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Pat Metheny Group. Breve analisi critica della discografia

 

 

 

 

 


Pat Metheny Group

Breve analisi critica della discografia

di Gianluca Livi

 

Nota introduttiva: la presente monografia, originariamente realizzata nell'agosto del 1996, inviata alla redazione della rivista "Melodie e Dissonanze", non venne mai pubblicata per prematura chiusura di quest'ultima. Successivamente, stralci di questo scritto apparvero su un'altra rivista, senza alcuna autorizzazione del sottoscritto, peraltro neanche citato quale autore. Fortunatamente, parlando di diritti d'autore, chi scrive ha conservato la corrispondenza originale con cui l'opera venne inviata per la prima volta alla redazione sopra indicata.
Va infine detto che l'esame dettagliato della discografia dell'artista è aggiornato nel dettaglio al 1996, mentre soltanto occasionalmente al periodo successivo. Chi volesse fornire un contributo, aiutando a completare l'articolo, è ovviamente bene accetto.


Analisi critica della discografia

 

Pat Metheny Group”, 1978, ECM.

Primo album del PMG, assai distante da “Watercolors” (primo album da solista del chitarrista, risalente a due anni prima), nonostante formazione e proposta sonora fossero pressoché uniformi: le ambientazioni astratte ed incorporee che caratterizzano quell’album, vengono perfezionate in questo, con protagonismi più incisivi di tutti gli strumenti, arricchiti da una batteria più presente. L’album presenta diversi classici intramontabili come le lunghe “San Lorenzo” e “Phase Dance”, riprese anche nel già citato “Travels”. Si tratta sicuramente di un lavoro maturo e ben definito, soprattutto se confrontato con il citato “Watercolors”, forse non perfettamente distinto. Oltre a Lyle Mays (piano, oberhein, autoharp, organ), suonano Mark Egan al basso e Dan Gottlieb alla batteria. Nominato dal Record World Magazine migliore album jazz dell’anno. Tre brani sono del chitarrista, gli altri sono in coppia con Mays.

 

“American Garage”, 1979, ECM.

Quest'opera ripercorre le tappe scandite dalla precedente. La formazione, del resto, non è affatto mutata. Rispetto all’esordio viene sicuramente estremizzato il discorso inerente all’uso dei quattro strumenti, decisamente più protagonisti, soprattutto per ciò che concerne il piano e le chitarre. La batteria, inoltre, è meno eterea di quanto sarà successivamente. Infine, vengono privilegiati cambi di tempo a favore di crescendo ed esplosioni musicali, tipici invece del periodo successivo. Stranamente, nonostante alcune perle come “(Cross The) Heartland” e “The Search”, nessun pezzo dell’album verrà tributato dal gruppo nel live “Travels”. I cinque brani sono del duo Metheny/Mays. Miglior album e miglior chitarrista dell’anno secondo il New York Jazz Award.

 

“Offramp”, 1982, ECM.

Senza dubbio si tratta di un album storico, uno dei migliori lavori dell'artista, qui alle prese, per la prima volta, con il guitar synthesizer. E’ inoltre l’album che registra il primo cambio di formazione: entra il bassista Steve Rodby, mentre il numero degli elementi aumenta a cinque, con l’ingresso del percussionista Nana Vasconcelos che aveva già collaborato con Pat Metheny e Lyle Mays nell’album “As Falls Wichita...”. L’eterogeneità di questo lavoro è fuori discussione: si passa dalle atmosfere rilassanti di “Are You Going With Me?”, unico pezzo presente sul live “Travels”, al free jazz di “Offramp”, dalle sperimentazioni percussionistiche e chitarristiche di “Barcarole”, uno dei brani più atipici dell’intera produzione methenyana, alle ambientazioni tipicamente new age di “The Bat Part II” (fedele epilogo del brano “The Bat”, presente sul doppio “80/81”). L’album contiene “Au Lait”, a parere di chi scrive uno degli episodi di più elevato spessore atmosferico dell’intera produzione, che verrà poi ripreso da Lyle Mays durante le sue esecuzioni live. L'opera ha ricevuto diversi riconoscimenti sia per i vari brani, sia per le capacità tecniche dei singoli musicisti. Dei sette brani, due sono di Pat Metheny, Lyle Mays e Nana Vasconcelos, gli altri dei primi due.

