Home Articoli Biografie Sogni, visioni e surrealismi di David Crosby

Sogni, visioni e surrealismi di David Crosby

Dovendo ricordare David Crosby per delinearne l’importanza, va considerato che si è trattato di un artista a suo modo unico nel panorama e nella storia del rock e bisogna chiedersi perché.
La sua vita privata, intensa ma densa di problemi, ha influito sulla continuità della sua produzione, ma probabilmente gli ha permesso di approcciarsi all'arte musicale con la capacità di rileggere la musica con nuovi sguardi, chiavi di lettura diverse, rinnovato spirito critico.


Visioni e surrealismi di un artista sognante


David Crosby è stato un artista emblematico del movimento hippie e alternativo degli anni ’60 e ’70, rappresentato da quella generazione di giovani che si ritrovò a Woodstock facendo diventare un raduno musicale il simbolo di una controcultura che aspirava a cambiare il mondo attraverso l’impiego di nuovi linguaggi e di nuove forme d’espressione.
Mosse i primi passi quale membro fondatore dei Byrds insieme a Roger McGuinn e Gene Clark, la band americana che tenne testa alla british invasion scatenata dai Beatles, proponendo sia materiale originale, sia versioni rock delle leggendarie canzoni del poeta cantante rivoluzionario per eccellenza, Bob Dylan.
Le interpretazioni che i Byrds proponevano dei brani del cantautore erano elettrificate con i suoni twangosi del beat ma avvalendosi dell’enorme qualità di scrittura di quelle canzoni, insieme ai Beach Boys, rappresentarono una degna risposta al dilagare dei gruppi inglesi. 
David Crosby fu, oltre che una delle chitarre e delle voci distintive della band californiana, anche un abile autore, proponendo al gruppo brani originali caratterizzati da qualche venatura jazzata e dal forte respiro melodico.
Basti pensare a "Eight Miles High", singolo del marzo 1966, pubblicato nell'album "Fifth Dimension", composto assieme a Gene Clark e Roger McGuinn ma connotato da un'impronta riconoscibilissima di Crosby che poggiò le fondamenta, con il suo contributo, nello sviluppo di psych e raga rock. E che dire di "Everybody's Been Burned", stavolta a sua esclusiva firma (tratto dall'album "Younger Than Yesterday", del 1967), e di "Triad", altra perla di poco successiva (avrebbe dovuto comparire nell'album "The Notorious Byrd Brothers" ma, rifiutata dalla band a causa del testo "scandaloso", fu ceduta ai Jefferson Airplane e poi ripescata per il live "4 Way Street")? Entrambi i brani preannunciano la sognante e surreale vocazione sonora che connoterà il substrato dell'artista e che contraddistinguerà buona parte della sua produzione successiva.
Quando, lasciati i Byrds nel 1968, egli entra in contatto con Stephen Stills, orfano dei Buffalo Springfield, e con Graham Nash, appena uscito dagli Hollies, viene avviata un'alchimia unica, nel panorama musicale americano ed internazionale: anziché costituire un trio basato su strumentisti diversi, come era stato, per esempio, per i Cream, i tre erano cantanti, chitarristi e compositori.
Le loro diverse caratteristiche vocali erano tali da andare a costituire una miscela originale, se non del tutto inedita: la voce limpida di David Crosby, quella roca di Stephen Stills e quella acuta ma di ispirazione beatlesiana di Graham Nash andavano a saldarsi in armonizzazioni vocali uniche che ispireranno un’intera generazione.
L’album "Crosby, Stills & Nash", pubblicato nel 1969, rappresenta una fucina di idee che rivoluzionerà il suono del folk-rock contribuendo a creare un vero e proprio genere, comunemente contrassegnato come west coast music, genere che, musicalmente, univa elementi folk, psych e tenuamente rock, mentre concettualmente si ispirava a quella Summer of love risalente ad appena due anni prima, il tutto sublimato da un'atmosfera di continua interazione fra artisti ispiratissimi, spesso di diversa estrazione, come ad esempio Joni Mitchell o Paul Kantner dei Jefferson Airplane o Jerry Garcia dei Grateful Dead (realizzato assieme a membri di questi ultimi, si segnala l'eccezionale documento intitolato "
Live at the Matrix December 1970", uscita discografica non ufficiale in grado di testimoniare agevolmente il valore delle collaborazioni alle quali si è appena fatto cenno).
E' in questo clima culturalmente e concettualmente stratificato che Crosby, Stills e Kantner compongono la leggendaria canzone contro la guerra “Wooden Ships” scritta a Fort Lauderdale, in Florida, su una barca di proprietà del primo: è un brano che può essere apprezzato da chi ama il rock, il folk e la psichedelia, presentando elementi di tutti questi generi senza che alcuno di essi prevalga sugli altri. E il testo è, ancora una volta, un manifesto, stavolta diretto in più direzioni, a causa di versi molto aperti che lasciano il campo a più interpretazioni: è un inno contro la guerra, è un rifiuto alle costrizioni di qualsiasi natura, è una incitazione a correre liberi senza meta. Si tratta, peraltro, di un bizzarro caso di pezzo che compare sui dischi di due gruppi diversi in versione originale, senza che nessuna delle due incisioni sia una cover dell’altra.



