere un lp: per quanto il mercato dell’usato sia vasto, l’offerta lo è di più, e a scarseggiare in proporzione sono proprio gli acquirenti. Se anche mettete in vendita un titolo che ha un certo pregio e una potenziale clientela interessata, nove volte su dieci il vostro disco non lo venderete, in quanto prima di spendere una qualsiasi somma, l’acquirente interessato ci penserà su sino allo sfinimento. E questo è ancora il minore dei problemi, perché... beh, facciamo un esempio e vediamo di capire come stanno le cose.

Supponiamo che vogliate vendere la vostra copia di “Collage” delle Orme, prima stampa in ottime condizioni, diciamo EX+. Il suo valore di mercato va dai 40/45 euro in su, anche molto su: dipende dalle condizioni, ma oltre i 60 deve essere proprio intonso (oppure… mah…!). Voi lo sapete e vi “accontentate” di 45, grossomodo il valore con cui lo avete sempre stimato e giusto per essere equi: in quelle condizioni è un ottimo prezzo. Piazzate l’inserzione in eBay e vi mettete in fiduciosa attesa. Perché eBay? Perché lì la clientela è molto più numerosa, perché il vostro disco sarà visibile in foto e perché gli utenti di Discogs tendono a diffidare di chi ha pochissimi feedback…

Bene, a quel prezzo ce ne sono in giro già quattro o cinque: perché un acquirente dovrebbe acquistarlo da voi, che siete neofiti e con una reputazione (feedback) pari a zero o poco più, quando allo stesso prezzo lo può avere da un negoziante che di feedback ne ha svariati centinaia se non migliaia, e che ha una esperienza e una credibilità ben superiore alla vostra? Voi da chi preferireste acquistare? A parità di prezzo, non ci può essere gara: quindi, dopo un po’ abbassate il prezzo sino a renderlo assolutamente conveniente, diciamo 35 euro (e son già tanti, 30 sarebbe meglio, ma siamo ottimisti). Col che, addio comunque ad una prima bella fetta di ricavo.

Dopo di che, non è per niente detto che riusciate a venderlo subito, ma prima o poi sì, basta non avere fretta… Quando ci sarete riusciti, dovrete pagare le commissioni a eBay (e a PayPal, se avrete usato quel metodo di pagamento che comunque favorisce l’acquisto per la sua comodità e sicurezza), cioè una somma intorno ai 5 euro, il che vuol dire che rispetto alle previsioni il vostro capitale si è svalutato di circa un terzo. E vi sarà andata ancora bene, perché almeno l’avete venduto e in tempi non biblici. Se poi vendete il pezzo davvero raro di altissimo pregio, diciamo la prima stampa tedesca di “Hosianna Mantra” dei Popol Vuh, o la prima stampa di “Sulle corde di Aries” di Battiato, che stanno sui 200 euro e oltre l’uno, non sarà più semplice, intanto perché le persone disposte a spendere quelle cifre non sono tantissime, e poi – siamo sempre lì – prima di dare quei soldi ad un venditore con pochissimi feedback, beh, ve li dovrete sudare, ammesso che li prendiate tutti (anche lì, con una detrazione di una trentina di euro di commissioni s’intende). Se invece poi volete vendere titoli di relativo o basso valore, sui 15/20 euro, o dimezzate il prezzo o non li venderete mai, sempre ammesso che li vendiate.

L’alternativa a questo punto è vendere il vostro “Collage” ad un commerciante di dischi usati, in negozio o in fiera. Quanto pensate di realizzare? Considerate che il venditore dovrà avere il suo guadagno, diciamo un 30%, e che deve essere ragionevolmente certo di poterlo vendere. Tralasciando le furbate che potrà fare – e che a voi non racconterà di sicuro – vi offrirà una cifra tra i 20 e i 25 euro (nel migliore dei casi). Se poi trovate qualcosa da lui che vi può interessare, gli scambi sono sempre accettati e un piccolo sconto sugli acquisti lo spuntate di sicuro, ma questo è il massimo che ne ricaverete.

Quando vi dicevo che in nessun caso gli acquisti che farete possono essere considerati un investimento, ecco che vi ho dimostrato perché. I dischi sono vostri, i soldi pure: se ritenete comunque preferibile ricavare qualcosa da un disco che non vi interessa più, piuttosto che lasciarlo lì a fare museo, questo è lo stato delle cose…

 

CONCLUDENDO

Il mercato del vinile usato non è una cosa semplice, ve ne sarete resi conto. Coloro che acquistano il vinile possono essere suddivisi in tre categorie generali: gli audiofili, che cercano il suono originale degli album; i collezionisti, che amano l’oggetto e sono affascinati da quel che rappresenta; gli appassionati che riassumono un po’ – ma solo un po’ – degli interessi delle altre due categorie, senza averne le conoscenze e le fisse quasi maniacali. Il problema è che il mercato – i suoi riferimenti, il suo sistema di valori (e i suoi prezzi) – è determinato da audiofili e soprattutto dai collezionisti. O se ne impara l’abc, o si va incontro a cantonate non indifferenti e a delusioni cocenti. E costose.

Certo, ci vogliono tempo, dedizione, attenzione e passione, ma sono energie che vengono ripagate dal piacere della scoperta e del possesso. Il vinile usato è una forma di modernariato, ma anche da questo punto di vista sono ben poche le cose che sanno trasmettere le stesse emozioni. Dopotutto, è di questo che viviamo, no?



NB: La postfazione di questo articolo, si trova qui, sempre a firma di chi scrive.

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”. Se vuoi saperne di più sull’utilizzo dei cookie nel sito e leggere come disabilitarne l’uso, leggi la nostra informativa estesa sull’uso dei cookie .

Accetto i cookie da questo sito.