 

“Travels”, 1983, ECM.

Primo live, doppio, ultimo lavoro con la medesima formazione del precedente album. Undici i brani (tra cui gli inediti “Goodbye”, “Travels” e “Farmer’s Trust”), attinti anche dalle carriere parallele del chitarrista (come il brano “As Falls Wichita...”, estratto dall’album omonimo del 1981, in coppia con Lyle Mays). Notevole l’arrangiamento dei vecchi pezzi, “adattati” al nuovo spirito “etereo” cui il gruppo sembra indirizzarsi.

 

“First Circle”, 1984, ECM.

Altro album imperdibile per il quale si registra un nuovo cambio di formazione: entrano Paul Wertico e Pedro Aznar, rispettivamente batterista e percussionista/vocalista/fiatista. Se si escludono brevi eccezioni, come “Forward March”, nient'altro che una marcia, come suggerisce il titolo, o “Yolanda, You Learn”, la cui dinamicità mal si sposa con il messaggio incorporeo degli altri pezzi, l’album porta avanti il nuovo corso musicale del gruppo, certamente più colorato e multiforme. Non a caso, alcuni brani come “The First Circle” e “If I Could”, verranno riproposti immutati a distanza di ben undici anni, a testimonianza della loro già raggiunta perfezione musicale. Numerosi, come sempre, i riconoscimenti, tra i quali merita sicuramente menzione il Grammy Awward Winner come migliore interpretazione vocale e strumentale di jazz contemporaneo. Gli otto brani sono tutti firmati dal duo Pat Metheny/Lyle Mays, tranne uno accreditato al primo dei due.

 

“The Falcon And The Snowman”, 1985, Emi-Manhattan Records.

Colonna sonora del film omonimo con la stessa formazione del precedente con l'aggiunta di David Bowie in un brano, “This Is Not America”, di cui è co-autore insieme al già rodato duo Pat Metheny/Lyle Mays. Si tratta di un album in perfetta sintonia con i precedenti, forse un po’ più sperimentale, nel quale la carenza delle immagini non danneggia la potenzialità dei brani. Oltre al brano in coppia con Bowie, un genuino esempio di pop estremamente raffinato, spicca “Psalm 121/Flight of the Falcon", brano forte di una meravigliosa introduzione corale, poi sfociante in una esplosione in crescendo ad alto impatto emotivo. Da notare che, come d’abitudine per le colonne sonore, alcune melodie vengono riprese e rimaneggiate in diversi brani. A parte quello citato poco sopra, i restanti pezzi sono composti dalla inossidabile coppia Pat Metheny e Lyle Mays.

 

“Still Life (Talking)”, 1987, Geffen.

Nuovo album, nuova casa discografica e nuova formazione: esce il percussionista Pedro Aznar, sostituito da Armando Marçal, e si aggiungono due vocalist, Mark Ledford e David Blamires. Quest’album è la giusta continuazione di “First Circle”, con maggiori spazi alle voci e ai cori, che danno più corpo alle atmosfere soffuse ed eteree, sempre più ricercate e curate. L'opera contiene “Last Train Home”, forse il brano più famoso del PMG. Grammy nomination (a ragion veduta), per il brano “Minuano (Six Eight)”, come migliore composizione strumentale. Sette i brani di cui quattro composti da methney, uno di Lyle Mays, due in coppia.

 

“Letter From Home”, 1989, Geffen.

Nuovo cambio di formazione: rientra il percussionista Pedro Aznar, che si affianca ad Armando Marçal, e fuoriescono i due vocalist (Ledford e Blamires). Questi cambi di formazione influenzano non poco le tendenze musicali del gruppo che si apre al genere sudamericano conseguendo, ancora una volta, splendidi risultati. Notevoli spazi vengono nuovamente dedicati alle voci e ai cori, nonché al sax e alle trombe, finora completamente inediti. Dodici i brani composti a turno , assieme o in solitaria, dal trio Metheny, Mays e Aznar.

 

“The Road To You”, 1993, Geffen.

Secondo live registrato interamente in Italia e in Francia durante la tournée del 1992. Le versioni restano pressoché immutate e la formazione è la stessa dell’album precedente. Sono presenti addirittura quattro inediti. Grammy nomination per il brano “Half Life Of Absolution”, più di 15 minuti tra sperimentazioni atmosferiche e crescendo progressivi, come migliore composizione strumentale.