Ma il disco è ben altro: prodotto scrupolosamente da Stills, conteneva gli elementi chiave della produzione successiva dell'organico esteso poi a Neil Young: grandi tessiture vocali, testi di impegno sociale e politico, ballate di grande respiro melodico.
Lo stesso anno, i neonati Crosby, Stills, Nash & Young partecipano a "Woodstock", impugnando quattro chitarre Martin acquistate dal secondo per l’occasione, e poco dopo incideranno l’omonimo brano scritto da Joni Mitchell (pur non presente al festival) in uno dei dischi più iconici di tutta la storia del rock, “Déjà Vu”. Crosby vi inserisce uno dei brani più emblematici del periodo, “Almost Cut My Hair”, ove è presente tutta la sua arte: da un punto di vista musicale, si lambisce il rock, partendo da un substrato tipicamente psych; sul piano concettuale, il testo descrive il dilemma vissuto da molti hippy del periodo: tagliarsi i capelli ed omologarsi al sistema o lasciarli lunghi come simbolo di ribellione?
Quando viene pubblicato "4 Way Street", live oggi considerato altrettanto leggendario dei dischi precedenti, il quartetto si è già dissolto, per poi ricostituirsi brevemente nel 1973: nuova tournée, purtroppo priva della magia di appena 4 anni prima (al quartetto abbiamo dedicato una articolo monografico che si trova QUI). 
Sconvolto dalla morte della sua fidanzata Christine Hinton (perita in un incidente d'auto), il californiano inizia un periodo difficilissimo, contraddistinto da eccessi di vario tipo, ma manifesta quantomeno la lucidità necessaria per gettarsi in un progetto concreto con il collega Graham Nash, duo musicale che esordisce con il meraviglioso album “Graham Nash/David Crosby”, del 1972, e anche per avviare (e subito interrompere) una carriera solista con il celebrato (a posteriori) album del 1973 “If I Could Only Remember My Name”. Vi prendono parte artisti importanti di quel periodo come Neil Young, Jerry Garcia (Grateful Dead), Joni Mitchell, Jim Gordon, Graham Nash, Jorma Kaukonen (Hot Tuna, Jefferson Airplane), Michael Shrieve e Greg Rolie (Santana, poi nei Journey). E' l'album manifesto del tramonto della cultura hippie, intriso di surreale disincanto e magnetismo di stampo onirico.
In coppia con Nash, verranno prodotti altri due ottimi album, "Wind on the Water" e "Whistling Down the Wire", rispettivamente nel 1975 e nel 1976 (ai quali si aggiunge un live, altri live postumi e un altro meraviglioso album in studio negli anni 2000 di cui si parlerà più avanti). In queste opere vengono nuovamente affrontati i temi afferenti alla pace nel mondo, il mai tramontato concetto di libertà, ai quali si aggiungono nuove battaglie riguardanti l'opposizione al capitalismo e la tutela dell’ambiente, tutti argomenti che vanno a costruire la rinnovata ossatura concettuale su cui incentrare i suoi impalpabili testi. Sul piano musicale, rimane salda in lui la vocazione sonora di stampo sognante, a tratti lisergica. 
Dopo l'ottimo CSN, ulteriore eccellente prova al fianco di Stills e Nash datata 1977 (tre i brani a sua firma o co-firma, "Shadow Captain", "Anything at All", "In My Dreams", tutti in grado di esprimere, ognuno a suo modo, un talento espressivo di altissima caratura), Crosby si perde totalmente: l'uso eccessivo di droghe e alcol, che mina il suo stato di salute (e anni dopo lo costringerà ad un trapianto di fegato), lo colloca ai margini della compagine musicale, lambita soltanto grazie alla presenza di Stills e Nash, che lo coinvolgono in una nuova riunione del trio: il dignitoso album "Daylight Again", del 1981, doveva inizialmente uscire soltanto a nome dei due colleghi, i quali, anche su pressione della casa discografica, coinvolgeranno l'amico, rigenerando nuovamente la storica sigla. Ed infatti, il suo stato precario lo costringe ad un apporto minimo, pur qualitativamente ottimo, circoscritto al solo pezzo "Delta".
Essere fuori dai giochi, in quel periodo, rappresenta tuttavia per lui un quid pluris, pur con il senno del poi: mentre gli altri prendono direzioni improbabili, incuneando il loro sound originario verso derive elettroniche, determinando pasticci antitetici (come testimoniano gli album "Trans" del canadese, "Right by You" dell'americano e "Innocent Eyes" dell'inglese, tutti contraddistinti da ottimi pezzi ma immancabilmente rovinati da batterie programmate, vocoder, suoni artificiali e altre porcherie immonde), egli non cede alla tentazione di imbastardire la sua musica con le nuove sonorità plastiche degli anni '80. Questa fedeltà alle sonorità di un tempo, vero e proprio marchio di fabbrica (ma anche primato qualitativo), verrà da egli mantenuta fino alla sua morte.
Ripulitosi, Crosby si riunisce agli altri tre per l'album (non esaltante) "American Dream" (i suoi pezzi - "Nighttime for the Generals" e "Compass" - sono fra i pochi a catalizzare l'attenzione di critica e pubblico), per poi riprendere in mano, dopo 18 anni, la sua carriera solista, pubblicando un disco il cui titolo è tutto un programma, “Oh Yes I Can”. E' un lavoro che, pur non reggendo il paragone con l'esordio, offre musica di qualità, proponendo anche una manciata di pezzi composti alla fine degli anni '70 e mai pubblicati: "Drive My Car", "Distances", "Melody" e "Flying Man" sarebbero dovuti apparire in un album solista per la Capitol Records, previsto nel periodo 1979-1981 ma mai realizzato. Crosby, Stills & Nash avevano tentato di registrare i primi due durante le sessions del 1978, per un verosimile seguito di "CSN" ma senza che si concretizzasse alcunché.
Fra re-union non ispiratissime di CSN (due i titoli, purtroppo trascurabili: "Live It Up" e "After the Storm", rispettivamente del 1990 e 1994), Crosby colloca due opere a suo nome: "Thousand Roads" (1993), sulla stessa linea qualitativa del precedente, pur largamente strutturato su brani composti da altri, e "It's All Coming Back to Me Now...", live meraviglioso in cui si sposano, in una rinnovata alchimia, brani nuovi e vecchi del suo repertorio. In entrambi i lavori compare l'ottimo chitarrista Jeff Pevar (lo abbiamo intervistato QUI), con cui andrà a costituire l'eccellente terzetto CPR, acronimo che sta per Crosby, Pevar & Raymond, ove l'ultimo altri non è che il tastierista James Raymond, nato nel 1962 dalla relazione che Crosby ebbe con Celia Crawford Ferguson, poi dato in adozione ai coniugi Raymond.
L'organico pubblica due album in studio pregevolissimi, l'omonimo "CPR" nel 1998, e "Just Like Gravity" di tre anni dopo, nel mezzo dei quali si collocano due live connotati da magnetismo assoluto: "Live at Cuesta College" (1998) e "Live at the Wiltern" (1999).
"Looking Forward" del 1999, ultimo capitolo di CSNY (se si esclude il deludente "Déjà Vu Live") è una prova che convince, pur non miracolosa, mentre l'omonimo Crosby & Nash, del 2004, ricolloca il Nostro sull'olimpo: la nuova prova discografica consegna, del tutto rinnovata, la vena artistica del californiano, sublimata dalla presenza dell'amico/collega, anch'egli in stato di grazia in termini compositivi/esecutivi. 
Analizzando tutti i lavori fin qui citati, non si può fare a meno di notare quanto intatta sia rimasta, nel tempo, la qualità della musica firmata dall'artista (o, quando non da lui composta, comunque da lui cantata): a coloro che domandassero consigli in ordine all'acquisto dei dischi a lui attribuiti, si potrebbe rispondere che, evasi i caposaldi degli anni '70 sopra ampiamente citati, con lui, come si pesca, si pesca bena. La qualità della sua proposta rimane, cioè, miracolosamente immutata nel tempo, non importa quando e con chi proposta: non una incrinatura nella sua vena compositiva, non una flessione qualitativa, mai un tradimento concettuale da parte sua, qualsiasi sia il titolo ove il suo nome campeggi.
Arrivando a tempi più recenti, Crosby diventa prolifico: non si raggiungono i livelli quantitativi di Neil Young, ma qualitativamente non ce n'è per nessuno, mostrando egli, anche in maturità, una rinnovata vena compositiva e una grande tempra vocale. Il nuovo inizio è affidato a Croz” (2014) a cui fanno seguito i non meno validi “Lighthouse” (2016), “Sky Trails” (2017), “Here If You Listen” (2018), “For Free” (2021), ove la sua musica preziosa è sublimata dall'apporto di giovani artisti quali Becca Stevens, Michael League, Michelle Willis, Cory Henry e gli Snarky Puppy. A latere di queste fatiche discografiche in studio, si collocano due live, ancora una volta, incredibilmente suggestivi, entrambi condivisi con la Lighthouse Band: "Record Store Day 10th Anniversary Record" (un ep riportante 4 pezzi registrati nel 2016) e "Live at the Capitol Theatre" (uscito nel 2002 ma documentante una data di quattro anni prima). Questi recenti lavori, che si tratti di opere registrate in studio o dal vivo, mostrano un artista in fermento capace di recuperare idee pregresse e re-interpretarle attraverso nuove sensibilità, ma anche di palesare la
capacità di rimettersi in discussione al fianco di giovani artisti, come dimostra la splendida versione di “Woodstock”, incisa per il citato album “Here If You Listen”, sempre condiviso con la Lighthouse Band.
Il marchio di fabbrica rimane lo stesso: testi profondi veicolati da costrutti vocali celestiali, suggestioni musicali a vocazione intimistica e riflessiva, cristallizzati da accordi singolari, quando non del tutto inusuali.