 

“We Live Here”, 1995, Geffen.

Quest'opera si discosta notevolmente da quelle precedenti: vengono limitati gli interventi vocali e quasi inesistenti sono i riferimenti al tradizionalismo latino americano; inoltre, sono presenti riferimenti più concreti alla compagine squisitamente jazz nonché, incredibilmente, basi ritmiche programmate. Talvolta sembra di accostare un George Benson d’annata. Non mancano sporadici episodi che guardano al passato, come “Something To Remind You” e “Red Sky”, nei quali, come era prevedibile, primeggiano rari interventi vocali che richiamano i tre precedenti lavori in studio. L’album registra nuovi cambi di formazione: esce nuovamente Marçal, entra un nuovo membro alle percussioni, Luis Conte, ritornano Ledford e Blamires. Nove i brani, tutti di lyle mays e pat metheny tranne uno, a firma del primo.

 

“Quartet”, 1996, Geffen.

Ancora un decisivo cambio artistico; una scelta che, tra l’altro, impone una riduzione della formazione che passa a quattro elementi: al solito duo Metheny/Mays, si affianca la collaudata sezione ritmica, Robdy/Wertico. Il PMG propone più di un’ora di musica suddivisa in 15 brani che documentano tre diverse compagini musicali: un jazz molto soft e delicato che richiama le origini, ben rappresentato da “When We Were Free”, “Oceania” e “Glacier”; alcune estemporanee sperimentazioni folcloristiche (soprannominate “Vignettes” dallo stesso Metheny), come “Introduction”, “Montevideo” e “Dismantling utopia”, delle quali, non a caso, sono autori tutti i componenti del gruppo; una musicalità molto astratta ed intimista, che, soprattutto con “Badland” e “Mojave”, si affaccia su territori più artefatti ed elaborati di chiara matrice avanguardistica e sperimentale.

 

“Imaginary Day”, 1997, Warner Bros.

Un gradito ritorno alle tanto apprezzate sonorità di “Offramp” e di “First Circle”, infarcite di labili influenze indiane e mediterranee. La formazione si estende nuovamente a sei elementi, con il ritorno di Ledford e Blamires, e si avvale del contributo di ben quattro percussionisti: don alias (già compagno di lavoro nell’album “Tales From The Hudson” del di Michael Brecker), mino cinelu, David Samuels e Glen Velez. Moltissimi i brani particolarmente degni di nota: quello che dà il titolo all’album, nel quale si guarda un tantino alle influenze indiane, precedentemente mai esplorate; lo sperimentale “The Roots Of Coincidence” che integra genialmente sonorità new age, con ambientazioni elettroniche e ritmi serrati; la spagnoleggiante “A Story Within The Story”; il conclusivo “The Awakeing”, pesantemente ancorato alle splendide atmosfere di “First Circle”; l’acustico “Follow Me”, che meglio incarna lo spirito di “musica da viaggio” che lo stesso Metheny attribuisce ad alcune delle sue musiche. Due brani composti dal solo chitarrista e ben sette in coppia con l’onnipresente mays.

 

“Speaking Of Now”, 2002, Warner Bros.

A distanza di cinque anni dall’ultimo lavoro, il PMG ritorna con un organico profondamente mutato: se ne sono andati tutti i musicisti di contorno presenti nella precedente formazione, giungono il percussionista/vocalista Richard Bona (già collaboratore, tra gli altri, di Chick Corea, Michael e Randy Brecker, Steve Gadd, Branford Marsalis) e il trombettista/vocalista Cuong Vu (già collaboratore tra gli altri di David Bowie e Laurie Anderson). La novità più assoluta è, comunque, la dipartita di uno dei capisaldi dell’ultimo organico, Paul Wertico, sostituito dal messicano Antonio Sanchez (già collaboratore, tra gli altri, di John Patittucci, Gary Burton e Dave Liebman). I nove brani dell’album, se da un lato rappresentano un ritorno al passato più recente (soprattutto il primo periodo Geffen), dall’altro peccano di poca originalità. Alcune cose, sanno pesantemente di già sentito, mentre altre, seppur in odore di nuovo, sono ancorate agli stilemi che fecero grandi passati successi.