In bilico tra Proust e Debussy

Tutto sommato, i soli artisti in grado di spiegare il senso del suo lavoro sono per un verso Marcel Proust, per un altro Claude Debussy; non a caso, uno scrittore e un musicista legati tra loro da una profonda intimità e assonanza. Un passo della "Recherche di Proust" ("La prigioniera"), pare descrivere alla perfezione la poetica musicale del californiano: “v’erano inoltre di quelle visioni che è impossibile esprimere e quasi vietato osservare: poiché quando, sul punto di prender sonno, riceviamo la carezza del loro irreale incanto, in quel momento stesso in cui la ragione ci ha quasi abbandonati, gli occhi si chiudono e, prima di aver avuto il tempo di conoscere non solo l’ineffabile, ma l’invisibile, ci addormentiamo”.
Il sonno, il sogno, già.
Come dice Angelo Branduardi, la musica racconta cose di noi che non sappiamo, e la musica di Crosby ha una dimensione onirica, quasi sfuggente.
“Quando la parola è impotente ad esprimere, quando le parole ci mancano, quando l’ambiguità infinita del senso rifiuta di essere contenuta nel linguaggio, allora è tempo di cantare; allora, nel silenzio delle parole, strumenti, voci e musica innalzano la voce per dire, nessuno sa come, quello che essi soltanto sanno dire, e per sussurrare all’orecchio della nostra anima le cose indicibili”. 
Parole di Claude Debussy: “la musica proviene dall’Ombra”, come soleva dire.
I brani, e tutta l’opera, di Crosby rimandano ad un Altrove che solo genericamente può esser definito “libertà”; non nel senso primariamente politico, quanto di “possibilità”, di orizzonte aperto, indefinito, gravido di suggestioni.
Certamente egli è stato un artista politicamente impegnato, eccome: sempre in prima fila, anche fisicamente, in ogni battaglia libertaria, ambientalista, sociale, ma con toni lontani da quelli barricaderi, aggressivi, provocatori degli amici Jefferson Airplane. E allo stesso tempo vicini ma molto diversi dalla “music for fun” degli altri suoi intimi sodali, Jerry Garcia e i Grateful Dead.
Anche nei rari momenti più spiccatamente rock, Crosby mantiene una elusività tutta particolare: un senso di misplacement, di incertezza; la si ritrova ad esempio già nella stupenda "Renaissance Fair" dei Byrds, quasi un sogno ad occhi aperti: “Penso che forse sto sognando; sento odore di cannella e di spezie, sento musica ovunque, tutto intorno caleidoscopio di colori”; una festa hippy, ma colorata di incredulità, di dubbio. “Se solo potessi ricordare il mio nome”, no?
Più esplicitamente, nella disperazione di "Almost Cut My Hair", Crosby dichiara “mi sento come se lo dovessi a qualcuno”, e in "Déjà Vu", “mi sento come se fossi già stato qui prima (…) se mai fossi già stato qui, probabilmente saprei cosa fare, non credete?”.
Descrizioni di stati d’animo che raccontano un modo di essere incerto, sempre lievemente fuori posto, con una istanza di ricerca volta ad un Altro, un Lontano, un Altrove mai però definito e men che mai descritto. Non a caso la grande passione di David era il mare, il navigare.

Nei passaggi più hard, a supportarlo, a dar corpo a questa urgenza, è il sanguigno Stephen Stills, a creare con l’ingenuo beat di Graham Nash un combo a dir poco perfetto.
Certamente il suo capolavoro, "If I Could Only Remember My Name", è l’epitome di quella che vien definita West Coast, ma è una connotazione che confina l’opera in una dimensione storica e geografica che le fa torto, non cogliendone lo spirito intimo e diremmo universale. Perché David ha avuto la straordinaria capacità di essere sempre, costantemente, attuale: non perché abbia via via adattato il suo stile alle mode e allo spirito del momento; al contrario, li ha sempre trascesi, cogliendo il senso profondo del rock, le sue istanze e il suo ideale del “possibile”, del desiderabile.
Si prenda una delle sue ultime produzioni, la magnifica "Glory", traccia di apertura di "Here If You Listen" (altro titolo significativo, che se da una parte richiama il leggendario "I'd Swear There Was Somebody Here", dall’altra resta elusivo, “possibilista” ma incerto, indefinito) anno domini 2018: avrebbe potuto esser un brano di CS&N (prima o seconda incarnazione), dei Byrds, non si sarebbe colto lo iato temporale. Non si tratta tanto, o meglio principalmente, di arrangiamenti vocali e strumentali: è proprio la scrittura dei brani – le melodie inaspettate, oblique, irregolari, irrisolte, potremmo dire aperte – ad evocare un senso di libertà, di malinconica serenità, di desideri inespressi, o chissà, inesprimibili. Anche da questo punto di vista, David Crosby è la cosa più vicina a Debussy che il rock abbia mai prodotto. Romanticismo, sicuro, nel senso più profondo e proprio, ma anche antitetico a quel romanticismo wagneriano che connota la grandissima parte del romanticismo rock, la sua grandeur: mai un “pieno” orchestrale, mai un “tutti” nelle sue composizioni e interpretazioni.
In un altro senso potremmo parlare di Impressionismo, nel senso pittorico ma anche musicale: Debussy, appunto; si ascolti la "Suite di Pelléas et Mélisande", se ne coglieranno assonanze con pressoché ogni brano di Crosby: l’economia sonora parsimoniosa, gli incisi melodici brevi, le ricchezze armoniche, i singoli strumenti che tratteggiano, evocano suggestioni, un senso di sospensione, di attesa, senza che si arrivi mai ad una conclusione, ad una esplicita dichiarazione.
Come per Debussy, la musica di David Crosby va assaporata, nota per nota, piccole madeleines proustiane che evocano, suggeriscono, richiamano: citando una lettera di Proust, “ci sono alcune righe veramente impregnate della freschezza del mare e dell’odore delle rose portato dalla brezza.”
Alla fine, rimane un appagamento sospeso, come irrisolto, ma plasticamente raccontato in quello che è probabilmente il suo brano più famoso, o forse più significativo, "Laughing": “Pensavo di aver visto qualcuno che sembrava aver trovato finalmente la Verità: mi sbagliavo, era solo un bambino che rideva al sole.” 
Stilisticamente, ma non soltanto, le influenze che Crosby ha avuto in altri musicisti son difficilmente circoscrivibili, eppure son tanti gli artisti che lo riconoscono come ispiratore, o nei quali comunque si ritrova la sua mano: dalla new age di William Ackerman e della Windham Hill, agli ascetici Popol Vuh (Daniel Fischelscher era un fan devoto della West Coast), all’amica Joni Mitchell, e si potrebbe continuare.
La cosa dolorosa è che Crosby, nonostante l’età e soprattutto la malattia di cui era affetto da tempo, era attivissimo; benché avesse dovuto di necessità rinunciare ai concerti, aveva altri progetti pronti ad essere realizzati.
Non era una vecchia gloria, un monumento a se stesso; anche perciò si tratta di una perdita grave.
Lo rimpiangeremo, ma con le parole di Proust, “dobbiamo esser grati alle persone che ci rendono felici: sono gli incantevoli giardinieri che fanno sbocciare le nostre anime”.