“The Way You up”, 2005, Nonesuch Records

Vincitore del Grammy Award nel 2006 come miglior album di jazz contemporaneo, si tratta ad oggi dell’ultimo lavoro pubblicato a nome del PMG. Quattro lunghe tracce per un totale di oltre 68 minuti che in realtà si concretizzano quale unica composizione suddivisa soltanto per comodità di ascolto. Oltre ad essere il progetto più innovativo dell'intera carriera della formazione, è anche un (parziale) ritorno alle origini giacché è incentrato su atmosfere maggiormente immaginifiche ed enfatiche e quindi molto più vicine al repertorio di inizio e metà carriera, piuttosto che a quello anni '90 e 2000 (con l'eccezione di “Imaginary Day”, a sua volta evocativo di sonorità del passato). Il cast è certamente considerevole: accanto ai fidi Mays, Sanchez e Rodby, sono schierati i percussionisti Dave Samuels e Richard Bona, i fiatisti Gregoire Maret e Cuong Vu, tutti impegnati anche alle voci (qui una recensione dettagliata del titolo: https://www.artistsandbands.org/ver2/recensioni/recensioni-masterpiece/7606-pat-metheny-group-the-way-up).





Altri titoli

Meritano certamente una menzione i tre promo radiofonici pubblicati negli anni '70 e ´80, piuttosto difficili da reperire:
Live In Concert



Edito nel 1977 dalla divisione statunitense della ECM, "Live In Concert" è di fatto l'esordio a nome del PMG, benché destinato alle sole stazioni radiofoniche, in quanto promo. Oltre ad essere l'unica espressione dal vivo dell'organico nella sua iniziale composizione a quartetto, anticipa di ben 6 anni "Travels", considerato il primo live ufficiale della band. Suona strano, oggi, che una formazione venga pubblicizzata con un disco dal vivo, a limitata tiratura, senza neanche un esordio alle spalle (che verrà invece pubblicato un anno dopo), ma va considerato che il nome di Pat Metheny era già piuttosto conosciuto già nel 1977, essendo egli comparso fin dal 1974 in dischi di Gary Burton ("Ring", "Dreams So Real", "Passengers") e avendo pubblicato due titoli solisti ("Bright Size Life" e "Watercolors") nonché un lp intitolato (e suonato con) "Jaco Pastorius/Pat Metheny/Bruce Ditmas/Paul Bley". Questo breve live si segnala per l'ottima qualità sonora e per la presenza di due brani ("Watercolors", dal primo album solista del chitarrista, e "Wrong Is Right", del mentore Gary Burton), mai più inclusi in alcun altro live. Gli altri due pezzi, "Phase Dance" e "San Lorenzo", andranno a comporre la tracklist nel primo album omonimo. (tutti i dischi citati sono dettagliatamente recensiti presso i seguenti link: Live In Concert, Collaborations, Appearances, Solo Career.

Live On Tour - Music Show



Registrato nel Giugno del 1979 e pubblicato soltanto negli USA nel corso del medesimo anno, è ancora più ricercato del precedente titolo, non soltanto perchè curiosamente edito dalla Warner (con n. di catalogo Wbms 106) in un periodo in cui l'artista era sotto contratto con la ECM, ma anche per l'eccezionale durata di ogni singolo lato (rispettivamente 26 e 27 minuti). Medesima formazione del titolo precendente e tracklist misteriosamente non riportata né in copertina, né sulla label.

Bonnie Raitt / Pat Metheny, 6/1/80, The King Biscuit Flower Hour

Pat Metheny Bonnie Raitt US Radio Show KING BISCUIT FLOWER HOUR 1980 rar+Bonus

Doppio album condiviso con Bonnie Raitt, inciso su tre lati, di cui soltanto uno dedicato al PMG (sebbene il titolo riporti il nome del solo chitarrista). Audio ottimo, scaletta interessante ancorché strutturata su tre brani (per un totale complessivo non superiore al quarto d´ora): "Jaco", "American Garage" e "Cross the Heartland" (senza le due parentesi, presenti invece nel titolo originale). Formazione del 1980 a quattro elementi con il fedele Lyle Mays alle tastiere, Mark Egan al basso e Danny Gottlieb alla batteria. Stando alle note di copertina, il concerto sarebbe stato registrato a Chicago.


 

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