L'articolo "Visioni e surrealismi di un artista sognante" è firmato da Alex Marenga e Gianluca Livi.
L'articolo "In bilico tra Proust e Debussy" è firmato da Giuseppe Artusi.




David Crosby
Discografia

Solista
Album in studio
1971 – If I Could Only Remember My Name... 
1989 – Oh Yes I Can 
1993 – Thousand Roads 
2014 – Croz 
2016 – Lighthouse 
2017 - Sky Trails 
2018 - Here If You Listen 
2021 - For Free 
Live
1994 – It's All Coming Back to Me Now... 
1996 – King Biscuit Flower Hour 
2000 – Live 
2003 – Greatest Hits Live 
2015 - Towering Inferno 
2017 - Record Store Day 10th Anniversary Record (live 2016)
2022 - Live at the Capitol Theatre (live 2018) 
Compilation
2006 – Voyage 

CPR
Album in studio

1998 – CPR 
2001 – Just Like Gravity 
Album dal vivo
1998 – Live at Cuesta College 
1999 – Live at the Wiltern 

Crosby-Nash
Album studio
1972 - Graham Nash / David Crosby
1975 - Wind on the Water
1976 - Whistling Down the Wire
2004 - Crosby & Nash
Album dal vivo
1977 - Crosby-Nash Live
1998 - Another Stoney Evening (live 1971)
Compilation
1978 - The Best of Crosby & Nash
2002 - The Best of Crosby & Nash: The ABC Years
2006 - Crosby & Nash: Highlights (best of "Crosby & Nash" 2004 album)

Crosby, Stills & Nash
Album in studio
1969 – Crosby, Stills & Nash
1977 – CSN
1982 – Daylight Again
1990 – Live It Up
1994 – After the Storm
Album dal vivo
1983 – Allies
2012 – CSN 2012
Compilation
1980 – Replay
1991 – CSN
1991 – Carry On
2005 – Greatest Hits (Crosby, Stills & Nash)
2009 – Demos

Crosby, Nash, Young
Album dal vivo
2015 - San Francisco Benefit Concert (live 1972) 

Crosby, Stills, Nash & Young
Album in studio
1970 – Déjà Vu
1988 – American Dream
1999 – Looking Forward
Album dal vivo
1971 – 4 Way Street
2008 – Déjà Vu Live 
2014 – CSNY 1974
2021 - Woodstock 69 (live 1969)
Compilation
1974 – So Far 

The Byrds
Album in studio
1965 - Mr. Tambourine Man 
1965 - Turn! Turn! Turn! 
1966 - Fifth Dimension 
1967 - Younger Than Yesterday 
1968 - The Notorious Byrd Brothers
Compilation
1967 - The Byrds' Greatest Hits
1967 - Preflyte
1973 - History of the Byrds
1987 - Never Before
1988 - In the Beginning
2006 - There Is a season




 

Banner

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”. Se vuoi saperne di più sull’utilizzo dei cookie nel sito e leggere come disabilitarne l’uso, leggi la nostra informativa estesa sull’uso dei cookie .

Accetto i cookie da questo sito.